Polonia
culla di marzapane
della lucentezza dei miei occhi incerti
estinto sia per sempre
il tempo che il destino ti costrinse
a portare all'altare infuocato delle lacrime;
libera qualche Dio ti volle
e libera dovrai riscoprirti
urlano da un angolo smarrito
del porto della mia Danzica
le voci di chi ci precedette
nel disegnare con le dita tremebonde
una nuvola di inestirpabile sogno;
quel cielo è il nostro cielo
quei respiri
abitano i nostri respiri
la nostra fatica indomita di operai
saprà inventarsi daga lucente
per spezzare il canto stridulo e soffocante
di mille carriarmati
vomitati dal guscio insanguinato
di un bolscevismo ingannevole.
Eccola, Polonia adorata
la senti frusciare
tra le lamiere roventi dei cantieri
la nenia fiera e inscalfibile
che invita a combattere
per chiamarsi davvero liberi:
"Solidarnosc Solidarnosc"
come un cerchio di fuoco impenetrabile
che divora i cecchini di rame
di un'Armata Rossa
che gli anni resero agonizzante.
E tu, Santo padre Woytyla
che il tuo sorriso ci desti per compagno
per spalancare le porte del Duemila
sai che noi lavoratori
quando ci avvolgiamo tra le labbra della sera
chiamiamo a raccolta le nostre fatiche
per invitarle a farsi preghiera;
Polonia mia,
ti riveli ora come l'accecante bellezza
del Dio che risorge
da guerre e atrocità
la forma compiuta e intangibile
della democrazia che nessuno
mai più graffierà.