Quando luglio
infuocava i pomeriggi
nel cortile sonnolento
ed i panni stesi
inaridivano al sole
mi sedevo sul gradino più basso
ad osservar le formiche
fare scorte di cibo
per il prossimo autunno.
La tana era lì
proprio accanto al gradino
e vi si affollavano in tante
in entrata e in uscita
Raccoglievo da terra
un bastoncino qualunque
e trasportavo veloce
quelle più lente.
Restavo per ore
a guardarle affannarsi
per una briciola
che forse non avrebbe nutrito
il loro letargo;
soccorrerne una
ferita o sfiancata
e trascinarla a fatica
in due o in tre;
deviare il cammino
se troppo sconnesso
ricominciare ancora e ancora
senza riposo
e allora mettevo io stessa nel buco
un po' di cibarie.
Chissà com'era quel mondo lì sotto
se ce n'era qualcuna a curare i feriti
e ad accogliere quelle più stanche
sfinite da tanto affannarsi.
Chissà se la sera, tra loro,
si raccontavano di quell'umana
che le stava a guardare per ore
e aveva inventato quello strano trenino
se mi aspettavan contente
in quei pomeriggi assolati di luglio.