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Giorgio Perlasca

In quell'Ungheria
di mortifere presenze:
nazisti uncinati, vedovi, vedove ed orfani,
non osavi richiamare l'attenzione
dei milioni d'occhi di Dio.
Dallo sguardo onnipresente
erano troppo lontani
gli scarniti corpi dei morituri,
e le storie di scarpe abbandonate dagli offesi,
riversi in un soffice
inoffensivo Danubio tinto di sangue.
Dal bianco stucco del vapore,
che s'avvolge da tazze di thé,
velati, i cristalli d'alberghi per stranieri,
nell'inverno di Budapest,
patinano l'orrore,
e discelano, aldilà del chiuso,
profili di donne,
uomini, vecchi e bambini,
persi in grida di dolore e sussurri
di negata pietà.
Jorge nome falso
per una pietà vera,
calato per destino in una terra
di lampi di morte
e screzi di razza,
col cuore vuoto d'accidia,
non sa restare inesistente
tra una folla (a molti essa stessa
presunta) inesistente,
ma non somministra
silenzi e cecità
al frastuono delle vie.
La musica innocente delle sirene,
tra mani d'arguti e
disperati fanciulli
in marcia verso un nefasto delirio,
fa suonare tra trombe giuste,
per confondere gli assassini.
In un mondo perso
tra rantoli e stridori
in una lagna di servi,
passa tra generali e gregari
con l'incanto che domina
i dubbiosi ed i mediocri.
Console fasullo e uomo di mondo.
nella condominiale esistenza
d'un'orda selvaggia di
finti e crudeli potenti
dal passo di greggia belante,
trapassa
come tuono che impaura.
A mille a mille piccoli vascelli,
la delicata flottiglia
riporta sulla riva,
con un trucco, un altro ed altri ancora,
l'ingannatore amico spagnolo,
dalla miseria degli uomini disingannato.
Consegnando, senza riuscirci, al silenzio
della sua sola memoria
scelleratezza e coraggio,
chè entrambi hanno un prezzo così alto,
da non saperne che fare.

 

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