Arso m’accetta il colle del riposo,
ove gracchiando vi volteggia il corvo
e di nascosto frigna la poiana.
Al profumo d’abete non campana m’accoglie,
il mio passo d’ovatta scoglie ogni futuro
e commosso consuma ogni passato.
Io vo dai miei coevi andati,
cercati invano dove sono nato.
Di Loro ho chiesto a tanti,
a molti ho domandato,
hanno risposto a cenni, altri guardato
e con rispetto il luogo m’han segnato.
Rimasti insieme, dal primo mio vagito,
vaghi custodi di sogni adolescenti,
li ho presenti tutti, mai dimenticati,
anche se troppe strade ci hanno separati.
Vi son salito lì per l’ultimo saluto.
Lo stridor dei cardini contrasta
con la solennità dopo il cancello,
tutto inquieta, tutto si fa grave.
Freschi latori del solenne antico
m’invita la fila dei cipressi
e muta riceve la pietà d’amico.
Contrito, in cerca della vecchia vita,
fisso la pietra, targhe, le incisioni;
a fiammelle di lampade assopite chiedo le foto.
Cerco l’effigi, i compagni, un volto conosciuto.
E quasi sento chiamarmi, salutare.
Tutto torna familiare: le facce, le voci, le figure.
Li onoro vagliando la memoria,
or che il mio intento s’è compiuto,
coalizzo preci e commozioni
e sperando che il Buon Dio li abbia in gloria.
m’ avvio per li di dove son venuto.