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Riflessioni di uno scrittore che non è uno scrittore ma per sua sfortuna scrive e non sa che farsene (sette)
Per quel singolo lettore a cui la mia traccia di penna arriverà restando impressa a vita, io scriverò, ma soprattutto pubblicherò quanto ho da pubblicare. Questo mi dissi riprendendo con buona volontà ad occuparmi dei meccanismi internettiani e delle frequenze su cui lanciare le mie disarticolate riflessioni ispirate direttamente dalla materia informe universale e dando loro una specie di conformazione scritta. Che cosa volevo dire?
Comunque: Liberodiscrivere non era il posto per me. O forse lo era perché nel frattempo che scrivevo ancora non avevo trovato un degno sito con cui sostituirlo. Tutto questo finché il curatore del network non mi mandò una mail su cui scriveva che lo stato del sito cambiava e che stava per diventare a pagamento. Costava poco. Ma io non avevo neanche quello, da investire. Mi diedi tempo un mese per pubblicarci ancora e poi avrei levato le tende.
I commenti negativi tornarono. - Questa non è poesia, poesia, oesia, esia, sia, ia, ia -. Decisi che qualcosa non andava o che qualcosa dovevo fare. Non c'era verso, o meglio c'era, ma non era considerato poesia, appunto.
Una sera del gennaio letterario più triste che avessi mai vissuto, scrissi una cazzata veloce veloce. Si chiamava Radio Ga Ga dedicata a Freddy Mercury. Più tardi scrissi un altro testo. Più tardi ancora un terzo. La mia non era poesia. Me lo dicevano fin dalle scuole medie. Che scrivevo a fare?
Il giorno dopo scrissi un testo. La mattina. La sera altri tre. Cazzate veloci veloci. Ma non erano poesie. Presi un foglio, ci feci le lettere dell'alfabeto cerchiate, lo girai e tristemente, con una mano sotto il mento, lo bucherellai cinque volte pensando che dovevo smetterla con quelle stronzate e trovarmi un interesse vero. O quantomeno un lavoro.
Girai il foglio. Le lettere che avevo bucato componevano la parola Mejfy. Nell'ordine.
Che razza di interesse poteva essere mai quello, certo che di un lavoro con quel nome non avevo mai sentito parlare?
Se la lista della spesa la si può chiamare anche elenco e un racconto potrebbe anche essere definito novella, se una poesia si distingue in ballate, canzoni e sonetti, magari le mie cazzate potevo rinominarle Mejfy. Definirle direttamente cazzate avrebbe un po' scoraggiato i lettori. E in quel modo non sarebbero state poesie, così nessuno si sarebbe più preso l'impegno di mettermene al corrente. Sarebbero state cazzate camuffate. Mejfy. Forse le lettere dell'alfabeto inglese potevo anche evitare di metterle.
Pubblicai i miei testi su un sito appena scoperto. Si chiamava Neteditor, pullulava di letture e commenti, era il primo nel motore di ricerca. Da qui uscivano i veri scrittori. Non c'erano dubbi.
I testi erano piccoli, scoordinati, parlavano di temi poco profondi ed erano basati solo su sensazioni, emozioni zero. Lo stile praticamente non esisteva, la punteggiatura messa a cazzo, parlavano di avvenimenti quotidiani, spesso troppo personali per essere capiti. Non c'era molto da capire. Forse niente.
I commenti furono pochi ma unanimi: i testi erano particolari e si facevano leggere bene anche perché erano scritti di getto quindi particolarmente fluidi, senza correzioni. Con errori grammaticali a volte. Una cosa strana.
Decisi di anticipare i futuri commenti negativi spiegando che queste non erano poesie, prima che se ne accorgesse qualcuno, ma non potevo farlo pubblicando una definizione tra i testi: sarebbe stata in homepage per uno o due giorni soli. Mi serviva una cosa permanente.
Per la prima volta decisi di scoprire che cosa significava quella scritta in piccolo che appariva su molti siti che metteva insieme le lettere f o r u m. Mi sembrava c'entrasse qualcosa con quello che cercavo. Ci entrai. Sembrava una cosa permanente, c'erano messaggi datati, parecchio vecchi.
Entrai nella sezione che riguardava le categorie letterarie, mi sfregai le mani, intitolai l'argomento Mejfy e mi misi a scrivere un sacco di cazzate che cercavano di definire il genere. Ma il genere era indefinito anche se alla fine quello che scrissi rispecchiava bene lo stato confusionale in cui annaspavo. Andai a cenare e non me ne preoccupai più, sicuro che una cosa con un nome come f o r u m non dovesse essere particolarmente visitata.
La sera tardi mi rimisi a scrivere. Scrivevo senza interruzioni, Mejfy a raffica. Ascoltavo la musica e scrivevo. E si facevano le quattro di mattina. Andai a vedere se i miei testi avevano riscosso il successo che meritavano. Niente. Neanche un commento. Pensai di vedere se magari qualcuno aveva letto il mio argomento nel f o r u m. L'avevano letto. E commentato.
Pensai che forse avrei iniziato a scrivere solo nei f o r u m. Il primo commento diceva così - Mi piace il modo in cui l'hai definito. Lo metto tra i generi.
Adesso bisognava decodificare il messaggio.
Lessi gli altri commenti. Tutti riguardavano i generi e la gente si era un po' incazzata per il commento che non avevo ancora capito. Decisi che per capire gli altri avrei dovuto capire il primo.
