Come argento, scintilla d'ebano,
come stalagmiti di granito inodore,
l'insostenibile leggerezza del tetano
covavi fedelmente nel tuo cuore.
Sordomutismo, materia ignifuga,
grigiore per sempre disegna e trafuga
sottile feretro di un amplesso,
blasfemo celeste del tuo sesso.
Salto nel vuoto e resto in sospeso,
il vortice del solstizio mi costringe;
non voglio fardelli, leggero, non peso.
Di lontano la tua mano, triste, mi stringe!
Un cormorano all'orizzonte spezzettò
in sei quadratini il cielo socchiuso,
tuo macilento riflesso d'infuso.
Anima in lontananza l'ontano balbettò
mentre sprofondavano stelle nella notte.
La certezza del tuo umore parlante
s'impettiva allo sfavillare di Venere,
tua impietrita cadenza di mantide
soffiava come vento immemore la cenere.
E ascoltavo avvizzirsi il tuo canto,
scolorito, come velluto inacidito,
distratto come rapito da quel vento!
La ruspa scavava in fondo al tuo pianto
insipido, come narciso appassito,
distratto come rapito dal vento!