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Ray Ban scuri
"Perché? Perché li vuoi?"
"Voglio riposare gli occhi, qui dentro la luce è troppo vivida" rispose lui, mentre allungava il brac-cio verso il comodino e dopo aver preso con mano tremante i grandi occhiali scuri, aiutandosi con l'altra riuscì, seppure con qualche difficoltà, ad inforcarli. Erano quelli che aveva utilizzato insieme agli altri 10 aviatori ed al fisico civile imbarcato per armare la Bomba. Nei tre minuti precedenti il lancio, in quel lontano giorno di 62 anni prima per evitare di rimanere accecati dopo il lampo di una luce pari a quella di 20 soli, i 12 dell'apocalisse li avevano indossati.
La sua interlocutrice non rispose. Una sola lampada illuminava fiocamente la stanza da letto e sape-va che sarebbe stato inutile dirgli che il sole era tramontato da ore.
L'uomo sembrò tranquillizzarsi, l'affanno che da qualche minuto ostacolava il suo respiro, parve concedergli una tregua.
"Mi sembra vada meglio" proseguì, mentre chiudeva gli occhi quasi a voler rafforzare con quella piccola malizia, frequente in certi anziani, la sua determinazione a voler rimanere nell'assoluta o-scurità. Il click che spense momentaneamente i suoi occhi, come un codice binario accese i suoi ri-cordi.
"Ricordo molto bene com'era limpido il cielo quella mattina del 6 agosto. Quasi sereno, visibilità dieci miglia, due decimi di copertura alla quota di tredicimila piedi. La luce, complice inconsape-vole ed innocente della nostra missione, s'irradiava per tutta la superficie del nostro obiettivo ed ol-tre. Già, la luce. Figlia naturale del nostro sole che di lì a pochi minuti vide per la seconda volta, da miliardi d'anni dalla sua nascita, partorire per la prima volta dal ventre alato e metallico della mia seconda madre un piccolo bimbo, innaturale e malefico. Un bimbo che dopo 43 secondi dal suo par-to cefalico guidato, urlò con un boato mai sentito prima dalle sue vittime e con un lampo accecante e violaceo, di fuoco estremo dall'odor di piombo, seminò distruzione e morte istantanea, mentre e-difici inanimati ed inappetenti inghiottivano in un sol boccone esseri umani lasciando i negativi fo-tografici dei loro corpi su gradini e pareti, a ricordo del loro orrido pasto. Poi, quasi a voler festeg-giare la sua mostruosa nascita, rapidamente crebbe innalzando al cielo il suo orrendo corpo fumoso sventolando la testa a forma di fungo che, infernale e senza pietà, vomitò in aria il suo seme nero. Ricadde su quelli che ancora erano in vita quella linfa mortale e li irrorò d'inique sofferenze e mor-te, segnando con un marchio indelebile anche il destino dei loro figli non ancora nati".
"È strano sentire da te tutto questo, sembra qualcosa che somiglia ad un rimorso".
"Dici bene, sembra, ma non lo è. Continuo a dire che in quella guerra lunga e crudele, non eravamo privi di sentimenti e d'umanità".
"Non esiste essere umano che ne sia privo, entrambi sappiano ad esempio che anche il più freddo sterminatore di moltitudini umane nutriva affetto per il suo cane lupo".
"Non puoi paragonarmi a lui, non è giusto".
"Hai ragione, è soltanto un raffronto per obiettare alla tua affermazione perché nessuno ha mai so-stenuto il contrario. Si sa che i sentimenti di coraggio e paura, odio e pietà, umanità e disumanità erano presenti in tutti quelli che a milioni furono coinvolti in quell'immenso bagno di sangue che inondò per anni quasi l'intero globo. Il ragionamento da focalizzare in questa nostra conversazione non è quindi questo".
Il vecchio, senza togliersi gli occhiali scuri aprì con circospezione gli occhi, tirò a sè la coperta ac-carezzandola con il palmo delle mani sui lati, poi li richiuse ed incuriosito, sorridendo e con aria di sfida, chiese: "Qual è allora il punto?".
"L'età e la tua meticolosa ossessione per la precisione c'impongono di procedere con metodo e cal-ma. Dimmi, perché ti hanno scelto in mezzo a tanti?".
"Quello che a loro serviva era qualcuno che potesse farlo senza errori e quel qualcuno ero io".
