Sedevi nella sala con i mobili lucidi
e lo specchio,
vicino alla stufa
d'inverno, ed un nero scialle
d'estate, fatto all'uncinetto
appoggiato sulle spalle,
per coprire il freddo
della tua solitudine.
Vedova, un figlio, una nipote
che portavi appesi al tuo cuore,
mi insegnavi che il dolore diventa
meno pesante se sostenuto dall'amore.
Ascoltavo rapita,
avevo paura quando dicevi
-se i nostri morti potessero tornare,
li rivedrei volentieri-.
Mentre le mani veloci muovevano
l'uncinetto, osservavo i movimenti
precisi, che si trasformavano
in intrecci, i tuoi giorni, i tuoi sentimenti,
poi anche i tuoi occhi ti hanno tradito,
quel lavoro che adesso ho fra le mani,
che non hai mai finito.
Mia nonna timorosa di Dio,
restava le ore a pregarlo e voleva
lo facessi anch'io.
Grembiule scuro coi fiori, apparentemente fragile
quando le mani si aprivano in una carezza,
la caramella d'orzo e la sua dolcezza,
i gerani, l'odore delle medicine nel suo comò.
Chissà se mi puoi sentire,
come in una preghiera,
quel libro che ti leggevo, la sera.
Ripongo il lavoro di pizzo con le sue inziali,
quando mi diceva infilami l'ago,
passami gli occhiali,
eppur sembra ieri,
mia nonna, se potesse tornare,
la rivedrei volentieri.