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I ratti nel muro
pagine: 1234
Il 16 luglio 1923 mi trasferii ad Exham Priory dopo che l'ultimo artigiano aveva finito i suoi lavori. La restaurazione erastata un'impresa stra-ordinaria, perché dell'edificio era rimasto ben poco: un guscio vuoto e in rovina. Il luogo eradisabitato dai tempi di Giacomo I, quando una tragedia orribile e in gran parte misteriosa aveva colpito il signore delcasato, cinque figli e parecchi servi, e aveva indotto il terzo figlio, mio progenitore in linea diretta e unico sopravvissutodell'aborrita famiglia, a fuggire sotto l'ombra di atroci sospetti. Poiché l'unico erede legittimo era ritenuto un assassino, ibeni erano passati alla corona senza che il mio antenato facesse nessun tentativo di discolparsi o di tornare in possesso diquel che gli apparteneva. Sconvolto dall'orrore di qualcosa che andava oltre il rimorso e il timore della legge, pervaso daldesiderio di cancellare l'antico edificio dai suoi occhi e dalla memoria, Walter de la Poer, undicesimo barone di Exham, erafuggito in Virginia e lì aveva fondato la famiglia che nel secolo successivo avrebbe cambiato nome in Delapore. Ad Exham Priory non aveva abitato più nessuno, benché in seguito fosse stata annessa alle proprietà dei Norrys efosse diventata oggetto di studio per la sua architettura bizzarra e composita. I torrioni gotici poggiano su una strutturasassone o romanica e le fondamenta rivelano uno stile ancora più antico, o meglio un miscuglio di stili: romanico, druidicoe, se ci si può fidare di quel che dicono le leggende, addirittura cimbrico. A proposito delle fondamenta c'è da osservareun fatto strano: su un lato formano, tutt'uno con la solida parete di calcare che piomba a precipizio nella valle sottostante, una landa desolata che si stende cinque chilometri a ovest del villaggio di Anchester. Architetti e studiosi di antichitàhanno sempre amato questa reliquia dei tempi perduti, ma la gente delle campagne la detesta da secoli, quando i mieiantenati vivevano ancora a Exham; e ora che il musco e l'umidità ne coprono le vecchie pietre il sentimento non ècambiato. Ero ad Anchester da un giorno appena e già sapevo di possedere una casa maledetta. Questa settimana, delresto, gli operai l'hanno fatta saltare in aria e ora sono indaffarati a cancellarne le fondamenta. Della vecchia famiglia conoscevo la storia in modo sommario: sapevo che il mio avo era arrivato nelle colonied'America circondato dai sospetti, ma i particolari mi sfuggivano per la tradizionale reticenza dei Delapore. Diversamentedai nostri vicini delle piantagioni, non ci vantavamo di discendere da crociati o altri eroi del medioevo e del Rinascimento;non avevamo tradizioni particolari, a parte l'abitudine (invalsa da prima della Guerra Civile) di tramandare di padre infiglio un documento che doveva essere letto, dopo la morte del capofamiglia, dal suo primogenito. Le cose di cuiandavamo fieri erano successive all'immigrazione e consistevano nell'orgoglio e nell'onore di una buona famiglia della Virginia, sia pur riservata e non molto socievole. Durante la guerra le nostre fortune precipitarono e la vita cambiò in modo drastico dopo l'incendio di Carfax, la casain cui vivevamo sulle sponde del fiume James. Mio nonno, già avanti negli anni, morì nella catastrofe e con lui scomparveil documento che ci legava al passato. Ricordo benissimo l'incendio, a cui assistei all'età di sette anni: i soldati nordistiurlavano, le donne erano in preda alla disperazione, i negri si lamentavano e pregavano. Mio padre era nell'esercito, con cui partecipava alla difesa di Richmond; dopo molte formalità fu permesso a mia madre e a me di attraversare le linee e diraggiungerlo. Alla fine della guerra ci trasferimmo al nord, perché mia madre veniva da lì: sono cresciuto, diventato adultoe ricco come molti prosaici Yankee. Né mio padre né io sapevamo che cosa contenesse il documento scomparso con ilnonno, e man mano che mi immergevo nel grigiore della vita d'affari del Massachusetts perdevo interesse nei misteri che, con ogni evidenza, si nascondevano nel mio passato ancestrale. Se avessi sospettato di cosa si trattava, avrei lasciato volentieri Exham Priory al suo musco, ai suoi pipistrelli e alle ragnatele! Mio padre morì nel 1904 senza poter lasciare nessuna informazione a me o a mio figlio Alfred, un ragazzo orfano dimadre che aveva allora soltanto dieci anni. Eppure fu proprio Alfred a capovolgere l'ordine con cui, di padre in figlio, citrasmettevamo le notizie sul passato: sebbene non gli avessi dato che poche congetture sulla storia di famiglia, quando nel1917 la guerra lo portò in Inghilterra, come ufficiale di aviazione, mi informò di alcune interessanti leggende che ciriguardavano. A quanto pare i Delapore avevano una storia colorita e addirittura sinistra, perché un amico di mio figlio - ilcapitano Edward Norrys dell'Aviazione Reale Britannica - abitava nei pressi dell'antica casa di Anchester e conosceva lesuperstizioni dei contadini: roba che pochi romanzieri avrebbero potuto eguagliare per delirio e fantasia. Norrys, ovviamente, non prendeva queste cose sul serio, ma mio figlio le trovò divertenti e ne parlò abbondantemente nelle suelettere. Fu questo corpus di leggende che attirò la mia attenzione sulle origini della famiglia oltre Atlantico e che in seguitomi decise all'acquisto di Exham Priory e alla sua restaurazione; Norrys l'aveva mostrata ad Alfred nel suo pittorescoabbandono e si era offerto di fargliela avere a un prezzo molto ragionevole, perché il proprietario era suo zio. Acquistai Exham nel 1918, ma i miei progetti di restauro furono interrotti dal ritorno di mio figlio come grandeinvalido. Nei due anni che gli rimasero da vivere non pensai ad altro che alle sue cure, delegando anche i miei affari ai soci. Nel 1921 ero un industriale in pensione non più giovane, solo e affranto dal dolore: decisi che avrei trascorso i miei ultimianni nella casa degli antenati. In dicembre andai per la prima volta ad Anchester e fui accolto dal capitano Norrys, ungiovane simpatico e piuttosto in carne che aveva voluto molto bene ad Alfred e che mi offrì il suo aiuto per ciò cheriguardava la ristrutturazione; grazie a lui, inoltre, venni a sapere altri aneddoti. La prima volta che vidi Exham Priory