Dio delle immensità,
amorevoli ma mai compiutamente esplorabili,
da alcun umano cuore
finchè giungere non possa
alle porte di incenso del tuo sempiterno abbraccio,
qual fu il tuo disegno
che mi rese ai tuoi occhi meritevole,
di riuscire ad amare il mondo,
con la forza totalizzante e salda
del mio umano sguardo
che del nettare del tuo Vangelo
beveva e gustava senza posa?
In te, imparai a viaggiare
sul cocchio baciato dalla carità,
mi chiamavi, lo so,
mentre le mie corse disegnavano,
una fanciullezza intarsiata di umiltà,
nelle semplici, sorridenti
corse dei campi di Sotto il Monte:
"Tenero bimbo Roncalli - mi dicevi -
corri qui, sotto questa pianta rinfrescante,
lo vedi quel sole
che dà voce melodiosa alle viole
e ali alle spighe del frumento,
impazienti di farsi cibo per l'uomo?
Ecco, quello stesso sole sarai tu,
di quel Dio che ora ti offre,
il dono di aiutare e consolare chi soffre".
No, non era una distrazione onirica,
le campane suonavano davvero in me,
mamma, Dio mi ha cercato
nel silenzio di questa pace bergamasca,
e anche tu lo sai,
che devo ora partire.
Eccola,
racchiusa nel tepore delle mie lacrime,
questa Roma che profuma di universalità,
la cupola di San Pietro che si flette
sull'emozionato Tevere,
acqua mondana che scorre insicura,
a braccetto con le gocce festanti
di acqua benedetta;
"quando metterete a riposare i vostri figli,
fate loro una carezza,
dite loro, questa è la carezza del Papa",
non aver timore
Cristo non cambia mai strada,
se per incontrarlo indosserai il vestito,
del genuino,
forse anche infantile amore,
che ti insegnò a rincorrere la sua essenza,
fino a riuscire a toccarla, a viverla.
Sono Papa Giovanni,
regalami, tesoro che sei tesoro per il mondo,
una tenera preghiera,
sono certo che mi ritroverai,
consolatore e amico,
nel morbido abbraccio di ogni sera.