"La risposta non sembra nascondere la tua presunzione nel voler essere considerato, dopo il suo compimento, l'unico in grado di portare a termine con successo quella missione. Sembra dare in-tendere anche che chi ha fatto la scelta, non ha avuto altra possibilità?".
"L'hai detto, la missione è stata un completo successo tattico ed ho riportato alla base i miei uomini. Rammenta inoltre che per molti in patria sono un eroe di guerra. L'utilizzo della Bomba ha dato la possibilità di piegare la volontà che animava la maggior parte della casta militare del nemico legata a codici d'onore e gloria e di terminare la guerra risparmiando vite umane, al nostro ed al loro pae-se".
" Due azioni dimostrative della minaccia di distruggere completamente tutto ciò che i popoli ama-no: famiglie, case, edifici religiosi, insomma un'intera nazione, una civiltà?".
"Esatto".
"A quale prezzo?".
Il vecchio riaprì gli occhi e dopo aver versato dell'acqua nel bicchiere dalla caraffa posta sul como-dino, bevve lentamente. L'acqua ed il tempo profuso per berla sembrarono fornirgli le risorse per una risposta. Si adagiò sui cuscini e chiese, "Hai parlato di due azioni dimostrative, ma perché solo io fui così discusso e contestato? Un altro capo pilota eseguì nella seconda azione il mio stesso la-voro, ma poco si è parlato di lui".
"Sai che non mi è consentito rispondere a questo, quindi non cercare di eludere l'attenzione sull'argomento, è sciocco".
L'uomo era però un osso duro e sapendo d'essere diventato un simbolo per chi ricevendo un ordine dall'alto lo eseguì mettendo da parte ogni scrupolo d'ordine morale, tentò un'altra sortita. "Io non sono un distruttore di mondi, come chi invece si definì come tale dopo lo scoppio sperimentale del primo sole artificiale creato sulla terra dall'uomo".
"Vecchio assassino, non t'arrendi mai, vero? Il mestiere delle armi ha contribuito a forgiare bene il tuo carattere e non vuoi smentire neanche la pignoleria che ebbe parte importante nella scelta della tua persona come capo operativo di quel progetto".
L'uomo parve rilassarsi. "Il mio gruppo. Ci rivedemmo in svariate occasioni dopo il conflitto ed in-contrandoci qualcuno tra loro, battendomi una pacca sulle spalle, con la sua faccia da impudente mi salutava così, vecchio assassino. Era chiaramente un termine cameratesco, quasi affettuoso, come si usava tra vecchi veterani reduci da comuni esperienze vissute in guerra".
A quel giorno solo lui ed altri tre, il navigatore, il bombardiere ed un ufficiale del test arma, erano rimasti ancora in vita, gli ultimi quattro dei 12 angeli della morte presenti su quell'aereo. Dopo la stretta virata a 55 gradi ci fu chi volle vedere o non lo fece e chi scattò fotografie. I ricordi ritorna-rono più profondi e precisi del solito e con loro la domanda che come un chiodo rovente da anni tor-mentava la sua mente. Una domanda che non aveva mai pronunciato in nessuna delle numerose in-terviste, da lui concesse ai mass media della carta stampata, radiofonica e televisiva.
"Perché io soltanto sono ricordato come il pilota cattivo di quella missione? Furono coinvolti sette aerei. Tre fra loro con i rispettivi equipaggi dei quali uno prima e gli altri due durante il mio, vola-rono su quel bersaglio, ognuno eseguendo il proprio lavoro. Nella seconda missione, compiuta dopo tre giorni, uno di quei sette aerei ed uno dei loro uomini, insieme con altri velivoli ed aviatori, la portò a termine. Nella cultura contemporanea il lancio della Bomba, fu rammentato cercando di fo-calizzare la maggior attenzione di tutti solo sul primo. In modo particolare sulla mia figura. Per-ché?".
"Forse perché pianificasti anche il secondo lancio. A proposito di cultura, ricordo che furono scritte anche delle canzoni e...".
"Lo so bene. Alcuni versi di quella di una band italiana, tradotta da un amico, dicevano, pressa poco così:
La sua bocca più non parla
le sue notti non le dorme più
sta nascosto dietro il suo pensiero
muore un uomo muore senza il vero.
"Sono però in disaccordo con quelle parole".
"Perché?".
"Io non ho mai taciuto ed ho espresso sempre il mio pensiero su quel fatto. Se il morire è poi solo una metafora, è altrettanto vero che conosco la verità, nel senso cristiano del termine perché sono credente. Ripeto che ho sempre dormito tranquillo e per quello che so anche quelli del mio equi-paggio".