fusenza particolari emozioni, perché si trattava di un mucchio di vacillanti rovine medievali coperte di licheni e bucherellatedai nidi di cornacchia; rovine che si affacciavano pericolosamente sul precipizio ed erano prive di pavimenti o altrielementi interni che non fossero le mura di pietra delle torri. Dopo essermi fatto un'idea dell'aspetto che l'edificio aveva tre secoli prima, quando i miei antenati lo avevanoabbandonato, cominciai a cercare gli operai per la ricostruzione. Fui sempre costretto a reclutarli fuori di Anchester, perché gli abitanti del posto nutrivano una paura e un odio addirittura incredibili per la vecchia casa. Era un sentimentocosì forte che a volte riuscivano a comunicarlo ai lavoratori venuti da lontano, provocando improvvise diserzioni; né lapaura si limitava all'edificio, ma comprendeva la famiglia che vi aveva abitato. Mio figlio aveva confessato che durante le sue visite veniva spesso evitato perché era un de la Poer: mi trovai anch'io difronte all'ostracismo finché non convinsi gli abitanti del villaggio che sapevo pochissimo del nostro passato. La gente, comunque, non smise di manifestarmi una certa antipatia e per conoscere meglio le credenze locali dovetti ricorrere allamediazione di Norrys. Quello che non mi perdonavano, probabilmente, era la decisione di ricostruire un antico simbolodi terrore: per irragionevole che fosse, gli abitanti di Anchester vedevano Exham Priory come un covo di orchi e distregoni. Mettendo insieme i racconti che Norrys raccoglieva per me e le informazioni degli studiosi che avevano esaminato lerovine, mi resi conto che Exham Priory sorgeva nel sito di un tempio preistorico: una costruzione druidica o pre-druidicacontemporanea di Stonehenge. Pochi dubitavano che vi venissero compiuti riti abominevoli, ed esistevano racconti pocosimpatici che testimoniavano come certe pratiche si fossero trasferite nel culto di Cibele introdotto dai romani. Neisotterranei erano ancora visibili iscrizioni come "DIV... OPS... MAGNA. MAT..." rivolte a quella Magna Mater la cuioscura religione era stata un tempo proibita ai cittadini romani, ma invano. Anchester era stata l'accampamento della terzalegione di Augusto, come attestato da numerosi resti, e si diceva che il tempio di Cibele fosse splendido e affollato difedeli che eseguivano riti occulti sotto la guida di un sacerdote frigio. Secondo i resoconti, il declino del paganesimo nonaveva messo fine alle cerimonie nel tempio, e anzi i sacerdoti si erano adattati alle apparenze della nuova fede senzacambiare in nulla la sostanza. Allo stesso modo si diceva che i riti non fossero terminati con la fine del potere romano, eche elementi sassoni avessero ampliato l'edificio sacro dandogli la struttura che avrebbe conservato in futuro: in questomodo era divenuto il centro di un culto temuto per metà dell'eptarchia. Intorno all'anno Mille una cronaca menziona lalocalità come sede di un convento che ospitava uno straordinario e potente ordine monastico; l'edificio era circondato daampi giardini, ma non c'era bisogno di mura per tener lontana la popolazione atterrita. Il convento non fu mai distruttodai danesi, anche se un tremendo declino dovette seguire alla conquista normanna: quando Enrico III lo donò nel 1261 almio antenato Gilbert de la Poer, primo barone di Exham, non vi fu infatti alcuna opposizione. Prima di questa data non esistono racconti sinistri in relazione alla mia famiglia, ma in seguito dev'essere accadutoqualcosa di strano. In una cronaca del 1307 si fa riferimento a un de la Poer come al "maledetto da Dio", mentre leleggende del villaggio testimoniano di un terrore schiacciante nei confronti del castello che era stato eretto sui resti del vecchio tempio e del monastero. I racconti che si narravano intorno al focolare erano della più orribile natura, e ancorapiù spaventosi per la reticenza e l'evasività imposte dalla paura. I miei antenati venivano rappresentati come una razza di demoni ereditari al cui confronto Gilles de Retz e il marchese de Sade avrebbero fatto la figura di principianti, e per moltegenerazioni erano stati incolpati delle periodiche sparizioni di persone che avvenivano nel villaggio. I più odiati erano il barone e i suoi eredi diretti, su cui si accentravano sospetti gravissimi. Si raccontava che se ilprimogenito era animato da intenzioni cristiane, questi morisse prematuramente, per far posto a un più tipicorappresentante della schiatta. A quanto pare la famiglia tramandava un culto segreto presieduto dal patriarca ed escluso achiunque tranne pochi membri fedeli. I requisiti per esservi ammessi dovevano essere caratteriali più che ereditari, perchéerano entrati a farne parte uomini e donne unitisi ai de la Poer solo in seguito al matrimonio. Lady Margaret Trevor, venuta dalla Cornovaglia per sposare Godfrey (il secondo figlio del quinto barone), diventò lo spauracchio dei bambini intutta la regione e la demoniaca eroina di una vecchia, orribile ballata che ai confini del Galles qualcuno ricorda ancora. Un'altra ballata, ma di tono diverso, racconta la terribile storia di Mary de la Poer, uccisa poco dopo il matrimonio da suomarito, il conte di Shrewsfield, e dalla suocera, entrambi assolti e anzi benedetti dal sacerdote che ne ascoltò laconfessione: una confessione che né l'uno né l'altra avrebbero osato ripetere al mondo. Miti e filastrocche del genere, sia pur tipici delle superstizioni contadine, mi ripugnavano nel modo più assoluto. Laloro durata nel tempo e il costante riferirsi ai miei antenati erano cose che non potevano certo tranquillizzarmi, mentrel'accusa di abitudini mostruose sembrava suffragare l'unico scandalo conosciuto in famiglia, quello del mio giovane cuginoRandolph Delapore di Carfax, che dopo essere tornato dalla guerra messicana si era rifugiato fra i negri ed era diventatoun sacerdote vudù. Giudicavo meno interessanti le storie di lamenti e ululati che si udivano nella valle, dei pessimi odori che aleggiavanointorno alla casa dopo le piogge primaverili, della cosa bianca che si lamentava e dibatteva in mezzo ai campi nel cuoredella notte e in cui il cavallo di sir John Clave si era imbattuto per caso; del servo, infine, che era impazzito per ciò cheaveva visto in pieno giorno nell'ex-monastero. Tutta paccottiglia soprannaturale, e io ero