Non ci sei
nel quadrante del mio orologio
e nemmeno nell’odore del pane
o di queste nuvole confuse
Non sei approdato stanotte
al mio porto di gabbiani
né guardi con entusiasmo
le mie piume fuori dal cuscino
Piegare
spiegare
cogliere
raccogliere
non c’è confine
né amara solerzia al poi
all’innocente sconosciuto
al vibrante tensore
Ho spostato le tende appena
per rendermi conto
ogni tanto lo faccio
e prendo il primo relitto
disponibile
e salpo dalla luna bianca
dai suoi crateri ai tuoi
dalla sua cangiante spira
alla tua inevitabile congruenza
Mi basta cogliere un paio dei tuoi fiori
respirare due sillabe
una pausa tra le tue stelle
per accorgermi che sono nel mezzo
di un buio riconoscibile
di un’avaria estatica e terribile
Getterò un’ancora
quando l’isola della mia pace sarà a portata di petto
senza alcuna speranza di salpare
sostando irrequieta
tra le onde dei miei sogni
tra i lampi del mio buio
e lastre di ghiaccio
bollente