Una tempesta, sembrava davvero una tempesta, l'acqua scrosciava fitta e fastidiosa e a contatto con il terreno si polverizzava, sollevando nuvole di minutissime particelle che sfrangiavano le luci di quella sera invernale.
Io ero al riparo sotto la pensilina degli autobus, insieme ad altri, che odoravano di pioggia mescolata al calore del corpo che evaporava dai loro abiti.
Una scena irreale, un suono acuto e lacerante, sempre più intenso, poi una luce arancione che danzava fra la pioggia, sempre più vicina, incombente. Si fermò proprio davanti ai miei occhi, per quel poco che si poteva vedere, le raffiche di vento a tratti aprivano un sipario da dove si scorgeva un'ambulanza, ferma con i portelloni aperti e delle sagome bianche intente attorno ad un uomo vestito di stracci. Lo caricarono sulla lettiga, mi parve che avesse il volto coperto da un lenzuolo, buttarono a bordo anche due grossi sacchi, la "sua casa il suo guardaroba" e poi partirono a sirene spiegate... inutilmente.
Il cielo aveva smesso di piangere lasciando le strade lucide di lacrime, un altro urlo nella notte che non ascolterà nessuno.