ormai uno scettico incallito. Meno trascurabili mi parvero i resoconti relativi alla scomparsa di contadini dal circondario, benché non provassero nullase si tien conto dei costumi medievali. Essere troppo curiosi significava morire, e sui bastioni del castello era statainnalzata - a titolo dimostrativo - più di una testa mozza. Ma ormai neanche i bastioni esistevano più. Alcuni racconti erano più pittoreschi degli altri e mi facevano rimpiangere di non aver approfondito il campo dellamitologia comparata. Secondo una di queste credenze, per esempio, una legione di demoni con ali di pipistrello tenevaogni notte un sabba delle streghe nell'ex-monastero: il loro sostentamento avrebbe spiegato la spropositata abbondanza di verdure grossolane che si raccoglievano negli orti della casa. Ma il racconto più impressionante riguardava il flagello deitopi, un esercito frenetico e disgustoso che si era riversato dal castello tre mesi dopo la tragedia che aveva portato al suoabbandono: un'orda di creature smagrite, sudicie, fameliche, che dilagando dappertutto avevano divorato polli, gatti, cani, porci, pecore e perfino due sventurati esseri umani prima che la loro furia si fosse placata. Intorno all'indimenticabileesercito di roditori ruota un ciclo di leggende a parte, perché i topi si sparpagliarono fra le case del villaggio portandonella loro scia terrore e distruzione. Queste erano le credenze con cui dovetti fare i conti mentre portavo a termine, con la massima ostinatezza, i lavori direstauro dell'antico castello. Ma nemmeno per un momento bisogna credere che il mio stato d'animo fosse condizionatodai racconti: il capitano Norrys e gli studiosi che collaboravano con me mi elogiavano e mi incoraggiavano, e, quandodopo due anni l'opera fu portata a termine, la vista delle grandi stanze, dei soffitti a volta, delle finestre bifore e degli ampiscaloni mi riempì di un orgoglio che compensava le enormi spese di ristrutturazione. Ogni caratteristica medievale erastata abilmente riprodotta e le parti nuove si fondevano perfettamente con quelle originali e con le fondamenta. La casadei miei padri era completa e decisi di riscattare la pessima fama di cui godeva la famiglia, anche perché ne ero l'ultimorappresentante. Sarei vissuto a Exham e avrei dimostrato che un de la Poer (secondo la vecchia grafia, che avevo adottato)non è necessariamente un mostro. La mia sicurezza era aumentata dal fatto che, pur riproducendo un castello medievale, l'interno di Exham Priory era completamente nuovo e privo di topi o di fantasmi. Come ho detto mi trasferii nella nuova casa il 16 luglio 1923, con sette servitori e nove gatti, animali che amo in modoparticolare: la più vecchia delle mie bestiole si chiamava Nigger-Man, aveva sette anni e mi aveva seguito da Bolton, nelMassachusetts; gli altri li avevo raccolti vivendo con la famiglia del capitano Norrys mentre procedevano i lavori. Percinque giorni la nostra vita si svolse nella più assoluta tranquillità, con me che passavo il tempo a raccogliere notizie sullafamiglia. Ero in possesso, ormai, di un resoconto dettagliato del dramma che aveva portato alla fuga di Walter de la Poer, emi convinsi che il documento andato perduto a Carfax durante l'incendio parlasse di questo. A quanto pare il mioantenato veniva accusato, con ragione, di avere ucciso nel sonno tutti gli altri membri della famiglia, con l'eccezione diquattro servitori fedeli; e questo era avvenuto due settimane dopo la devastante scoperta che aveva completamentecambiato il suo carattere, ma di cui non aveva parlato a nessuno tranne ai domestici, e anche a loro per allusioni. Dopoaverlo aiutato nell'impresa, i quattro si erano dati alla macchia. Il massacro deliberato della famiglia, che oltre al padre comprendeva tre fratelli e due sorelle, era stato perdonato dagliabitanti del villaggio, e la legge lo aveva giudicato in modo così blando che l'assassino aveva potuto fuggire in Virginiaonorato, illeso e senza bisogno di ricorrere a una falsa identità. La sensazione generale era che Walter de la Poer avessepurgato il paese da un'antichissima maledizione. Quale scoperta lo avesse indotto a compiere il terribile gesto, si potevadifficilmente immaginare: ma i racconti sinistri che gravitavano intorno alla famiglia dovevano essergli noti da anni, per cui il movente non poteva essere questo. Aveva assistito a un rito antichissimo e mostruoso? Si era imbattuto, in casa o nellesue vicinanze, in qualche simbolo spaventoso e rivelatore? In Inghilterra Walter de la Poer aveva fama di essere ungiovanotto timido e gentile; in Virginia non si parlava di lui come di un uomo duro o amareggiato, ma piuttostoapprensivo e confuso. Un gentiluomo e avventuriero del suo tempo, Francis Harley di Bellview, lo descrive nel suo diariocome un individuo di specchiata onestà, delicatezza d'animo e onore. Il 22 luglio accadde il primo incidente che, per quanto sottovalutato al momento, acquista un significato terribile inrapporto con i fatti che seguirono. Si tratta di una cosa tanto semplice da sembrare trascurabile, e date le circostanze c'è dastupirsi che io ci abbia fatto caso: perché bisogna tener presente che mi trovavo in una casa completamente nuova (a partele mura), ero circondato da un gruppo di domestici fidati e ogni tipo di apprensione sarebbe stata, nonostante tutto, fuoriluogo. Ciò che ricordo è essenzialmente questo: il mio vecchio gatto nero, di cui conosco perfettamente gli umori, era sulchi vive e ansioso in modo insolito. Passeggiava da una stanza all'altra, inquieto e fremente, annusando il bordo delle paretiche formavano una parte della vecchia struttura gotica. Mi rendo conto che tutto questo sembrerà banale (comel'immancabile cane nelle storie di fantasmi, che sempre brontola prima che il padrone veda l'apparizione velata); eppurenon posso omettere il particolare. Il giorno dopo uno dei servitori si lamentò perché tutti i gatti erano inquieti; venne nel mio studio, un'alta stanza aoccidente del secondo piano, con archi a volta, rivestimenti in quercia nera e una tripla finestra gotica che guardava sullostrapiombo di pietra calcarea e la valle desolata, e mentre parlava notai la sagoma scura di Nigger-Man che strisciava lungola parete occidentale grattando sui pannelli che rivestivano l'antica pietra. Dissi al mio