Non ti dico "amore"
ma lavo mutande: le tue.
E le mie, tutti i giorni.
Non mi chiami "tesoro"
ma tutte le sere porti giù la nostra spazzatura
e risali con in mano la bottiglia nuova
dell'acqua frizzante: la tua.
Ed insieme quella naturale,
la mia.
Certe sere ci cerchiamo.
Sotto le lenzuola
ci spogliamo del giorno
e partiamo verso le psichedeliche
destinazioni della notte.
Ci svendiamo ai sogni
vedendo ognuno gli occhi dell'altro
sfumare nel sonno.
Altre notti
sono i nostri sederi a guardarsi
e le nostre schiene a parlarsi.
Chissà cosa si raccontano fino al mattino?
Meglio non indagare,
potrebbero essere discorsi troppo sensati
per i nostri cervelli stanchi.
Oppure, senza controllo alcuno,
potrebbero addirittura
dirsi la verità.
Un giorno succederà
che uno di noi
(probabilmente io)
comincerà a domandarsi
perché.
Perché non ci diciamo mai amore.
Perché non ci chiamiamo tesoro.
E comincerà ad elaborare teorie
e strani concetti assoluti
di "non amore se".
Tutto il bello sparirà
e resteranno solamente
le contorsioni dei ricordi
plasmati ad argomentazione della teoria assoluta.
Le mutande sporche
rimarranno sporche
perché le mani saranno sporche
e la lavatrice: troppo vecchia.
In cantina resteranno
ad impolverarsi
l'acqua naturale
accanto a quella frizzante,
vicine immobili,
affrante sognatrici
dell'unione indissolubile del fiume
nel mare.
Invece divise
dai contenitori,
vetro o plastica.
Sarò preda delle ossessioni meno pudiche
e mentre tu dormirai
ignaro dei manoscritti
e le lettere d'addio,
io mi rigirerò tra le lenzuola
chiedendomi perchè l'acqua
ha la scadenza.