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Riflessioni di uno scrittore con le scarpe rotte (10)

L'idea della sperimentazione mi tenne impegnato alla ricerca di nuovi stili inesplorati e di un perfezionamento delle capacità visionarie più che di una tecnica di scrittura. Abbandonato il tentativo di un qualsiasi schema sia in prosa che in versi, fui sempre più convinto che l'ispirazione fosse lo spirito guida da seguire e che prepararsi a coglierla fosse più importante che prepararsi a coglierla al meglio. Sembravano d'intralcio lo studio approfondito della grammatica e l'espansione del mio misero vocabolario al seguire la corrente mistica che mi investiva di volta in volta e mi presentava i personaggi e le situazioni in cui finivo per immergermi dimenticando completamente la realtà. Lo studio e il lavoro passavano velocemente come fossero compiti stupidi da portare a termine con il minimo impegno, dando di me stesso giusto la presenza e il minimo di applicazione, al punto che nei primi anni di università e di lavoro non riuscii a stringere alcun rapporto né a conquistarmi almeno le simpatie di qualcuno. Apparivo senza lasciare traccia e fuggendo via appena possibile per dedicarmi alle mie cose e al mio amore: la ragazza che amavo troppo assai.
Della realtà, oltre all'eco delle amicizie dell'adolescenza, alla mia famiglia e a pochi interessi come i fumetti, il calcio e i videogame, lei era l'unica cosa per cui valesse la pena di avere una vita sociale. Di uscire da casa, per dire. Intere mattinate al lavoro le passavo a pensare al suo corpo, nudo, su una brandina, profumato dai suoi quindici anni, mentre il sottofondo di Fly Away di Lenny Kravitz rimbalzava da un orecchio all'altro facendomi trasalire.
La mia bambina io l'avevo perduta, anni prima, quando eravamo piccoli e stavamo insieme per la prima volta. A me sembrava che non fosse innamorata di me, mi pareva troppo bella per esserlo ed ero convinto di averle piazzato in qualche modo una fregatura perché io non mi sentivo per niente bello come lei. Però stavamo insieme. Era alta, aveva i capelli castani lunghi e lisci e ogni suo gesto era elegante. Nessuno riusciva a capacitarsi di come potesse essersi messa con me, ma per primo non me ne capacitavo io. Per questo, per troppa grazia ricevuta, non la toccai mai neppure con un dito. Ci baciavamo solamente e me lo facevo bastare. Una volta mentre eravamo di fronte, da dentro la sua maglia sentii un suo seno che premeva contro il mio petto. Johnny si risvegliò e appena lei fu andata via, io lo picchiai severamente. Lei non era per me, eravamo fidanzati, ma non si sapeva come mai, non mi sembrava convinta e io non volevo essere inopportuno. Neppure nei miei pensieri. Johnny capì e non chiese mai che lei entrasse nelle fantasie erotiche per le masturbazioni selvagge.
Feci bene a non oltraggiarla perché cinque mesi dopo ci lasciammo e io, da brava persona, la riconsegnai al mondo intatta per chi avesse voluto lei. Non so se capì che bel regalo fosse. Ripresi le mie vecchie strade e una nuova convinzione. Avevo solo sedici anni, ma il cielo sgombro sul mio futuro: non avrei mai più voluto una donna. Una mia, intendo, una ragazza a cui dover comprare regali nel giorno del compleanno, a cui dover dire frasi dolci o con cui dover scegliere che vestito mettere per una festa. Non volevo una persona che si riversasse in pieno nella mia vita, che potesse un giorno prendersi il lusso di pensare di farmi ragionare, ma allo stesso tempo capivo di non meritare una bella ragazza con cui avere una storia pulita. Preferivo e mi si addicevano soltanto le puttane, brutte, porche, vogliose di cose immediate e selvagge, disattente al profumo del loro corpo e avare di sentimenti, avide di morsi e schiaffi e di cose perverse, di ubriacarci insieme e di vomitare negli angoli oscuri di fetide case malsane. La mia idea di amore corrispondeva più o meno a questo. Ma una parte della mia mente era sempre stata troppo cosciente e troppo onesta per permettermi di godere della mia depravazione e così, nell'anno in cui stetti lontano dalla mia ragazza, non riuscii a combinare molto, pur non mancando le occasioni. Un senso di purezza di fondo permaneva nella mia anima e non riuscivo a sacrificarlo per mettere finalmente piede nel lato perverso della vita. Mi lasciavo andare, ma mai completamente. Avevo il bisogno di staccare gli ormeggi, ma avevo paura di perdere qualcosa di irrimediabilmente importante. Rimasi vergine controvoglia e mi bestemmiai in tutte le lingue che conoscevo, per questo.

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