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Diciassette anni dopo
"Ciao... "
E sto lì, impalato al marciapiedi di via Tintoretto, aspettando una tua qualsiasi reazione, come chi non entra e non esce dalla porta cercando di capire se sarà ospite gradito o inatteso disagio.
"Ciao..."
Anche tu, immobile, statuaria. Mi guardi senza alcuna sorpresa; almeno apparentemente non sembri per niente sorpresa a vedermi così improvviso comparirti davanti.
Dopo diciassette anni!
Aspetti la mossa successiva e intanto non sposti lo sguardo dall'uomo che si è materializzato al tuo uscire di casa. Non cerchi scampo.
Aspetti.
La scena mi riporta alla mente straordinarie ferme di spinone sulla beccaccia tra i monti di Gambarie d'Aspromonte.
Aspetti.
Fermo immagine di una proiezione a rilento dove tra una azione e l'altra gli attimi secoli si fanno e ti portano in altre dimensioni, mondi evanescenti che non sai se esistono solo nelle tue fantasie malate o parallelamente vivono vite che nessuno sa, nessuno mai racconterà.
Ma qui è difficile anche definire perfettamente i ruoli e non sai davvero tra noi chi è il cacciatore e chi la preda sotto ferma.
Aspetti.
O forse non è niente di tutto questo e noi, qui, adesso, attraversiamo un tempo oltre il tempo, magicamente immobile, immobili noi, e nessuno dei due ha voglia, bisogno, (forse è paura!) di premere il pulsante e riavviare la corsa delle lancette.
Ci guardiamo soltanto, tesi all'ascolto di suoni e parole non dette, ancora non dette, entrambi timorosi più che per le cose da dire per quelle da ascoltare, tesi, corde di chitarra non ancora accordate.
"Non ricordi più?"
Mi costringo a rompere la magica armonia di quei momenti, che, lo so, sempre, sempre rimarranno nella mia testa per i giorni che saranno. Ho timore di te, del silenzio nel quale ti proteggi, del fragore che saranno le tue prossime parole.
Diciassette lunghi anni ci son voluti prima di trovare quel poco di coraggio che ogni volta mi mancava per ripresentarmi a te, chiamarti, sentirti, parlarti ancora.
Non sono venuto a Spina apposta per incontrarti.
Sono di passaggio come anche l'altra volta, anni fa. Una tappa del mio viaggio che mi costringo a fare sempre con la speranza, neppure tanto remota, che prima o poi, prima o poi ti incontro, ti vedo, ti parlo.
Ma questo viaggio è stato diverso dal solito. Mi sono avvicinato molto di più del solito a te. Tante tappe di avvicinamento prima di fermarmi a Spina e decidere, ansia nel cuore, che dopo diciassette anni è tempo di capire perché ancora e ancora ti ho nel cuore come un ricordo che non muore, come un fiore indelebile che non appassisce.
Così, percorso da mille terrificanti dubbi, mi ritrovo attraversare memorie passate e tutto riportare ad ogni passo, ogni chilometro alla luce, archeologie del cuore che come cenere di lava tutto ha protetto e conservato.
Passo dopo passo, chilometro dopo chilometro, questo viaggio mi riporta a te, alla primavera del '90, Principessa, e mi riporta le mille emozioni del nostro allora splendido amore.
Passo dopo passo, sempre, sempre, come allora opprimente, mi torna alle orecchie la tua voce che mi lascia motivando strani armoniosi motivi.
Non so, non riesco a spiegarmi (siamo così stupidi voler spiegare sempre tutto!), che senso abbia avuto in tutto questo tempo, tenermi dentro, in un piccolo angolo di me, le mille emozioni di te e della nostra breve storia, tenerti come ricordo vivo, palpitante.
Oggi che finalmente ti ritrovo, non ha il senso del riaverti, non ho bisogno di toccarti fisicamente, sentire la tua pelle.
Non mi aggrappo a te per riamarti.
È più bisogno di capire tutti i perché di allora, ma anche i perché di dopo, di questi diciassette anni che ti ho tenuta viva e vera in me. Perché ti ho amata così tanto, perché ti ho permesso di lasciarmi e perché ancora continuo a chiedermi perché.
