L'allarme arresta a picchi
i richiami al lavoro
con il suono di una ritirata,
e ci si affretta
a battere con le pale tra le pietre
per sentire la terra deviare
su l'idea di uno stupro alle radici
con il tendine umano
percosso degli uomini
che si calpestano i talloni
per cercare uno spazio
su i loro addomi.
Si ci rialza al mattino
coprendosi il volto
col profilo del gomito,
per la polvere.
E chi sostiene il nuovo peso
è l'ultimo del giorno precedente
che tiene lo straccio
su le corde
per indicare una resa
sul tiro dei suoi compagni,
chiamati uno ad uno
coi nomi su le casacche
bianche e nere come il re caduto
di un scacchiera
e il suo stendardo
piantato sul cemento,
le ossidazioni intorno al ferro,
e un silenzio fattosi ideale
della paura.
Dopo che l'altalena
come un pendolo incostante
ebbe compiuta la traiettoria
già raccolta dalle giunture dei rimasti
per piantarsi tra la ghiaia
fra le orme nei campi
che riunivano il fango
su le ruote di una carriola,
prima che il piede potesse crollare
tra le labbra di un bambino,
dove il seno di una sconosciuta
poi rinnovò il latte con la fede.
E ne prese la sete come la fame
per ripudiare l'errore:
il terzo passaggio
su l'innocenza
che scolava come un'emorragia
su la sua mano.