servitore che doveva trattarsi di unodore o comunque di un'emanazione dalla vecchia parete, qualcosa che i sensi umani non percepivano ma che disturbavaquelli delicatissimi dei gatti anche attraverso il legno. Credevo sinceramente in quel che dicevo, e quando il cameriereavanzò l'ipotesi che potessero esserci sorci o ratti, gli ricordai che non ce n'erano più da trecento anni e che i comuni topicampagnoli non potevano arroccarsi in mura così alte, dove non s'era mai sentito che vivessero. Il giorno dopo miconsultai con il capitano Norrys e mi assicurò che l'ipotesi di un'invasione di topi campagnoli era inverosimile, specie cosìall'improvviso come gli dicevo. Quella sera, allontanato il mio cameriere personale, mi ritirai nella stanza della torte occidentale che avevo scelto perme e che si raggiungeva attraverso una scala di pietra e un breve corridoio. La scala era in parte antica, il corridoio deltutto rifatto. La stanza era circolare, molto alta e senza pannelli in legno, perché l'avevo tappezzata con stoffe sceltepersonalmente a Londra. Vedendo che Nigger-Man era con me, chiusi la pesante porta gotica e mi ritirai alla luce dellelampade elettriche che avevano la forma di candele; infine girai l'interruttore e mi infilai nel letto a baldacchino, col venerabile gatto ai miei piedi come sempre. Non tirai le cortine del letto, ma guardai la grande finestra settentrionale chemi stava di fronte. Nel cielo c'era un debolissimo chiarore e il delicato telaio della finestra era messo piacevolmente inrisalto. A un certo punto devo essermi addormentato, perché quando il gatto trasalì, abbandonando il solito posto, stavosognando. Lo vidi nel debole chiarore della finestra, con la testa protesa in avanti, le zampe anteriori sulle mie caviglie equelle posteriori tese indietro. Nigger-Man fissava intensamente un punto della parete che si trovava un po' a occidentedella finestra e in cui io non vedevo niente di strano, pur osservandolo con la massima attenzione. All'improvviso mi resiconto che l'eccitazione del gatto non era ingiustificata, e anche se non sono certo che l'arazzo si muovesse (ma penso di sì, almeno un poco), giuro che dietro di esso sentii un inconfondibile trepestio di topi. In un attimo Nigger-Man balzò sulrivestimento di stoffa, lacerandolo in parte con il suo peso e mettendo a nudo un antico tratto del muro di pietra. Irestauratori lo avevano riparato qua e là e nessuno si era accorto dei topi. Nigger-Man passeggiava lungo il muro, lacerando con le unghie il pezzo di arazzo caduto e cercando a volte di infilare la zampa fra il punto in cui finiva il muro eil pavimento di legno: non trovò niente e dopo un poco tornò al suo posto, ai miei piedi. Io non mi ero mosso, ma quellanotte non dormii affatto. La mattina dopo interrogai tutti i domestici, scoprendo che nessuno aveva notato qualcosa di insolito. Solo la cuocaricordava lo strano comportamento di un gatto che dormiva sul davanzale di camera sua: a un'ora imprecisata della nottesi era messo a miagolare, svegliandola in tempo per vederlo infilare la porta delle scale. Verso mezzogiorno andai ariposare un poco e nel pomeriggio feci visita al capitano Norrys, che fu molto interessato ai miei racconti. Gli straniincidenti (piccoli ma curiosi) eccitarono il suo senso del pittoresco e lo indussero a rievocare una quantità di storiesovrannaturali della regione. La presenza dei topi ci lasciava comunque perplessi: Norrys mi prestò trappole e velenotopicida, che feci piazzare dai domestici nei punti strategici. Quella sera andai a letto presto perché ero molto stanco, ma fui tormentato da sogni orribili. Avevo l'impressione diguardare, da grande altezza, una caverna immersa nella penombra e piena di rifiuti fino al ginocchio; un demone-porcarodalla barba bianca guidava con una lunga pertica un gregge di bestie flaccide e pallide come funghi, il cui aspetto miriempì del più assoluto ribrezzo. Poi, quando il porcaro si fermò e annuì compiaciuto per aver portato a termine il suocompito, un enorme sciame di topi si precipitò nella caverna appestata e divorò contemporaneamente gli animali e ilguardiano. Da quella terribile visione mi svegliò un brusco movimento di Nigger-Man, che come al solito dormiva sui miei piedi. Stavolta non fu necessario domandarmi il perché dell'inquietudine e del miagolio del gatto, né dello scatto con cui mi piantò le unghie nelle caviglie, senza preoccuparsi del mio dolore: le pareti erano vive d'un trepestio sconvolgente, lamarcia velocissima di giganteschi topi affamati. Dalla finestra non giungeva il chiarore della notte prima e non potevogiudicare lo stato della tappezzeria (la cui parte rovinata era stata sostituita dai camerieri), ma non ero così spaventato danon poter accendere la luce. Al chiarore della lampadina vidi che l'arazzo tremava da cima a fondo, e il disegno, piuttosto bizzarro, eseguiva unastrana danza di morte sulle pareti. Quasi immediatamente il movimento si arrestò e con esso il rumore. Balzai in piedi, tastai la tappezzeria con il lungo manico di uno scaldaletto e ne sollevai un lembo per vedere che cosa si nascondessedietro. Niente, a parte il muro di pietra, e anche il gatto non avvertiva più le presenze estranee. Esaminai la trappolarotonda che avevo piazzato in camera e scoprii che in qualche modo era scattata, anche se non restava traccia di ciò cheera rimasto imprigionato e poi era fuggito. Di dormire non se ne parlava neppure, così accesi una candela e attraversai il corridoio che portava alle scale. Volevoandare nel mio studio, e Nigger-Man mi stava alle calcagna. Prima di aver raggiunto i gradini di pietra il gatto mi passòdavanti e scomparve in fondo alla scalinata: mentre anch'io scendevo mi resi conto che nella stanza al piano di sotto c'eraun gran baccano, un inconfondibile trepestio. Le pareti rivestite di legno brulicavano di topi in corsa, e Nigger-Manbalzava da un punto all'altro dello studio con la rabbia del cacciatore frustrato. Arrivato in fondo alle scale accesi la luce, ma stavolta il fracasso non diminuì. I topi continuavano a correre dietro i muri, e la chiarezza dei loro passi mi permise diindividuare la direzione verso cui marciavano. Quelle bestie, tante da sembrare inesauribili, migravano dalle parti alte delcastello a profondità abissali e addirittura inconcepibili