Intarsiano ricami avvolgenti
in un'aria danubiana
che reca il peso marmoreo
di un'antica sofferenza
questi retaggi pungenti
di urlante socialismo reale;
adesso il calesse della storia
ha trovato in un anfratto di nebbia
cavalli assolati di libertà
giacciono rintanati
in un angolo oscuro di metrò
i fantasmi ormai rattrappiti
di un collettivismo ingannevole.
S'ode unicamente
in un baleno di sole
lo sciabordare allegro
e di inconsueta, ritrovata vitalità
delle sorridenti terme Gellert;
viaggiano automobili fiere
sull'estasi ricamata d'oro
del ponte delle catene
e tendono i loro fari festanti
alle narici anelanti della sera
che si addestra a respirare
i guizzi delle onde
che escono dal diario del fiume
come pagine sorelle
in un comune richiamo all'Occidente.
Due signore
di eleganza ancora acerba
eppure fiera e immarcescibile
si congiungono ad abbraccio;
i fasti medievali di Buda
il ruggito industriale di Pest,
insieme in un sussurro di cammino
finchè non corrano loro incontro
le statue rombanti di orgoglio nazionale
della piazza degli eroi.
Si flettono gli alberi
di rifioriti viali
per nutrirsi alla sorgente d'avorio
di antiche danze ungheresi
e della voce delle note
di Bela Bartok.
Tutto è ritrovarsi
dopo avere assaporato
il calice insanguinato della perdita
sulla piazza echeggiano
sfuggevoli sonorità zigane
ebbrezze immacolate di violini:
Budapest
rinasce memoria
per crescere libertà.