Confesso una quieta grandezza,
ma muoio lentamente
per ubriachi echi che
mi avvelenano la vita.
E mi inoltro nella sera
di una foresta,
una luna strabica e
vanitosa mi guida.
Il mio cuore si bea di
una sobria malinconia,
mentre questa solitaria
selva nessuna orrida
belva cela.
I suoi figli nel
silenzio dell'attesa
sonnecchiano fiduciosi e
la virtù giace nell'ombra di
alberi in fiore.
L'inquieta anima
dei mantelli rugiadosi
mi abbraccia in un
sonno di morte,
là dove le vele cadono
in uno straniero mare.
Ma io non sono né una
dea né una bestia e
torno a viaggiare tra
le acque di Caronte.
Illacrimata rosa mi spetterà
tra i vili uomini del mio secolo.