Eri terra di pelle di nessuno,
gettata sopra il letto
dal respiro del sonno,
un bianco-trasparente di lenzuola bagnate
non riduceva più la tua immagine
all'abitudine del mio pensiero,
ma sporgeva coi tuoi seni
a tentare gli occhi miei
nel rivolgersi alle mani
per toccarli.
Per entrare nel silenzio del tuo corpo
doveva gocciolare sullo specchio
il riflesso che dall'altra parte gocciolava
senza contatto, ma
le dita non vogliono ciò che non riescono a toccare.
Così dovevano rinunciare a te
dall'altra parte del velo, oppure,
cominciare a cercarti nelle fessure di stoffa,
sfiorarti dovunque eri,
lasciarti residui di tocchi
a riscattare le più basse voglie
del mio corpo.
Lo spazio procedeva verso l'imminenza di un peccato.
Ingoiando la paura
con la lingua asciutta
per non indebitare il silenzio
di rumori,
mantenevo i tuoi segreti di carne
svelandoli.