Dare forma non so,
a questo mio percepirmi senza percepirmi,
è forse un frammento indiavolato di inconscio,
che ora mi governa membra assonnate,
sospese tra ignaro afflato a risorgere,
e risucchio sanguinante
di una cartolina scritta per me dal tempo
destinazione
un eterno solo immaginabile
ma mai compiutamente esplorabile.
Stato comatoso,
è lo schizzo nervoso di inchiostro,
che un medico verga
su un foglio unto e ingiallito;
quante parole mi stanno parlando,
quanti sogni
stanno fischiando sulla mia pelle,
per dirmi che mi attendono,
quando forse
il bagliore di un respiro superbo
mi accecherà nuovamente;
poesia,
regalo che la mia missione di amare
a bordo del naviglio di cristallo
del mio scintillante inespresso,
ha deciso di posarsi soavemente
sulle lacrime d'avorio di mia moglie,
ti prego,
non evadere
come dispettosa e insensibile libellula,
dal foglio a cui affidai
la tua energia vivificante;
se anche ora non odo il mio sentire,
non concederò al mio cuore
orfano di ritmi regolari,
di sentenziare di non sentire;
definire non mi è dato
se io sia più dominio di carne e anima
oppure ormai regno
di un vento che scioglie le ossa,
chi spera con me e per me,
è il mio pneuma vergine e inconstrastabile,
in un silenzio etereo di ospedale,
che mi è coperta di speranza
come il delicato e ineffabile suono
di un'arpa birmana;
figlio mio,
non leggere nella mia consistenza attuale,
un semplice, intricato esercito
di flebo, intubazioni e garze
ma il romanzo di un'eredità
d'affetto e tentata saggezza
che vorrei tu imparassi ad amare;
non importa, in fondo,
se ora davvero non sento,
ma se questo mio impotente vegetare
ti sappia infondere nello sguardo
l'orgoglio di poter stringere il firmamento,
in ogni attimo che la vita ti riserverà,
e in ogni mano che la tua storia stringerà;
che tu senta tutto questo,
sarà il mio autentico sentire,
la daga lucente e fiera,
che svergognerà l'abisso traditore
di questo mio inconsapevole dormire.