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Colpevole?
Non vi dirò il mio nome: non ha nessuna importanza!
Sono ancora qui, in questo giorno uguale agli altri. Come ieri e come chissà quanti giorni della mia vita. Respiro la stessa aria da molto tempo, ormai non ci faccio neanche più caso. Mastico e butto giù senza sentire il sapore, perché il gusto non mi appartiene. Cerco di non pensare per non desiderare.
Non sempre ci riesco...
A tredici anni avevo sulle spalle una condanna per furto d' auto, che ho scontato al riformatorio. Le cose non sono migliorate con il passare del tempo: le porte dell'Istituto Correzionale per minori si aprirono ancora, non correggendo un gran che.
Quando qualcuno una volta mi chiese cosa volessi fare da grande, risposi: "Io sono già grande!"
Allora sembrava inevitabile pensarla così; adesso spesso sogno quel ragazzo che sta per scontrarsi con la vita e vorrei fermarlo, prenderlo sottobraccio e parlargli...
ma la verità è che anche ora non sarei sicuro di sapergli dare il consiglio giusto!
Non posso dire di aver avuto molta scelta, quello che è successo non è arrivato per caso. Non voglio giustificarmi ma la mia posizione non era delle migliori. Mia madre è morta in un incidente quando ero ancora bambino e mio padre, un maledetto alcolista, non si preoccupava di fare avere a me e a mio fratello neanche il minimo per sopravvivere. Anzi eravamo noi che dovevamo preoccuparci che non affogasse nell'alcool. Rimaneva ore davanti alla televisione: ricordo il suo sguardo fisso e l' espressione depressa. Cominciava a bere e dopo un po' a imprecare contro qualcosa o qualcuno. Avevo compiuto quindici anni: mio padre festeggiò scolandosi un' intera bottiglia di bourbon. Passò tutto il pomeriggio a bere e la sera a vomitare e poi ancora a bere. A scuola non andava meglio: mio fratello Matt sembrava sempre assente; non parlava con nessuno e non si curava minimamente di partecipare alle lezioni. Io non riuscivo a stare fermo, disturbavo continuamente i compagni. Mi divertivo a stuzzicarli, forse volevo solo attirare l' attenzione su di me; ma quando qualcuno accennava una reazione sapevo io come zittirlo. Mi avevano già espulso da due scuole, ma tanto non mi importava. Sapevo che non avrei concluso niente di buono, andavo a scuola più che altro per tirarmi fuori dalla realtà che mi aspettava a casa. Un appartamento piccolissimo nel sobborgo più malfamato della città. All'interno regnava il caos: dappertutto cartacce, lattine vuote dimenticate sotto il divano, avanzi di cibo, bottiglie in ogni angolo. Il tanfo di alcool rimaneva nelle narici.
Ancora ora non so dire cosa provai quella sera che tornato a casa vidi mio padre riverso sulla sua poltrona: c' era sangue dappertutto e la testa pendeva da un lato.
Un foro di entrata alla tempia destra; il proiettile era uscito dall'altra parte portandosi via una certa quantità di cranio e materia cerebrale. Sangue era fuoriuscito dal naso e dalle orecchie. Il suo revolver Smith & Wesson calibro trentotto era per terra, poco distante dalla sua mano destra; dalla parte opposta una bottiglia di scotch quasi vuota.
Seduto sulla mia branda, nel silenzio della solitudine penso di non averlo mai odiato veramente; ma non provai dolore per la sua morte, non versai lacrime.
Forse sapevo di doverle conservare per me stesso.
Per me comprensibilmente votato all'autodistruzione. Dispensatore di dolore.
Una luce giallastra filtra dal grande corridoio; ripenso a mio fratello... mi manca... vorrei rivederlo...
Adesso i giorni sembrano tutti uguali, scanditi da ritmi precisi. Quest'ordine mi dà un senso di sicurezza, quasi come di protezione da me stesso e allo stesso tempo un' angoscia esasperante.
Le immagini della strada e lo squallore delle sue leggi crudeli martellano nel cervello; la vita allo sbando segnata dai soprusi ricevuti e resi mortifica l' illusione di un' esistenza degna di essere vissuta.
A volte non posso fare a meno di ritornare ai momenti più terribili di quel giorno, quando la guardia tentò di estrarre la pistola... lo vidi crollare a terra come un fantoccio: continuò a rantolare lottando con la morte, finchè si arrese rimanendo immobile con gli occhi sbarrati. Sotto l'effetto della cocaina avrei sparato anche al cassiere che aveva schiacciato il pulsante dell'allarme, se la pistola non si fosse inceppata. In quel momento rimpiansi di non avere il revolver di mio padre.
Mi furono subito addosso...
Non ci sono scuse, nessuna attenuante...
Vorrei potere raccontare un'altra storia, ma credo che sia già tanto riuscire a parlarne...
Adesso so bene cosa mi aspetta, voglio smettere di pensare. Qui dentro non c'è passato nè futuro: ancora qualche giorno, soltanto qualche giorno uguale all'altro... e dopo...
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