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Tentato suicidio per crisi depressiva
Marta socchiuse gli occhi, sentì le membra intorpidite e deboli.
La bocca amara, impastata, imponeva una difficile deglutizione.
Aveva trascorso la notte dormendo profondamente di un sonno oblioso, sedata da potenti sonniferi.
I polsi le bruciavano; guardandoli vide che candide fasce, costellate di macchie brune, le avvolgevano la zona tra il radio e il carpo. Le mani apparivano esangui.
Provò a cambiare posizione ma comprese che le sue caviglie erano imprigionate alle cinghie ben saldate nelle sponde del letto.
Alzando gli occhi incontrò, appesa ad un'asta, una sacca di sangue che, scorrendo lentamente, stillicidiava goccia a goccia nel tubo trasparente quel liquido ematico raggiungendo le sue vene.
Lo sguardo spaziò lentamente più in là, tutto attorno.
Si trovava in un locale molto vasto dai soffitti altissimi; dal colore delle pareti s'indovinava che, in un tempo remoto, le avevano tinteggiate di bianco.
Alle finestre c'erano infisse solide e claustrofobiche grate. In un numero considerevole di letti giacevano diverse donne accomunate da un pallore donato dalla lunga degenza spedaliera.
Alcune stavano stese in una posizione che rasentava la staticità marmorea! Gli occhi sbarrati, atterriti, vetrificati e nulla distoglieva quegli sguardi dalla loro catalessia, avendo chiuso ogni comunicazione con l'esterno s'erano insellate in una dimensione sconosciuta a chi le attorniava.
Altre sembravano colpite dal castigo di un Dio olimpico il quale imponeva loro, come fardello espiatorio, movimenti ripetitivi alle braccia.
Tutte quelle creature formavano una compagine bizzarra diversificata nel comportamento e dall'età.
Nel letto affianco al suo, sul lato destro, seduta mollemente addossata ai cuscini, giaceva una bellissima giovane; l'abbondante, fulva capigliatura dalla massa lunga e ondulata,
rammentava il colore tiziano delle foglie autunnali. Tale luminosità le incorniciava il volto, dai lineamenti botticelliani, infondendole una luce dorata.
Il turgore delle piccole labbra tradiva un'adolescenza abbandonata da poco.
Con le candide mani raccoglieva la stoffa della sua bianca camicia; drappeggiandola sopra il ventre nudo, avvolgeva il tessuto formando una rosa.
L'artificio dai petali fittizi troneggiava sopra il suo palpitante promontorio dall'incarnato eburneo.
Lo sguardo stupito di Marta seguì una traccia di vermiglia: le macchie tratteggiavano una rotta prestabilita. Da quel fiore simulato, posto là sopra, scendevano lungo il pendio del grembo stille rossastre che s'inabissavano nel folto groviglio del pube dal quale sgorgava un lieve fiotto di sangue che macchiando il lenzuolo formava una piccola pozza rossastra.
La mano della ragazza, dalle dita affusolate, attingeva quel liquido purpureo e con esso stillava la rosa di minuscole gocce.
Marta, allibendo, faticosamente distolse lo sguardo da quella insolita allucinante visione, avvertendo una morsa imprigionarle lo stomaco e salirle la nausea fino in gola inondandole la bocca di saliva. Trattenne a stento i conati di vomito.
La sera precedente la condussero d'urgenza al pronto soccorso di quel grande complesso ospedaliero ove, dopo averle prodigato le prime cure, le suturarono i polsi e la trasferirono al reparto neurologico diagnosticandole: "Tentato suicidio per crisi depressiva."
Dalle brume del sonnifero riemerse nitida la scena blasfema alla quale aveva assistito la sera prima, ed era stata quella oscena realtà a toglierle ogni desiderio di vita.
Ora si trovava in quello squallido ambiente accomunata con le pazze. Fu follia voler evadere da ciò che è umanamente insopportabile?
Chi poteva standardizzare quantificando il dolore e la causa scatenante per la quale tutte quelle creature erano finite in tal reparto di derelitte?
Quale azione fu la sua: estrema viltà o indomito coraggio? Uno sferragliare di chiavi annunciò che qualcuno entrava.
Apparve una giovane donna tutta pimpante, esordendo con la frase: " Eccomi qua a fare le pulizie!" Dopo una breve pausa, guardandosi attorno chiese: "Vi hanno già slegate? Si?" La ragazza domandava e senza attendere si dava repentinamente la risposta. "E tu" disse avvicinandosi al letto ove giaceva Marta "Sei ancora imprigionata? Aaah, ti hanno lasciato dormire, perché sei giunta fresca, fresca stanotte, eeh. Poverina... ora ti slego!" Così fece e poi, diede una veloce spazzata allo stanzone, evitando accuratamente di passare la scopa sotto i letti.
Con un cinguettante: "Ciao belle!" si congedò. Poco dopo giunse il medico. L'alta figura avvolta nel camice bianco lo faceva apparire monumentale.
Aveva quella età nella quale i maschi acquistano fascino e le donne lo perdono. I capelli brizzolati lo rendevano interessante, accentuando l'azzurro degli occhi accesi da una luce delirante.
Semi nascosta dalla mole dell'uomo, lo accompagnava un'infermiera dal viso paffuto e rubicondo: le guance ricordavano il rossume di certe appetitose mele e l'avidità per la buona tavola. I seni poderosi della donna, spingevano prepotenti oltre la fila dei bottoni, impazienti di schizzare via per liberare tutta quella soverchieria. L'assistente teneva un taccuino tra le mani, pronta ad annotare scrupolosamente ciò che il medico le dettava.
L'uomo passava con calma, aggirandosi tra i letti delle pazienti, dispensando loro qualche buffetto sulle gote; alcune lo seguivano con lo sguardo carico di ammirazione, quasi provassero venerazione.
Altre rimanevano impassibili, refrattarie ad ogni sollecitazione: niente le scalfiva da quando avevano deciso di rinchiudersi dentro una solida torre.
Proseguendo le visite, il dottore si fermò affianco al letto ove giaceva una ragazzina: "Come stai oggi, Lisa?" chiese, con aria paternamente affettuosa.
La giovane continuava a giocherellare con i suoi neri ricci, attorcigliandoseli tra le dita. "Non mi rispondi?" incalzò il dottore. "Sai" proseguì "oggi verrà la tua mamma! Dovrà percorrere molti chilometri per vederti, sei contenta?"
Le labbra della giovane parevano sigillate; lo sguardo rivolto oltre la figura dell'uomo come fosse incorporeo, guardava, con occhi sgranati, nella fuoriuscita del sé, rimanendo indifferente a qualsiasi richiamo: sola, isolata, insellata con la sua afasia e i suoi capelli.
"Domani la prepari per l'elettroshock disse il dottore in tono rassegnato. "Va bene" rispose l'infermiera guardando tristemente la ragazzina.
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