Eppure ho avuto altre donne, un amore vero, appagante, molto, molto più vero e appagante della nostra breve storia: la nostra storia moltiplicata.
Allora perché per diciassette tanti anni cercare nelle profondità del mio essere il coraggio di rivederti, risentire la tua voce, sapere come sei diventata, come sei. Che potresti darmi ora che già non ho avuto da te?
E non corro il pericolo, oggi più di allora, che una tua qualsiasi inaspettata reazione non uccida anche il bel ricordo che mi porto dietro, uccidendo così un altro pezzo di me, ancora, impedendomi per i giorni che mi restano anche soltanto di rinfrescarmi alla fonte del tuo ricordo, di ciò che sei stata e sei per me?
E perché oggi decido che voglio rivederti? Vince forse su tutto il bisogno di sapere, di capire, sul mio cuore che ancora, ancora ti tiene fortemente ancorata a se?
Ho superato il casello di Rimini Nord costringendomi a proseguire, vinta la forte tentazione di ripercorrere strade e piazze dei Malatesta. La spiaggia dove ti sei fatta baciare la prima volta, dietro una cabina di lido, al riparo dalla gente e dalla pioggerellina fastidiosa e fresca. Eppoi un bar, caffè macchiato e un tè, il piazzale di Italia in Miniatura dove lasciavamo in sosta una delle auto, il tuo impermeabile beige, i passetti cinesi a seguire la mia decisa andatura.
Certo eri bella Principessa; ti guardavo beandomi del guardarti e sentirti già mia, mentre ciceronavi di monumenti e storia e di grandi persone che affatto riuscivano a distogliermi da te. Non esco a Rimini e non prendo la strada per San Marino.
Mancano tre anni ancora per adempiere alla promessa di rivederci (mi lasci o ti lascio...) al ristorante Righi. Mancano tre anni. Prima di allora non andrò a San Marino.
Arrivo fino a Forlì, esco e prendo per Ravenna. È un tratto di strada secondaria, molto trafficata. Mi sorprendo a rispettare il limite imposto dei settanta, ma non è prudenza.
Ti penso, ti respiro, respiro l'aria che respiri. Mi faccio occhi di falco a scrutare nelle auto che incrociano a sperare la sorpresa del tuo viso, come se in ognuna potesse apparire la sorpresa del tuo splendido viso.
Immagino, costeggiando la Città, gli stessi posti di allora: ecco, ecco il Mausoleo di Teodorico, ecco San Vitale e i suoi splendidi mosaici, il silenzio delle navate, la luce diffusa sulle forme bizantine, il tuo viso bizantino.
Ho saputo che ti sei fatta il terzo figlio, quasi subito dopo avermi lasciato, due anni dopo il '90. Per un attimo, a leggere le notizie che mi ha passato Leta, una pazza idea mi ha attraversato la testa: pensa se fosse nato nel '91... e se c'entrassi io...? E se avessi allora deciso di troncare la nostra storia per questo? Invece è nato nel '92 ed è più verosimile che, chiusa nel modo che sappiamo la nostra storia, ti sia dedicata anima e corpo a figli, marito e lavoro, suggellando con la maternità nuova la ritrovata serenità familiare. Giusto!
So che hai ottenuto quell'ambitissimo posto di dirigente. Tu raggiungi sempre i tuoi obiettivi!
Costeggio ancora la periferia di Ravenna, leggo con rammarico il segnale per San Vitale, ma vado oltre immettendomi decisamente sulla Romea verso i lidi ravennati, Comacchio e Porto Garibaldi.
Aumentano i battiti cardiaci e la pressione del sangue.
Andirivieni di pensieri adesso, di te, memorie mai sepolte, solo coperte da una leggera coltre che il tempo passato vi ha deposto sopra, si mischiano al pensiero di ciò che accadrà adesso, oggi.
Sto facendo il mio ingresso a Spina... e poi?
Sarai nella casa di Via Tintoretto, dove attaccato al muro, da qualche parte, se non lo hai gettato nella spazzatura, dovrebbe ancora esserci il mio dipinto regalato e che hai voluto fossi io ad attaccare nel posto che ho voluto? Ci sarà ancora nel giardino il mio glicine, lo avrai sradicato e gettato via?
Il tempo (estivo) e l'ora (finita appena l'ora di chiusura degli uffici), potrebbero essere ideali per congiurare perché tu possa esserci.