sotto di esso. Sentii dei passi in corridoio e in un attimo due servitori aprirono la porta massiccia: frugavano la casa per individuarel'origine del fenomeno che aveva gettato i gatti nel panico, spingendoli a precipizio giù per le scale che conducevano allaporta della cantina. Una volta arrivati, i gatti si erano appiattiti contro la porta e avevano cominciato a sbuffare emiagolare. Chiesi ai servitori se avessero sentito il trepestio dei topi, ma risposero di no. Quando richiamai la loroattenzione sui rumori dietro i pannelli, mi resi conto che erano cessati. Insieme ai due uomini scesi in cantina, ma i gatti sierano ormai dispersi. Mi ripromisi di esplorare personalmente i sotterranei e per il momento esaminai le trappole: eranotutte scattate e tutte vuote. Accertatomi che nessuno aveva sentito i topi tranne i gatti e me, rimasi nello studio fino almattino a riflettere profondamente, cercando di ricordare ogni particolare delle leggende che riguardavano il castello. Nel pomeriggio dormii un poco nell'unica poltrona comoda che, nonostante i piani di ristrutturazione medievale, nonmi ero sentito di abolire e che si trovava in biblioteca; più tardi telefonai al capitano Norrys, che mi raggiunse e mi aiutònell'esplorazione dei sotterranei. Non trovammo niente di anormale, ma non potemmo reprimere un brivido al pensiero che quei cunicoli erano staticostruiti da operai romani. Gli archi bassi e le colonne massicce parlavano di Roma, non delle goffe imitazioni fatte daisassoni in ardore di latinità, ed esprimevano il severo e armonioso classicismo dell'età dei Cesari. Le pareti abbondavanodi iscrizioni familiari agli archeologi che avevano più volte visitato il luogo: parole come "P. GETAE. PROP... TEMP... DONA..." e "L. PRAEC... VS... PONTIFI... ATYS..."Il riferimento ad Ati mi fece accapponare la pelle, perché avevo letto Catullo e sapevo qualcosa degli orribili riti del dioorientale, il cui culto era profondamente collegato a quello di Cibele. Alla luce delle lanterne Norrys ed io cercammo diinterpretare i bizzarri disegni - quasi del tutto cancellati - che ornavano i rozzi blocchi di pietra che la maggior parte deglistudiosi riteneva altari. Non riuscimmo a ricavarne nulla, ma ricordammo che un motivo ricorrente (una specie di sole coni raggi) era, secondo gli archeologi, di origine non romana e sembrava testimoniare che i sacerdoti di età imperialeavessero ereditato gli altari da un più antico tempio aborigeno edificato nello stesso luogo. Su uno dei blocchi c'eranomacchie brune che mi insospettirono; la superficie del più grande, al centro della sala, recava tracce di fuoco o di utensiliper appiccare il fuoco: probabilmente vi si bruciavano sacrifici. Era questo lo spettacolo offerto dal sotterraneo davanti alla cui porta i gatti si erano scatenati, e in cui Norrys e ioavevamo deciso di passare la notte. I domestici portarono giù due brande e ricevettero l'ordine di non preoccuparsi delcomportamento notturno delle bestiole; Nigger-Man, dal canto suo, fu ammesso nel sotterraneo come aiuto e comecompagno. Decidemmo di tener chiusa la grande porta di quercia che avevo ricostruito con apposite fessure per la ventilazione; compiuta questa operazione, ci ritirammo con le lanterne accese per vedere cosa sarebbe successo. Il sotterraneo scendeva indubbiamente a grande profondità sotto la casa, spingendosi nelle viscere della parete calcareache sovrastava la valle. Centinaia d'inspiegabili topi mi avevano preso di mira, su questo non avevo dubbi: ma perché? Impossibile trovare una risposta. La veglia si mescolò a sogni incerti e più di una volta ne fui scosso dai movimentiinquieti del gatto. I sogni non erano tranquillizzanti, ma orrendi come quelli che avevo avuto la notte prima. Vidi ancorauna volta la caverna in penombra e il porcaro con le sue bestie pallide, abominevoli, che si rotolavano nella sporcizia e cheora sembravano più vicine, più chiare: tanto che potevo quasi studiarne i lineamenti. Lo feci, osservandone una inparticolare, e mi svegliai con un urlo così terribile che Nigger-Man trasalì e il capitano Norrys - il quale non si eraaddormentato - scoppiò a ridere di cuore. Se avesse visto quel che mi aveva fatto gridare avrebbe riso forse di più... o dimeno. Io stesso riuscii a ricordare qualche particolare solo in seguito, perché l'orrore totale possiede la misericordiosafacoltà di paralizzare la memoria. Norrys mi svegliò di nuovo quando cominciarono i rumori. Stavo facendo lo stesso, orribile sogno, ma con un bonario scrollone egli m'invitò a prestare attenzione all'inquietudine dei gatti. Era veramente un pandemonio, perché oltre la portain cima alle scale i felini miagolavano e grattavano con le unghie, mentre Nigger-Man, incurante dei compagni lasciatiall'esterno, correva eccitato lungo il perimetro delle pareti di pietra al di là delle quali sentivo la stessa babele di topi che miaveva disturbato la notte precedente. Provai un terrore acuto, perché mi trovavo di fronte ad anomalie che non si potevano spiegare in modo razionale. Itopi (ammesso che non fossero il prodotto d'una specie di follia che condividevo con i gatti) si annidavano, escorrazzavano, nelle mura romane che credevo composte di solidi blocchi di pietra. Certo, era possibile che in più didiciassette secoli l'azione dell'acqua avesse scavato una serie di gallerie che i roditori avevano provveduto a sfruttare, maanche in questo caso l'orrore non diminuiva: se l'invasione era opera di animali vivi, come mai Norrys non li sentiva? Perché mi invitava ad ascoltare i gatti e si limitava a fare ipotesi vaghe e fantastiche sul motivo della loro inquietudine? Ero appena riuscito a spiegargli, più ragionevolmente che potevo, quello che mi sembrava di sentire, quando mi giunsealle orecchie l'ultima eco dei topi in marcia, sempre più immersi nelle viscere della terra
