Stringevi forte quella mano, quella mattina;
quella mano che tante volte ti aveva accarezzato,
dato da mangiare, messo a letto: la mano di tua madre.
Era il tuo primo giorno di scuola;
tanti bambini, come te, mano nella mano,
aspettavano di fare una gran festa.
Le maestre, sorridenti, aspettavano i loro nuovi bambini,
i nonni, orgogliosi, guardavano felici i loro nipotini.
Non credevi che esistessero davvero gli orchi delle favole,
non credevi che ci fossero veramente gli uomini neri,
ma ora sono lì, con i fucili, che urlano, imprecano, sparano.
Hai visto la gente cadere, calpestarsi,
hai visto tanti bambini nudi piangere in silenzio,
hai visto il sangue, tanto sangue,
i corpi ormai immobili, gli occhi sbarrati;
quella mano che prima ti stringeva ora è lì,
inerte, bianca, non ti accarezzerà mai più.
All'improvviso le urla, una porta si apre, il fumo;
corri, nudo e scalzo, come tanti altri, verso la libertà.
Ma la donna nera è lì, come una piovra con i suoi tentacoli;
ti vede, ti insegue, ti spara, cadi a terra...
ad un passo dalla libertà.
Ora sei lì, in quella bara bianca,
a ricordare a tutti la stupidità umana,
la crudeltà, la bestialità.
Maledette le bandiere insanguinate dall'odio,
maledetto il petrolio, simbolo dell'avidità umana,
maledette le religioni quando incitano all'odio e non all'amore.
Ora sei nel vento, come diceva una vecchia canzone,
a ricordarci le tante Auschwitz che ci sono ancora nel mondo,
mentre noi continuiamo a chiederci
quando sarà che l'uomo smetterà di uccidere i suoi fratelli.
Io sono lì con te, come milioni di altri uomini,
a piangere e a chiederti perdono
per il mondo che ti abbiamo fatto trovare,
quel mondo che hai appena sfiorato in punta di piedi,
quel mondo spietato e crudele che ti ha tolto la vita.
Addio bambino di Beslan.
6 settembre 2004