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Guardavo una Renault con le guance rosse di vergogna
Qualche anno fa vivevo in una stanza
in un vecchio caseggiato
stanco e ammuffito.
Era un palazzone cubico
con quattro finestre per lato.
La mia camera era la meno cara,
perchè si affacciava su un cantiere
rumoroso e sempre pieno di operai.
Spesso uno di questi operai
si appoggiava alla mia finestra
per fumare o per farsi un goccetto,
e sembrava non accorgersi di me,
che me ne stavo alla scrivania a scrivere.
Finiti i lavori gli operai
tolsero le impalcature
e se ne andarono,
lasciando un parcheggio nuovo nuovo
davanti alla mia camera.
-Meglio di un cimitero- pensai
-o di una discarica o di un tribunale
o di una fabbrica di saponette-
Ma in realtà quel parcheggio
mi dava fastidio perchè
non sopportavo tutte quelle auto
che mi spiavano
l’una accanto all’altra
con gli occhi spenti.
Era un’intrusione,
le vedevo lì a sbirciare
mentre la mia vita andava avanti
con la solita routine.
Arrivai a odiarle e a pensare
che tanto prima o poi anche loro
sarebbero morte
schiacciate in una pressa.
Sarebbero diventate cubi
di colori diversi
brillanti al sole del pomeriggio
giù nel parco dello sfasciacarrozze
sulla Spruce.
Poi rimase solo una Renault.
Un’auto giovane,
con gli occhi belli,
mi guardava come si guarda un innamorato.
C’era solo lei,
per giorni,
facevo finta di non ricambiarne le occhiate
ma di nascosto la guardavo anch’io
con le guance rosse di vergogna.
Arrivai a regalarle baci e sorrisi,
soprattutto la notte,
quando le nostre occhiate si perdevano
fra le luci dei lampioni
e la nebbia densa dell’inverno.
Una mattina se ne andò,
mentre dormivo.
Al suo posto una vecchia Oldsmobile
color ruggine,
che tra l’altro mi dava il culo.
Ripensai alla Renault,
la immaginai che correva
su una strada deserta
fra palme e gonne corte.
La odiai, e pensai alla pressa
che la schiacciava
accartocciandole il cuore
e le ossa di ferro.
-toccherà anche a te,
bella mia-
dissi a voce alta.
E
sputai
su
una
Chrisler.
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