Allora: chi l'aveva scritto era uno che gestiva il sito, il commento arrivava quindi dalla redazione. Inserire Mejfy tra i generi. Mmm. Forse i generi letterari. Non poteva essere. Andai a pubblicare una cosa appena scritta e feci scorrere il cursore tra i generi. Mejfy non c'era. Tanto ormai l'avevo quasi pubblicata, scelsi la categoria.
Mejfy.
Era lì.
Tra le categorie del primo sito nel motore di ricerca, quello da dove uscivano gli scrittori veri.
Mi guardai attorno, raccolsi il foglio con le lettere dell'alfabeto. Lo girai. Mejfy. Sì, l'avevo inventato proprio io, non mi stavo sbagliando.
Io pensavo che sarei diventato uno scrittore. Non volevo diventare altro. Vabbe', a dodici anni volevo diventare calciatore ma non era un vero e proprio amore. Pensavo - Concentrati sullo scrivere, tira fuori il meglio - ma in realtà la mia situazione letteraria era molto squilibrata. Tiravo fuori il meglio. E subito dopo il peggio. Scrivevo un sacco di stronzate, insomma. E pensavo che prima o poi me le avrebbero pubblicate, che un giorno mi sarei occupato solo di scrivere: avrei avuto una stanzetta con scrivania, macchina da scrivere, finestra sul cortile, sigarette da montare e fumare e scrivere tutto il giorno quasi tutti i giorni. Cosa? Non lo so. Ah, e anche bere McCallan naturalmente. 18.
Potevo vivere di questo per sempre. Era quello che mi piaceva per davvero. Invece mi trovavo a cercare di difendermi da degli assassini di sogni senza McCallan su un maledetto sito letterario che non ripagava le mie buone intenzioni di illuminare il mondo con il genere letterario più particolare che si fosse mai potuto concepire. Le Mejfy. Una vera rivelazione. Dopo quella di Cristo. Nei giorni successivi all'inserimento tra i generi, alcuni sposarono la mia causa sul forum, ma si dissociarono da me. Pur tenendosi il termine. Alcuni non sposarono né causa, né me. Alcuni accusarono sia la causa sia me. Quelli erano i più tremendi. Uno era il loro paladino. Aveva la fissa per le kappa. Le metteva dovunque. Io quella fase l'avevo superata a quindici anni, quando avevo scoperto la beat generation. Si chiedeva come mai non si capisse che il mio genere era una cazzata. Me lo chiedevo anch'io. Eppure mi ero messo d'impegno a stendere la mia definizione.
Di letterario c'era ben poco. Nel tutto, voglio dire. Soprattutto in me. Mi chiedevo dove stavo andando. Se stessi andando per davvero da qualche parte. Mi chiedevo se non fosse ora di smetterla. Di scrivere, intendo.
Un talento vero si sarebbe visto da lontano. Io mi ero dato già cinque anni. Tanto quanto un buon corso di laurea. Avevo ottenuto di perdere il contatto con Ladisa, il concorso con Baldini&Castoldi, i vari concorsi a cui partecipavo con poesie del cazzo (e vincevano sempre poesie ancora più del cazzo al che pensavo che forse le mie non erano ancora abbastanza del cazzo) e commenti completamente discordi sui vari siti che avevo frequentato. Un talento vero nel frattempo si sarebbe visto. Beh, sì... ma hai sempre la stupida speranza che il mondo non sia ancora pronto. È una possibilità.
Mi fermai un attimo a pensare e mi dissi che forse internet non era il posto giusto dove pubblicare le proprie cose perché chi frequentava i siti letterari non erano i lettori (io credevo che esistessero) ma gli scrittori stessi e quindi i giudizi erano tutti condizionati dalla volontà di emergere più che quella, semplice, di leggere. E quegli scrittori erano lì da prima di me. Si erano accaniti per tanto tempo solo per ricavarsi il loro piccolo angolo di anonimato che li rendeva comunque felici come se ormai fossero la nuova avanguardia letteraria. Quel mondo era di altri ed era altamente autoreferenziale. Non accettava le novità. Neanche quelle brutte.
Mi intristii tutto d'un colpo. Chiesi al curatore del sito di eliminare mejfy dai generi, cancellai il mio profilo e mi relegai nel silenzio. Il genere rimase ancora per diversi mesi. Qualcuno lo usò per parecchio, lo esportò negli altri siti. La gente si incuriosiva, gli chiedeva che genere fosse e ogni volta la definizione cambiava. Nessuno si ricordava più da dove era nata ed io ero scomparso dal sito più ben fatto che avessi mai visto: Neteditor. Il primo sito sui motori di ricerca. Quello da cui uscivano i veri scrittori. E io infatti ero uscito.
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0 recensioni:
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- Grazie, Raffaele, lo sto aggiustando ancora, voglio farne un testo fuori dal comune. Mi manca solo un editore che si innamori.
- Il divertirsi e la capacita' tua, sono alla base di questa triste e reale e autoironica riflessione. È cosi'! Come c'e' la casta dei politici c'e' la casta degli intellettuali e scrittori. Ma per fortuna stanno "lasciando" le corde, persi per autorefernsiarsi tra loro.
Ben scritto! E non e' da tutti!
- Grazie, Rosaria, cerco di divertirmi anch'io.
- mi hai sanamente divertito, come non mi divertivo da tempo immemorabile leggendo uno scrittore che non è scrittore, ma che scrive... comm' a' mme'... e hai detto mooooolte verità, e le più più più vera è che, sì, forse il mondo non è ancora pronto.. ma tu continua a "entrare" e "uscire" da dove ti pare... cazzeggia pure e scrivi!
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