Ma poi, sono veramente certo di volerti rivedere, guardarti ancora fisicamente, occhi gambe, viso, parlare con te...
Oppure è solo voglia di rinverdire memorie?
Fermo l'auto nei pressi della prima rotonda, senza spegnere il motore. Un istante, uno solo per respirare a fondo l'aria marina condita di resine e pini. Così respiro anche te, mi immergo in te, in ciò che sei certamente stata e che forse sarai ancora.
Diciassette anni dopo, ancora, ripercorro le strade, imbocco via Tintoretto, passo davanti a quella che dovrebbe essere la tua villetta a due piani. Nulla è cambiato. Intravedo il glicine e alcune auto parcheggiate nel giardino. C'è anche il bidone della spazzatura sulla strada, allo stesso posto di allora.
Passo e ripasso, una, due, tre, quattro volte con l'auto, allargo il giro per arrivare fino al tuo Bagno Eden, passo ancora davanti al Bar dove una sera che mi lasciasti solo ho cenato, seguendo l'Italia dei mondiali.
Ritorno a via Tintoretto, parcheggio l'auto poco lontano dalla villetta, spengo il motore e rifaccio a piedi la strada per passare davanti all'ingresso varie volte.
Non succede niente. Scruto tra gli slarghi della recinzione alla ricerca di qualche movimento di vita. Ci saranno i tuoi figli ormai adulti, sposati forse. Pensa, potresti essere anche tu nonna!
Mi prende improvvisa una gran voglia di risalire in auto e scappare via a perdifiato, senza voltarmi indietro. Capisco che ho paura.
Invece rimango impietrito a vederti uscire di casa. Sei sempre tu, come allora, a cassettini veloci.
Bella come allora.
"Certo che ricordo!"
Allunghi una mano che stringo affamato, ma con dolcezza. Gli occhi sempre incollati a te, avidi di te.
"Non sembri sorpresa di vedermi?"
"Non lo sono. Sapevo che eri qui intorno. Ti ho sentito. In qualche strano stupido modo, ti ho percepito. Stavo pranzando con i ragazzi. Mi è rimasto il cucchiaio sospeso per aria perché ho sentito che eri vicino."
"Eppure è passato tanto tempo, Principessa?"
"Eppure ti ho sentito. Ti ho sentito come allora. E non chiamarmi Principessa, per favore: non sono una principessa! Che ci fai a Spina, perché sei venuto? Domanda stupida..."
"Dobbiamo continuare a parlare così, sul marciapiede davanti casa?"
Rifletti un lungo attimo.
Adesso mi mandi affanculo e rientri in casa. Invece:
"Hai ragione, portami da qualche parte."
Risalgo in macchina, giro la chiavetta di accensione. Il motore si avvia subito, senza bisogno di forti accelerate. Ho voglia di toccarti già ora, senza aspettare, allungo la mano per immergermi tra le tue gambe.
Ma il sedile è vuoto, dannatamente vuoto.
Emergo dalle profondità di sogno dentro cui stavo naufragando.
La villetta a due piani mi sembra più rumorosa, anche il glicine calabrese par che muova i rami come smossi da vento che la realtà non percepisce. Non riparto ancora.
Ecco, se proprio c'è bisogno di dare un motivo anche a questo viaggio, Principessa,
(siamo così stupidi a voler spiegare tutto!),
una certezza, almeno un motivo credo di averlo.
Adesso, mentre rimetto l'auto sulla Romea, pronto a rimangiare la strada verso Rimini e poi giù e giù e giù ancora verso la mia Calabria, come diciassette anni fa, con lo stesso peso sul cuore di allora, consapevole della finitezza di tutto ciò che siamo e siamo stati e della straordinaria emozione d'amore che abbiamo vissuto e ancora mi porto dentro, sì una certezza l'ho maturata:
io non ho più bisogno di te: ho bisogno del ricordo di te. E siccome quello non dipende dal tuo volere o non volere, non mi devi alcuna autorizzazione, come diciassette anni fa, ancora come allora, prima di ripartire per tornare al mio tempo, respiro profondo una, più volte per riacquistare la mia dimensione ordinaria e... sorrido, straordinariamente felice di averti avuto, di averti ancora, sempre.
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