Tutti i giorni l'alba lo attendeva silente lungo la via.
Si incontravano là oltre la curva, che abbandona il paese,
ove le case lascian lo spazio a verdi distese e all'odore dei campi.
Il vecchio giungeva con in testa uno sdrucìto cappello,
e con sulla spalla una vanga e un rastrello,
procedeva ritto e spedito nel fresco mattino.
Lei indossava leggeri vestiti, dipinti di rosei e celesti colori,
e nell'aria d'attorno spandeva felice profumi e vigori.
" Oggi è tempo di smuover la terra " - mio nonno pensava.
Bisogna ramare, zappare, ... bisogna far sì
che la terra non neghi i suoi frutti.
Debbo affrettarmi debbo essere all'opre
prima che il sole arroventi le ore.
L'alba intanto sfumava, " a domani Peppino, ti aspetto al solito posto
e alla solita ora ".
Il primo raggio di sole abbracciava la strada.
Giunta che era l'ora del pranzo, stanco e sudato sedeva sull'erba.
Il pergolato suo amico, gli regalava ombra e frescura.
Nei campi assolati frinir di cicale e ronzio di api sull'uva.
Nei cespugli intrecciati, frusciare di serpi assetate.
Dal fresco ruscello, traeva la fiasca del vino, che poi tracannava.
Per cibo, ciò che la terra forniva, così per più d'ottantanni.
Un mattino, l'alba più non lo vide arrivare.
Al solito posto invano paziente l'attese.
Il primo raggio di sole, intanto abbracciava la strada.
La morte lo prese nel sonno e non volle destarlo.
Per mio nonno, di cui ho chiaro il ricordo,
avrei voluto comporre più degna poesia,
ma son solo riuscito a vergare semplici rime.
Una specie di antica minestra di pasta e faggioli
o se preferite di ceci o lenticchie,
ma chissà? Forse è proprio così, che mio nonno gradisce.
Bolsena 1866-1963.