A passo lento entri ed esci
dalla mia fabbrica
e lascio il cartello aperto
per chi vuole fare un lavoro scorretto.
Quante caramelle hai?
Quante me ne dai?
Nelle vie segrete dell'io scorre miele
di sì, ancora, e mordi.
Fermo ad aspettare
la tua voce di calma
che potesse mettere un punto fermo
agli interrogativi...
agli esclamativi...
Non m'interessa essere la stessa
cosa di chi non mi apprezza,
non m'interessa essere la metà
della stessa testa, nè il ferro che spacca
senza logica...
finchè potrò aprire il mio frigo
e trovare riserve infinite di rime ritrite,
e figure retoriche:
terra melassa,
fluido d'argento
che ci rapisce
in una stanza
come in un'altra...
finchè potrò trovare i tuoi occhi
che mi credon dispersa
nell'addizione sempre più complessa
di asprezza e dolcezza.
E se scendo nel fosso
e per uscirne sporco
di te, e con te
ancora più fanciullesco.
Suonano scie di pazzie le mie
inconclusioni...
è che tacere vuol dire annegare
nel mare di zucchero che sai dare,
ed io non so più nuotare
o non voglio nulla
se non affogare...
in questi infiniti
per te geroglifici:
dare, prendere
sempre più me.