e a tale lontananza dalle cantine delpalazzo da dare l'impressione che tutta la parete di roccia brulicasse di animali. Norrys non si mostrò scettico come avevotemuto ma sembrò profondamente commosso. Mi fece osservare che i gatti davanti alla porta non facevano più baccano, come se dessero i topi per dispersi; Nigger-Man, dal canto suo, continuava ad essere inquieto e grattava freneticamenteintorno alla base del grande altare di pietra al centro della sala, più vicino al giaciglio di Norrys che al mio. A questo punto il mio terrore dell'ignoto era molto grande. Si era verificato qualcosa di straordinario e mi resi contoche lo stesso capitano Norrys - un uomo più giovane, più forte e presumibilmente più materialista - era impressionatoquanto me, forse a causa della sua familiarità con le leggende locali. Ma per il momento non potevamo fare altro cheguardare il vecchio gatto nero, il quale zampettava intorno all'altare con meno fervore di prima e ogni tanto mi guardavamiagolando, con l'aria di quando vuole che gli faccia un piacere. Norrys prese una lampada vicino all'altare ed esaminò il punto dove si aggirava Nigger-Man, quindi si inginocchiò insilenzio e grattò i licheni accumulati da secoli che univano il rozzo blocco preromano al pavimento tassellato. Non trovòniente e stava per abbandonare ogni sforzo quando io notai un particolare insignificante che, pur non indicando nulla chenon avessi già immaginato, mi fece trasalire. Ne parlai a Norrys e osservammo il quasi impercettibile fenomeno conl'intensità di chi ha appena fatto una scoperta affascinante e in qualche modo attesa. Tutto si riduceva a questo: la fiammadella lampada vicino all'altare tremolava per una corrente d'aria che prima non aveva ricevuto, e che indubbiamente venivadalla fessura fra il pavimento e l'altare dove Norrys aveva grattato i licheni. Trascorremmo il resto della notte nel mio studio ben illuminato, discutendo con nervosismo su quello che ci convenivafare. La scoperta che un nuovo sotterraneo, più profondo della più profonda galleria romana, correva sotto l'edificiomaledetto (un sotterraneo di cui gli archeologi, per tre secoli, non avevano sospettato l'esistenza) sarebbe bastata ariempirci di agitazione anche senza le leggende diaboliche. Stando così le cose il fascino era duplice: e ci chiedemmo sefosse il caso di abbandonare l'ex-monastero per prudenza superstiziosa o se dovessimo soddisfare il nostro sensodell'avventura e addentrarci fra gli orrori che potevano celarsi nelle profondità sconosciute. Quando venne il mattino avevamo raggiunto una decisione di compromesso: saremmo andati a Londra per raccogliereun gruppo di archeologi e uomini di scienza in grado di risolvere il mistero. Devo precisare che prima di abbandonare ilsotterraneo avevamo cercato invano di muovere l'altare centrale, che ora sapevamo essere la soglia di nuovi e terrorizzantiabissi. Uomini più sapienti di noi avrebbero svelato il segreto di quella particolare via d'accesso. Nei giorni seguenti il capitano Norrys e io sottoponemmo fatti, congetture ed episodi leggendari a cinque eminentiautorità, uomini che avrebbero osservato il segreto professionale nel caso di scoperte compromettenti per la mia famiglia. Per fortuna non sottovalutarono le nostre affermazioni, ma anzi si mostrarono interessati e comprensivi. Non è il caso dinominarli tutti, ma posso dire che uno di essi era Sir William Brinton, i cui scavi nella Troade avevano fatto sensazione nelmondo. Quando prendemmo il treno per Anchester mi parve di essere sull'orlo di rivelazioni mostruose, sensazionerafforzata simbolicamente dall'aria abbattuta dei molti americani che incontrammo, in lutto per l'improvvisa morte delPresidente all'altro capo del mondo. La sera del 7 agosto arrivammo ad Exham Priory, dove i domestici mi assicurarono che non era accaduto nulla distrano. I gatti, anche il vecchio Nigger-Man, erano rimasti tranquilli e in casa non era scattata una sola trappola. Poichéavremmo cominciato l'esplorazione il giorno seguente, sistemai i miei ospiti nelle migliori stanze e ci ritirammo. Io dormiicome al solito nella camera della torre, con Nigger-Man ai miei piedi. Mi addormentai presto e feci sogni orribili: primami sembrò di essere a un banchetto romano dell'epoca di Trimalcione, dove qualcosa di abominevole veniva servito in unpiatto coperto; poi venne l'incubo ricorrente del porcaro e delle orribili bestie nella caverna semi-illuminata. Quando misvegliai era giorno pieno e al piano di sotto risuonavano i rumori familiari della casa. I topi, vivi o spettrali che fossero, non mi avevano disturbato e Nigger-Man era ancora addormentato. Al piano inferiore regnava la stessa tranquillità:condizione che uno degli studiosi - un certo Thornton, specializzato in fenomeni psichici - attribuì assurdamente al fattoche ormai mi era stato mostrato ciò che determinate potenze volevano mostrarmi. Eravamo pronti, e alle undici del mattino ci immergemmo nei sotterranei chiudendo la porta di legno alle nostre spalle:eravamo in sette, muniti di potenti lampade e attrezzi per scavare. Nigger-Man fu ammesso nel gruppo perché nessunotrovò da obiettare alla sua eccitabilità e qualcuno disse che avrebbe potuto aiutarci nel caso di eventuali apparizioni dei roditori. Ci soffermammo brevemente sulle iscrizioni romane e sui misteriosi disegni sugli altari, anche perché liconoscevamo e sapevamo quali erano le loro caratteristiche. L'attenzione maggiore fu dedicata all'altare centrale, che nelgiro di un'ora Sir William Brinton riuscì a far inclinare all'indietro, tenendolo in equilibrio grazie a un non meglioidentificato contrappeso. Ai nostri occhi si presentò uno spettacolo che ci avrebbe sopraffatti se non fossimo stati preparati. Attraversoun'apertura grossolanamente squadrata nel pavimento scendeva una rampa di gradini talmente consunti che al centrosembravano un piano inclinato o poco più; e su di essi, in disordine, erano sparpagliati macabri resti di ossa umane osemi-umane. Gli scheletri in qualche misura integri erano in posizioni tali da suggerire un vero e proprio terror panico esu tutti notammo le tracce di morsi di topi; i crani facevano pensare a individui poco lontani dalla condizione scimmiesca, primitivi o vittime del cretinismo. Sugli orribili gradini si apriva un corridoio a volta, in discesa, che sembrava scavato nellaroccia e da cui proveniva una corrente d'aria. Non era il miasma improvviso che sale da una tomba appena aperta, ma anziuna brezza piuttosto fresca. Non ci fermammo a lungo e rabbrividendo cercammo di farci strada verso il basso. Fu allorache Sir William, esaminando le pareti del budello, fece la strana osservazione che a giudicare dalla direzione dei colpi dipiccone il corridoio doveva essere stato scavato
dal basso.
