La mie dita abitano
campagne dalla terra arida,
non rivoltano che sassi
piccoli e rossi
che sembrano la terra stessa
ma son l’inganno del desiderio del seme
Non attecchirà
la mia pace dei sensi nemmeno stavolta,
non metterà radici quest’isola in avaria
su oceani spudoratamente folli,
egregiamente immensi
e sollevati da incarichi di schiume
La forza di un cosmo,
Uno,
sento nei miei polsi spezzati,
quella di dieci universi rimasti
sento consumarsi tra le mie caviglie e i loro campanelli,
languide aurore siderali
manifestano crome trascorrendo furtive tra i miei capelli
Porto con me la capacità
lel legno biforcuto del rabdomante,
cercando la Luce tra i fasci spessi come nervi,
fili fitti di pensieri insonni,
ramati ancora e delicati e taglienti come porcellane
incrinate e tristi
Le mie ali
hanno mutato
sfoltito piume e volato nel crepuscolo,
sconvolgendo la brutale fatalità degli occhi secchi
e delle striscianti e nodose dominazioni
Ora accolgono
riccioli come onde anomale di deserto
ed estasianti labbra Cobalto
e latte dal nettare unico
mentre ne sentono il calore immane,
arroventato ghiaccio
di neve perenne
al centro del vulcano