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Il Santo
Il suo corpo era forte come la vita che gli scorreva dentro, la sua anima era un mare in burrasca, il suo cuore era una sorgente d'amore; la gente lo chiamava "il santo". Sprigionava amore e speranza, lungo il suo cammino seminava solo del bene.
Gesualdo era un uomo solo; Dio seguiva la sua ombra indicandogli il sentiero da percorrere.
Era un uomo di fede, non era ipocrita. Non badava alle ricchezze terrene: "Mai attaccare il proprio cuore al denaro, esso é peggio del demonio!".
Per il denaro, la gente venderebbe la propria anima rinunciando ai sogni; Gesualdo, lui no.
Egli aveva tanti sogni che danzavano nel vento, che volavano nel cielo infinito fino a raggiungere le stelle, deposito dei sogni d'ognuno di noi. Sogni che un giorno o l'altro sarebbero divenuti realtà.
"La fede", diceva, "è una forza immensa che solo pochi uomini veri conoscono!".
Pensava sempre alle parole di suo padre, quando da bimbo gli ripeteva sempre: "Figliolo, tieni viva la memoria! Non dimenticare mai i morti innocenti: loro non vogliono vendetta ma solo giustizia eterna!".
"Credi in te stesso, nelle tue idee, non avere paura di andare a destra quando gli altri vanno a sinistra. Ricordati sempre che il mondo ha bisogno d'uomini veri; Gesù n'è testimone. Ce ne fossero molti come Lui, il mondo sarebbe migliore! Ecco, io e tua madre ti abbiamo chiamato Gesualdo nella speranza che tu possa somigliare un poco a Lui. Sii giusto, vero, saggio e buono come lo è stato Lui. Buona fortuna, figliolo!".
Queste parole continuavano a vibrare costantemente nella sua mente, accarezzandogli i pensieri.
Gesualdo aveva capito che doveva sempre dare ascolto al suo cuore. Esso non l'avrebbe mai tradito; anzi, gli avrebbe mostrato la strada giusta da seguire.
S'incamminò nel sole del mattino, la strada da percorrere era lunga e tortuosa.
Gesualdo vide la luce, alla metà del secolo scorso, in un paesino sperduto del sud con poco meno di duemila anime, per arrivare al quale occorrevano il mulo o l'aquila.
Era ancora piccolo quando i suoi genitori si erano trasferiti al nord in cerca di fortuna; il lavoro al sud era un miraggio.
Gesualdo era cresciuto quindi nella nebbia del nord, che, quando scende, non ti permette di vedere oltre il tuo naso ed è talmente fitta che potresti tagliarla con un coltello.
Lui amava la nebbia, quella nebbia che nasconde con un velo di mistero tutto il paesaggio intorno.
Paesaggio tipico del nord, ricoperto di Robinie e di Pioppi e attraversato da canali che sembrano fumare a cielo aperto.
Lui, nella nebbia, riusciva a ritrovare se stesso e sentiva la vita lievitare nel suo petto.
Il nord ed il sud erano diversi ma lui li amava entrambi.
Gesualdo si sentiva italiano, non sopportava quel razzismo che voleva separare uomini e cose. L'Italia era il suo paese e basta!
I suoi lunghi capelli e la folta barba erano imbiancati dal tempo che inesorabilmente gli era passato sopra come un uragano.
I suoi occhi erano due finestre azzurre, specchio della sua anima.
La sua voce usciva dalle labbra come una melodia, infondendo serenità a tutti i cuori infranti.
Ammoniva i ricchi mettendoli in guardia e diceva: "La vita è un barlume fioco di una candela accesa; un soffio di vento potrebbe spegnerla da un momento all'altro. Amiamoci, fratelli! Ricordiamoci che il danaro non potrà mai riscattare l'anima, bisogna seminare solo amore, fino a che i cuori non diventeranno fertili eliminando tutta quell'aridità che ci portiamo dentro".
Lui predicava così, dava amore e aiuto a tutti senza chiedere niente, gli bastava un sorriso per essere felice. Per la sua generosità e per la sua bontà lo chiamavano "il santo", ma Gesualdo non amava essere chiamato così.
"Io", diceva, "sono un uomo come tanti che crede nel bene, nell'amore, nella pace e nella fratellanza degli uomini; che Dio c'illumini la strada proteggendo il nostro cammino!".
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