Come se tanto Auro fosse
il poeta che è in me
a coglier l'occasione
e a quella gettare un sasso di stagno
tanto da smuover acque
di poesie immense e di gravi parole
e di segni infranti
che neppure i vetri cattedrali
smisurati e colorati mai
potessero render fermi anche
solo un istante
infiniti echi di millenarie travi e navate immani.
E poi infine quegl'occhi suoi queruli e striati
testimoni soli di infinite lotte e tafferugli
che ancora domi all'ultima battaglia pronti sempre
tra versi di spade e difese
e poi ancora lame e tintinnii e urli di sforzi
e ancora indietreggi e attacchi...
Sino a che morte non separi la vita
dal desiderio del vissuto invano.
E poi amore.
Amore infinito per quella donna
unica a stringer con lui la stessa difesa
a urlare sdegnata e sdegnata
passare il greto per disegni migliori e passioni migliori
e per la gioia terrena
della quale eternamente innamorato resta...
come per scevra passione.
E poi infine il tempo. Al suo quotidiano tedio
che volte dedica lo scritto
al getto ed al pensiero mesto.
Un leone nascosto
che sempre è vicino e vicino quel tanto
fa sentire sempre o almeno quasi... ancora vivo.
E con il foglio steso lo vedi
e bianco da svuotarne i bordi di versi
e al banco della vita, due difetti ostenta.
Una penna tra le dita affusolate e scarne
e una lacrima di sogno al sapor del sale
che più sale ormai più non v'è
o non ne prova il sapore... più.