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Scarpa e banana

Aveva un chioschetto, ereditato dal padre che l'aveva ricevuto da suo padre e poi ancora, in una piazzetta sporca ma molto frequentata; molto frequentata anche se sporca, molto frequentata e, anche per questo, sporca.
Il chioschetto vendeva scarpe usate, da molto tempo, dal tempo del padre e del padre del padre e poi ancora. Vendeva scarpe da molto tempo usate, visibilmente usate, sia da uomo che da donna, esponendole sul ripiano esterno, lì dove dava la sua finestrella. Vendeva poche scarpe da molto tempo, da quella finestrella.
Nel chiosco non entrava nessuno. Lì era pieno di scarpe antiche, quelle che nessuno aveva voluto. Da tanto tempo non venivano usate, che nessuno le avrebbe chiamate usate, ormai. E nemmeno potevano dirsi nuove, certamente. Non essendo né usate né nuove, ormai non potevano più dirsi scarpe nel vero senso della parola. Infatti non avevano più quella funzione. Per questo non erano esposte e si trovavano accumulate in una scaffalatura dentro ad un chioschetto angusto, frequentato solo dal figlio del padre e nipote del nonno eccetera.
Invece sul ripiano di esposizione, in pieno sole, c'erano un paio di paia di scarpe a destra, un paio di paia a sinistra, in mostra. La parte centrale, quella dell'affaccio, era rimasta libera a lungo.
Quel giorno 2X (X lui e X il giorno), X decise di sfruttare a fini commerciali anche il suo piccolo davanzale e ci mise un paio di banane acerbe. Passò un paio d'occhi e adocchiò un paio di scarpe, poi una banana.
Il cliente chiese di poter comprare una sola scarpa, pagando per il paio ovviamente, ma voleva la banana in omaggio. Ottenne quello che voleva. Provò la scarpa.
La scarpa calzava mica male la banana. Da quel momento si ebbe certezza che la banana non poteva essere più mangiata: chi si mette a sbucciare una banana che si trova in una scarpa? Sarebbe maturata, marcita, si sarebbe mummificata nella scarpa. Senza essere consumata. Senza che la sua buccia potesse imbattersi in una suola di scarpa calzata da piede umano.
Usate, usate per sempre: la scarpa per contenere una banana acerba e mummia, la banana acerba e mummia per dare una nuova funzione ad una scarpa vecchia.
Una cosa sola, per sempre.

 

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8 commenti:

  • Sofia il 15/04/2012 06:42
    "La scarpa calzava mica male la banana. Da quel momento si ebbe certezza che la banana non poteva essere più mangiata: chi si mette a sbucciare una banana che si trova in una scarpa? Sarebbe maturata, marcita, si sarebbe mummificata nella scarpa. Senza essere consumata. Senza che la sua buccia potesse imbattersi in una suola di scarpa calzata da piede umano.
    Usate, usate per sempre: la scarpa per contenere una banana acerba e mummia, la banana acerba e mummia per dare una nuova funzione ad una scarpa vecchia.
    Una cosa sola, per sempre."
  • giulio costantini il 04/12/2011 11:21
    grande Nico... ottima e originale... quando la prosa fa la rima a la poesia...
  • Anonimo il 22/11/2011 11:00
    Scoppiettante! mi è parso di vedere uno di questi chioschetti al mercato di Testaccio, a Roma. Grazie!
  • Giuseppe ABBAMONTE il 08/11/2011 19:57
    Ciao Nicò
    devo essere sincero: l'immagine della banana nella scarpa che vi resta per l'eternità integrandosi in essa mi ha affascinato ma non ne riesco ad afferrare il significato recondito. Per il resto un racconto scritto con la solita ottima penna che riesce a conferire nobiltà anche a porzioni di vita e di mondo (parafrasando Ugo) che altrimenti sarebbero state appena o punto notate.
    Un abbraccio
    Giuseppe
  • Nicola Saracino il 05/11/2011 16:54
    Immagini in una speciale porzione di vita... sì Ugo, mi piace la tua definizione (e ovviamente non mi dispiace il tuo apprezzamento). Nicola
  • Ugo Mastrogiovanni il 05/11/2011 11:59
    Un tema semplice e geniale, una terminologia unica, corretta e saettante. Uno scorrere d'immagini vive, gemme incastonate in una speciale porzione di vita che fanno del breve racconto un cesello di bravura.
  • Nicola Saracino il 20/10/2011 16:02
    Mmmmhhh... imbrogliona!
  • Anonimo il 20/10/2011 15:41
    È tanto bello leggere da chi sa scrivere, e' anche più bello che vedere. Io questo racconto l'ho visto, svolgersi nello spazio, con l'interesse di chi vede senza voler dimenticare, ed ecco, ora ho letto tutto quello che non si guarda ne col cuore e ne con gli occhi... Se potessi, manderei il tuo racconto, non solo questo, a G. Marotta, a farti scrivere da lui tutto quello che, scritto da me, diventa banale. Posso almeno dire che sei veramente un grande narratore?

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