Quando l'arco del mio tempo
spegnerà l'ultima scia,
e l'invisibile Fiamma
leviterà nello Immenso,
assorbita nel rosso inchiostro
di chi traccia il Disegno,
non voglio pianti.
Ne fiori,
ne corteo del caro estinto.
Ne visi affranti!
Ostate
che il baccello mio
segua la prassi,
sepolto ad ingrassare
vermi e terreno,
coperto da lapide in marmo.
Vegliate!
E che parti sane,
o quel che serve del mio Inerte,
ravvivino Fiamme,
imprigionate
in contenitori geneticamente guasti,
usurati dal tempo,
o peggio ancora,
segnati da incoscienza o Fato avverso.
Gli occhi però
ad un fanciullo.
Che possa io pure,
suggere bellezza,
da luoghi orridi e stantii,
mirati con la sua innocenza.
E poi,
in una teca scarna,
ponete quel che è divenuto cenere
nel fuoco di una pira di castagni.
Baciate
voi per me
la mia compagna.
Ditele che porti la reliquia
in riva al mare.
Che tempo e amore
in vita mia donai.
E con eguale amor
mi ripagasse,
lasciandomi volare via
nel vento.