"Hai appena elencato alcuni dei motivi per i quali da molti sei sempre stato osteggiato".
"Vale a dire?".
"Nelle tue dichiarazioni il pensiero sulla Bomba, seppure chiaro e motivato, a molti è sempre appar-so pieno di protervia, senza mai un'incertezza, un cedimento, senza una sola parola che somigliasse, se non ad un pentimento almeno ad un rammarico sul suo utilizzo".
"Io ero un soldato, cresciuto nel mito della disciplina come tanti della mia generazione e come tan-tissimi nel campo nemico ed ubbidivo agli ordini senza farmi scrupoli morali, d'altra parte, cosa c'è di morale nella guerra?".
"Uno di voi, dopo aver guardato l'effetto di quel castigo ingiusto scatenato sulla città inerme ai vo-stri piedi, mentre l'aereo virava con violenza per sfuggire al suo morso infernale, disse una frase, breve e piena di pietà che era un atto di smarrimento, di un pentimento possibile, mio Dio che cosa abbiamo fatto".
"Non è così, quella frase fu attribuita a me in un film, ma non l'ho pronunciata io e neanche il suo autore, il mio copilota, che scrisse sul diario di bordo solo, mio Dio e null'altro".
"Pensi che cambi il senso di quanto sto cercando di farti capire da tempo?".
"Mi piacerebbe sapere cosa stai cercando di farmi capire".
"Il pilota che per primo arrivò sul bersaglio per darvi le informazioni sul tempo, dopo la guerra fu ricoverato più volte in ospedali psichiatrici per veterani a causa delle sue turbe per il bombardamen-to. Il comandante di un aereo al seguito del tuo come osservatore, confessò che ogni notte l'incubo di quel fungo tormentava i suoi sogni. Nel dopo guerra, quando incontrasti quel pilota che fu il pri-mo testimone nemico a vedere gli effetti della Bomba, cosa gli hai detto?
"Lei ha fatto un ottimo lavoro. Ci ha colto di sorpresa, in quell'attacco a tradimento".
"Lui cosa replicò?".
"Anche lei ha fatto un cattivo lavoro. Ha ubbidito agli ordini, come me e tanti altri".
"Sì, certo, il codice Bushido glielo imponeva, ma non gli impedì di considerare in seguito come cat-tivo il lavoro svolto in modo egregio. Ha cercato forse di farti capire la contraddizione presente an-che nel tuo".
"Perché non dici chiaramente quello che pensi?".
"Si è avuta la percezione che la curiosità diabolica di vedere gli effetti reali sugli esseri viventi e sulle architetture costruite dall'uomo nel suo habitat tipico, la città, ha avuto la meglio sulle altre va-lutazioni".
"Il diavolo in persona avrebbe difficoltà a pensare una cosa simile".
"L'ingresso dell'umanità nella nuova era energetica sembra suggerita dal diavolo: catastrofica in guerra se usata e molto pericolosa in tempo di pace nel caso d'incidente, può compromette il futuro di quel bimbo sulla terra, così come le scorie".
"È opinabile, io ho solo ubbidito ad un ordine e lo rifare".
"Vedo che non vuoi abbandonare neanche per un attimo il tuo cliché".
"Che sarebbe?".
" ... un duro
alla maniera di John Wayne
Ray Ban scuri, il lavoro era guerra
"Cosa c'è di male, abbiamo rappresentato per molti l'ideale eroico del nostro sogno".
"Con la guerra come lavoro?".
"Ora basta, sono stanco, ma prima di dormire voglio sapere cos'è che mi rimproveri".
"Nulla su quello che hai fatto, io non posso giudicare, piuttosto su quello che non hai mai avuto".
"Che cosa, non ho mai avuto?".
"Un dubbio. Un semplice dubbio per quell'azione".
Il vecchio non rispose e a lungo si calò nella parte più profonda della sua anima, poi prima di cadere nel sonno si tolse gli occhiali scuri dagli occhi. Sapeva che nell'eventuale incontro con una certa lu-ce non gli avrebbero garantito alcuna protezione.
Quella notte del 1 novembre 2007 morì a 92 anni per ictus cerebrale e contemporaneamente con lui la sua interlocutrice. Nessuno riuscì a dare una spiegazione della presenza nelle sue mani di quegli occhiali scuri.
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