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Lieve ricordo del maestro

Il sol, qual di sia discosto lungo i dorsali,
ascende solingo sulla mesta campagna e in su li fratti,
volendo alcuno a mirarlo quando non fia
del suo tempo a loco. Altresì, pervenuto a si tarda etade
senza i desiri voluti, sento gli anni fluire
oltre i miei argini e nella speranza imperitura,
negli anni a me venuti, che non vennero nulla ai lazzi consueti,
ma giovami a codesta età medesima. Di me non sarò,
ma non di questo, di me solo la speme mi fugge
e le pene arrecano siffatti spasimi che non portano letizia.
Ognora al tempo lo stato mio si prostra,
ma non sarà di tale che porterò afflizione.
Tu, silente su qualsivoglia oggetto, tu della volgata adulta,
solo per te muta, il mio sollazzo ha cagion di vita,
ma accanto la speme non mi siede. Di questo spasmo
mi reco novello dolo e la mia ventura mi affligge,
ma non v'è della speme traccia e non trovasi altro d'essa.
Maestro d'altra età vissuta, il tuo dolo mi giunge
similmente per antefatti, ma non viene a mia cagione,
di me solo l'imago tua mi fè scudo, e non si cela
in essa ogni mia brama. Simil il mio corso
in questa tarda età si mostra e il culmine non mi perviene
degli anni tuoi. La speme ha violato entrambi,
e a questa mercede ci fermiamo, non reggendo a disertare,
ma sarà per poco. Qual fece di noi qual non sono,
ma che diverommi, oltre a questa spinta di vita
avrò cosa posso, ma quale di me stesso che m'appella.
Solingo nelle opere mie mi attardo, ma alla mia sorte
non mi celo e sarà di me come lo stesso,
qual giovinetto che in gaia festa si trastulla
a mente chiusa. Anche tu, donna, che fosti di mia vita
degli anni miei, or mi disdegni i favori e neghi altra virtude,
facendo più del dolo e chiudendomi gli affronti.
O donna, e tu speme assieme, dinanzi lo spirto mio,
ruinandolo con offesa truce, lasciaste il strazio di sempre
a recar angosce e voglie scomposte. Ora sparve e negletto
sentivo a me che di spazio non arrecami, ma la sorte
mi fè beltade, anzi che la volli per mia, sempre ognora.
Donna, quando te ne avviasti, anche la speme mi negasti,
ma non fia loco che mi inchini a te, cagione delle mie pene.
In feste volendo il mio senso, per discordanza,
anche se è vano ragionar di ciò, non vollemi codesto
stare al par di te. Lungi rimarrò a vedere tuo stato,
che per accenno che ti riferisce mai non giunse.
Ma qual farò di me ognor solingo? Perché la vita mia
ha questa dote, di che comando, pace e tranquillità che chiedo.
E resto appartato per indugiare ed a esigere nessun
che mi scorga in questo frammento mio, pari
che non si trattiene ad affacciarsi come tutto si potrebbe.

 

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