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La passione di "Re Giovedì" - Le vacanze degli innocenti parte seconda

LE VACANZE DEGLI INNOCENTI PARTE SECONDA
(La passione di”Re Giovedì”)
Di Vittorio Frau

“Re Giovedì” era uno degli svariati nomignoli con il quale era noto negli ambienti cagliaritani il mio amico Orlando, un ameno individuo dal volto patibolare, dotato di un senso dell’umorismo fuori dal comune e di una carica erotica che rasentava la patologia clinica. Era noto per provare attrazione sessuale verso qualunque essere vivente (o morto da poco), purché maggiorenne, consenziente e naturalmente appartenente all’altro sesso. Il bizzarro soprannome gli era stato affibbiato a causa di un originalissimo sistema di “abbordaggio” che gli consentiva di ghermire varie prede con le quali dare sfogo ai suoi istinti bestiali: il Giovedì, infatti, era a quei tempi il giorno di riposo settimanale delle collaboratrici domestiche, che egli soleva attendere pazientemente fin dalle prime ore del pomeriggio nei pressi della stazione ferroviaria di Piazza Repubblica, attirandole verso la sua direzione con potenti fischi a risucchio, per poi conquistarle grazie alla facilità con la quale riusciva ad inventare spaventose bugie che avrebbero fatto vergognare persino Pinocchio.
Condividevo con “Re giovedì” il più totale disprezzo per viaggi e vacanze, ma purtroppo alcuni amici privi di scrupoli studiarono un diabolico piano con il quale riuscirono a scardinarne le difese. Costoro, infatti, con una paziente opera di convincimento basata su un castello di menzogne, riuscirono a convincere Orlando che nei campeggi della Costa Smeralda era sufficiente schioccare le dita perché la tendina canadese venisse invasa da straniere assetate di sesso, che erano irresistibilmente attratte dagli italiani con il petto villoso. Questo tarlo cominciò a divorare lentamente il muro antivacanze che “Re Giovedì” aveva eretto. Nei giorni successivi al colloquio con gli amici appariva sognante e pensieroso, faceva lunghe passeggiate solitarie al tramonto, formandosi con l’indice della mano destra dei riccioli di pelo sul petto che come villosità non era inferiore a quello di qualsiasi gorilla mai apparso sulle terre emerse; ricordo che qualcuno ha persino giurato di averlo visto ululare sulla sommità di “Monte Urpinu”. La fatidica telefonata mi giunse all’alba del 13 agosto 1982: “Vittorio ho deciso, IO CI VADO!” Fu come essere trafitto da un giavellotto, caddi nello sconforto più totale, inforcai la mia “Vespa PX 125” che nel corso degli anni aveva preso il posto del “Bravo” giovanile e, cieco di dolore, feci un centinaio di giri della città alla velocità di 90 Km orari, seminando il panico fra automobilisti e pedoni che mi osservavano esterrefatti. Terminato il carburante mi fermai, spinsi mestamente la “vespa” fino a casa e mi distesi sul pavimento al buio, con le braccia aperte a mo’ di Cristo in croce e gli occhi sbarrati. Dopo cinque ore di spaventosi conflitti interiori, maturai l’insana decisione e comunicai a “Re Giovedì” l’intenzione di non abbandonarlo nei difficili giorni che prevedevo avrebbe vissuto di lì a poco.

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1 commenti:

  • Anonimo il 05/12/2011 10:03
    molto ben scritto, complimenti...

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