Ora devo essere molto attento e scegliere le parole. Dopo aver fatto qualche gradino fra le ossa mangiucchiate vedemmo una luce: nessuna "fosforescenza spettrale", ma ilnormale chiarore del giorno che non poteva arrivare a quelle profondità se non attraverso ignote spaccature nella pareteche sovrastava la valle. Non c'era da stupirsi che all'esterno nessuno le avesse notate, perché la valle era completamentedisabitata e la parete così alta e ripida che solo un aeronauta sarebbe riuscito a esaminarne i particolari. Ancora pochi passie il fiato quasi ci mancò per la sorpresa: lo dico letteralmente, perché Thornton, l'investigatore dell'occulto, svenne fra lebraccia dell'uomo che lo seguiva. Norrys, con il faccione bianco e stravolto, emise un grido inarticolato e io sussultai o feciun versaccio, coprendomi gli occhi. L'uomo alle mie spalle (l'unico del gruppo più anziano di me) farfugliò l'abusato"Buon Dio!" nella voce più fessa che abbia mai udito. Su sette uomini solo Sir William Brinton mantenne la suacompostezza, cosa ancor più notevole considerando che guidava il gruppo e dunque aveva visto la cosa per primo. Era una caverna semi-illuminata di enorme altezza, tanto vasta che l'occhio non riusciva a vederne la fine; un mondosotterraneo di mistero infinito e orribili suggestioni. C'erano edifici e altri resti architettonici: con uno sguardo atterrito vidi un fantastico intreccio di tumuli, un cerchio selvaggio di monoliti, un rudere romano dalla volta bassa, una rovina deisassoni e un antico edificio inglese di legno... ma tutto questo era niente a confronto dell'orribile spettacolo offerto dallasemplice superficie della caverna. Per metri e metri intorno ai gradini si stendeva un folle miscuglio di ossa umane, omeglio ossa che sembravano umane come quelle sui gradini. Simili a un mare spumeggiante, alcune erano fracassate maaltre in tutto o in parte articolate fino a formare veri e propri scheletri; questi ultimi giacevano invariabilmente in postureallucinate, come se avessero tentato di allontanare un pericolo o di afferrare altri corpi con l'intento di divorarli. Quando il dottor Trask, l'antropologo, si chinò sugli scheletri per cercare di classificarli, scoprì che si trattava di incrocidegeneri che sfidavano ogni collocazione. Una parte denotavano esseri che erano appartenuti a un livello evolutivoinferiore all'uomo di Piltdown, pur essendo senz'altro umani. Altri, ed erano la maggior parte, si ponevano su un gradinosuperiore, mentre alcuni erano senz'altro i crani di individui di piena e sviluppata sensibilità. Tutte le ossa recavano segnidi morsi: per lo più di roditori, ma non mancavano quelli umani o quasi-umani. Mescolate alle altre c'erano piccole ossa ditopi, membri caduti dell'esercito letale che aveva concluso l'antica epopea. Mi stupisce che i miei compagni ed io siamo sopravvissuti alle scoperte di quell'orribile giorno e che abbiamoconservato la nostra sanità di mente, perché né Hoffmann né Huysmans avrebbero potuto concepire una scena più folle eincredibile, più grottesca in senso gotico della caverna semi-illuminata in cui barcollavamo. Ogni passo era un inciampo inuna nuova rivelazione, ma cercavamo (almeno per il momento) di non pensare agli avvenimenti che dovevano essereaccaduti in quel posto trecento, mille, duemila o diecimila anni prima. Era l'anticamera dell'inferno, e il povero Thorntonsvenne di nuovo quando Trask gli disse che alcuni scheletri appartenevano a esseri che si erano trascinati nell'abisso aquattro zampe nel corso delle ultime venti generazioni o più. Orrore si aggiunse a orrore quando cominciammo a osservare i resti architettonici. I quadrupedi - con qualcheoccasionale compagno reclutato nella classe dei bipedi - erano stati tenuti in recinti di pietra dai quali erano riusciti aevadere in un ultimo delirio di fame e terrore dei topi. Inizialmente dovevano aver costituito un grosso gregge, ingrassatoa quanto pareva con i grossolani vegetali i cui resti formavano una sorta di muffa velenosa in fondo a grandi contenitori dipietra più antichi di Roma. Ora sapevo perché i miei antenati avevano tenuto orti così grandi... volesse il cielo che potessidimenticarmene! Lo scopo per cui il gregge veniva ingrassato era evidente. Sir William, che stava con la torcia nel rudere romano, tradusse ad alta voce il rituale più macabro che abbia mai udito eci rivelò la dieta del culto antidiluviano che i sacerdoti di Cibele avevano assimilato al loro. Norrys, pur essendo unsoldato, non riusciva a reggersi in piedi quando emerse dall'edificio inglese. Era una macelleria e insieme una cucina, maquesto se l'era aspettato: tuttavia vedere in un posto simile strumenti familiari e leggere semplici graffiti nella nostralingua, alcuni risalenti appena al 1610, era stato troppo. Io non ebbi la forza di entrarci, ma ricordai che solo la lama delmio antenato Walter de la Poer era riuscito a fermare le diaboliche attività che fervevano in quell'edificio. Trovai la forza, invece, di varcare la soglia della costruzione sassone, la cui porta di quercia era caduta. All'interno scoprii dieci terribili celle di pietra con le sbarre arrugginite; tre di esse custodivano ancora i loro occupanti, scheletriumani evoluti al dito d'uno dei