Brulicano attese eccitanti,
tra le labbra di ancestrali contrade,
i vessilli si pavoneggiano fieri,
frustando un'aria che odora
di panforte e memorie di disfide equine;
il campo
è una signora altera e inafferrabile
ingioiellata di rumori indigeni,
di ferrature e zoccoli.
Flette lo sguardo combattivo e indomito
il fantino che assaggia,
come sempre, come allora,
la pista per rubarne l'anima e i segreti,
il tifo si inerpica pian piano,
come consumato scalatore,
sulle cime delle urla di un pubblico osannante.
Ecco, la tratta è avvenuta,
gli avversari possiedono finalmente un volto,
diciassette sorelle,
che per un giorno si scorgono sorellastre,
pronte a strapparsi il vestito
a suon di fieri, irrefrenabili galoppi,
di cui solo il cavallo
conosce davvero la voce.
L'Assunta è pronta
a benedire di splendore i gareggianti,
sull'attenti, prego,
che abbiano a sfilare
ordinate e luccicanti le monture.
Il tempo, ora,
ha disteso il suo mantello nascosto,
il canape ribolle di impazienza,
sbuffano le labbra incandescenti del mossiere,
come a disegnare nuvole di marzapane,
eccola, l'ansimante contesa
ha spinto sul cuore della partenza,
tutta l'impronta del suo fiato,
riluce con il bagliore arcaico di un ametista
l'immagine dell'ambito drappellone.
Oca o leocorno,
bruco o tartuca,
aquila o nicchio,
il Palio sussurrerà alle orecchie della storia,
un altro poema traboccante
di festante memoria.