Livorno mia adorata,
che la culla mi cospargesti dolce,
del fruscio d'amore
per l'arte di cesellar immortali note;
mi scorgesti
come timida, sempre più diluviale
intenzione di musica,
che cresceva tra i palpiti del sole,
di cui un raggio scelse a me di rivelarsi,
sotto forma di morbida,
infuocata matita,
perchè di vergare mi compiacessi,
sull'immacolato,
immortale spartito del cielo
fraseggi che non si perdessero
tra le fauci di un orizzonte
ribelle ai ricordi.
Odi l'armonico schioccare
di questa ribollente Cavalleria Rusticana,
odi gli amori contrastati e confusi,
Turiddu, Lola, Santuzza, Alfio,
giocare al rincorrersi dei sentimenti,
dove le zagare sorridono
e gli agrumi insegnano
a sentire nella natura
la voce del Dio che non si nasconde.
Laggiù mi trovi, amico,
dove Iris fa scintillare la mia strada,
di creatore indefesso di armonie,
chè la musica è ancella
del bello e del vero,
e fender sa,
come la più amorevole delle lame,
ogni insidia di insulse bugie.