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Dagon

pagine: 1234

Scrivo queste note in una morsa d'angoscia e so che al termine della notte sarò finito. Senza un soldo e senza la droga che rende sopportabile la mia esistenza, non posso reggere oltre la tortura: mi butterò dalla finestra di questa soffitta. ma la mia dedizione alla morfina non deve farvi pensare che sia un debole o un degenerato; quando leggerete queste pagine, intuirete (anche se non riuscirete a comprendere del tutto) perché non mi restino che l'oblio o la morte.
Fu in una delle zone più aperte e meno frequentate del Pacifico che il piroscafo di cui ero sovrintendente cadde vittima dell'incrociatore tedesco. La grande guerra era all'inizio e le forze navali del nemico non avevano ancora ceduto completamente, come poi sarebbe avvenuto: la nostra nave venne catturata e noi dell'equipaggio fummo trattati con il rispetto e la considerazione dovuti ai prigionieri di guerra. Anzi, la disciplina dei nostri carcerieri era così blanda che dopo cinque giorni riuscii a fuggire da solo, in barca, con acqua e provviste per diverso tempo.
Finalmente libero e alla deriva, non avevo alcuna idea delle acque in cui mi trovavo. Non sono mai stato un provetto navigatore e dalla posizione del sole e delle stelle potei solo concludere che ero a sud dell'equatore. Ignoravo completamente la longitudine e non erano in vista né isole né tratti di costa. Il tempo si manteneva buono e per innumerevoli giorni avanzai senza meta sotto il sole feroce, aspettando di scorgere una nave o di essere scagliato sulle sponde di una terra abitabile. Ma non si vedevano né navi né terra, e nell'immensa solitudine del mare e del cielo cominciai a disperare.
Poi, mentre dormivo, avvenne il cambiamento. Non ne conoscerò mai i particolari, perché non mi svegliai dal mio sonno agitato e fitto di sogni. Quando riaprii gli occhi scoprii di essere mezzo sprofondato in una massa disgustosa di fango nero che s'estendeva intorno a me a perdita d'occhio, e in cui la mia barca si era arenata a qualche metro di distanza.
È logico supporre che davanti a una così radicale modificazione del paesaggio la meraviglia fosse il mio stato d'animo predominante, ma in realtà ero più atterrito che sorpreso, perché in quell'aria e in quel fango putrescente c'era una qualità sinistra che metteva l'anima a dura prova. La regione pullulava di carcasse di pesci marciti e di cose meno facilmente descrivibili, che spuntavano un po' dovunque dal fango dell'interminabile pianura; ma è assurdo sperare di trasmettere, a parole, l'orrore che gravava su quel deserto di assoluto silenzio e sconfinata vastità. Non si sentiva e non si vedeva nulla a parte l'immensa distesa di fango nero: e proprio la totale immobilità e omogeneità del paesaggio mi davano un senso di paura schiacciante.
Il sole bruciava da un cielo in cui non c'era traccia di nuvole e che sembrava nero, come se riflettesse la palude color inchiostro che si stendeva ai miei piedi. Mentre strisciavo verso la barca in secca riflettei che una sola teoria poteva spiegare la mia situazione: in seguito a un fenomeno vulcanico di inaudite proporzioni una parte del fondo oceanico doveva essere venuta a galla, esponendo regioni che per milioni d'anni erano rimaste coperte da incalcolabili quantità d'acqua. L'estensione della nuova regione era tale che, per quanto tendessi le orecchie, non sentivo nemmeno in lontananza il rumore dell'oceano e non c'erano gabbiani a banchettare sui resti di pesce.

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1 commenti    

1 commenti:

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  • Emanuele Russo il 01/04/2020 19:18
    Un vero e proprio capolavoro della letteratura di Lovecraft (a mio parere). In un solo racconto questo autore è riuscito a descrivere la vera paura dell'uomo per l'ignoto, cosa che oltre a terrorizzarlo lo affascina.