Il fantasma del senso del lavoro
osserva silenzioso,
come uno squalo di rame
che si è innamorato di una preda;
io, ignaro,
i miei giorni lucido e vezzeggio
tra i cancelli frustati dalla ruggine
della famiglia fabbrica
e il sudore custodito dai miei guanti;
ogni giorno di lavoro
intono per loro una canzone
"giorni che cercai di rispettare,
conducetemi sereno alla pensione";
l'aria ode addolcita
ma incapace è di stringere
tra le sue dita di miele
processioni di cellule
che stanno per ruggire di follia
l'eternit
si sdraia lento e inesorabile
sul palcoscenico
del teatro malfermo del mio corpo;
il mio corpo s'impregna
di un lacerante rumore
le cellule che mi furono compagne
mi salutano malinconiche
e si dileguano nel ventre acuminato
di un serpente di nome "tumore".
Ora lo so
morivo
nella misura esatta di quanto respiravo
lavorare per distruggersi
in una graffiante etica di follia
tra fibre che prima mi sedussero
e poi mi distrussero.