quali trovai un anello con il sigillo della mia famiglia. Sir William scoprì una cripta conprigioni molto più antiche sotto la cappella romana, ma erano vuote. Sotto di esse correva un'altra cripta, piuttosto bassa epiena di casse dove le ossa erano sistemate in bell'ordine; su alcune erano incise formule terribili in latino, greco e nellalingua di Frigia. Nel frattempo il dottor Trask aveva scoperchiato uno dei tumuli preistorici e aveva portato alla luce cranipoco più simili a quelli umani che a quelli dei gorilla, su cui erano incisi ideogrammi indescrivibili. Solo il mio gattocamminava indisturbato fra tanti orrori. Una volta lo vidi mostruosamente arcuato su una montagna d'ossa e mi chiesiquali segreti nascondessero i suoi occhi gialli. Ormai avevo afferrato, sia pur in piccola parte, le spaventose rivelazioni della caverna che il sogno mi aveva anticipato. Insieme agli altri mi volsi verso la parte scura dell'antro, quello in cui la luce non penetrava affatto. Non sapremo mai qualimondi infernali si spalancassero, invisibili, oltre il breve tratto che percorremmo, anche perché decidemmo che all'umanitànon conviene svelare segreti del genere; ma dove arrivammo ce n'era abbastanza per annichilirci. Non eravamo avanzati dimolto che le torce mostrarono l'infinita successione di cunicoli maledetti in cui i topi avevano banchettato finchél'improvvisa scarsità di cibo non li aveva spinti ad assalire il gregge di creature flaccide e ad uscire dal castello, nello storicoflagello che i contadini non sapevano dimenticare. Dio, cunicoli neri come la pece e colmi di ossa morsicate, fracassate e crani aperti! Abissi d'incubo strozzati dai resti dipitecantropi, celti, romani e inglesi per secoli e secoli! Nessuno poteva dire quanto fossero profondi, e alcuni erano pienifino all'orlo... Altri, letteralmente senza fondo, si offrivano alle più sfrenate fantasticherie. Che ne era stato, mi chiesi, deitopi che durante la corsa cieca e famelica in quella specie di Tartaro erano precipitati in trappole del genere? Una volta il mio piede vacillò sul bordo di un orribile pozzo e fui preso da un panico indicibile; probabilmente erorimasto indietro a riflettere, perché, a parte il grasso capitano Norrys, non vedevo nessun altro membro del gruppo. Misembrò di riconoscere un suono che saliva dalle profondità tenebrose e incommensurabili, vidi il mio fido gatto nerosfrecciarmi accanto come una divinità alata dell'Egitto e precipitarsi nell'abisso. Non mancò molto perché lo seguissi, eormai non c'erano dubbi: quello che sentivamo era il trepestio antichissimo dei topi, sempre in cerca di nuovi orrori eintenzionati a guidarmi nelle fosse al centro della terra dove Nyarlathotep, il dio folle e senza volto, urla cieco nelletenebre ed è accompagnato da due flautisti amorfi e idioti. La mia torcia si era spenta, ma continuavo a correre. Sentivo voci, urla, echi e soprattutto l'empio, insidioso trepestio;saliva lentamente in superficie, saliva come un gonfio cadavere che affiora alla superficie placida d'un fiume sotto infinitiponti d'onice, un fiume destinato a sfociare nell'oceano nero. Qualcosa dentro di me batteva forte, qualcosa di morbido eleggero. Dovevano essere i topi, l'esercito vischioso, famelico, peloso che banchetta sui resti dei vivi e dei morti... Perché itopi non dovrebbero divorare un de la Poer, come i de la Poer divoravano carni proibite...? La guerra ha divorato miofiglio, maledizione... Gli Yankee hanno distrutto Carfax col fuoco, e il vecchio signor Delapore è morto col suo segreto... No, no, vi dico, non sono io il demone porcaro di quella grotta in penombra! Non è la faccia pasciuta di Edward Norrysche ho riconosciuto, in sogno, guardando l'essere biancastro! Chi ha detto che sono un de la Poer? Lui è sopravvissuto, mail mio ragazzo è morto...! Un Norrys deve godersi le terre dei de la Poer? È magia vudù, ecco cosa... Il serpente maculato... Maledetto Thornton, ti insegno io a svenire davanti agli atti della mia famiglia... Io t'ammazzo, vilissimo, ti fo vedere comesi fa... oseresti resistermi?
Magna Mater! Magna Mater!... Atys... Dia ad aghaidh's ad aodanr.. agus bas dunach ort! Dhonas's dholas ort, agus leatsa!... Ungl.. ungl... rrrlh... chchch...
Sono queste le parole che urlavo quando, tre ore dopo, mi trovarono accoccolato sul cadavere semidivorato delcapitano Norrys, col mio gatto che minacciava di squarciarmi la gola con gli artigli. Hanno fatto saltare Exham Priory, hanno portato via Nigger-Man e mi hanno rinchiuso in questa stanza ad Hanwell, mormorando cose spaventose sulle mieesperienze ereditarie.
Thornton si trova nella cella accanto, ma non mi permettono di parlargli. Stanno cercando dioccultare tutte le prove di ciò che è avvenuto nell'ex-monastero. Quando parlo del povero Norrys mi accusano di coseorribili, ma devono sapere che non sono stato io a farle. Devono sapere che sono stati i topi, i topi veloci e inafferrabili ilcui trepestio non mi farà più dormire; i topi diabolici che continuano a precipitarsi dietro le pareti imbottite della cella e vogliono guidarmi verso orrori più grandi di quelli che ho mai conosciuto; i topi che essi non sentiranno mai: i topi, i topinel muro.
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