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Caporalissimo Vincenzo
Questo non era possibile, non era vero, pensava Vincenzo.
Scendeva, correva, precipitava giù per la collina.
Gridava piangendo, gli occhi appannati dal pianto, come una belva ferita.
Come una belva fuggiva, con le urla degli uomini alle sue spalle, che acuivano le fitte dolorose che provava in tutto il suo esile corpo di bambino. Ma continuava a correre, incurante dei rovi che strappavano la sua camicetta bianca, che staffilavano la sua tenera pelle.
Alla fine inciampò su una pietra e cadde a testa in giù dentro un immenso macchione di rovi che lo inghiottì, lo avviluppò come un orco, richiudendosi sopra di lui e immergendolo nell'oscurità.
Ma quella repentina interruzione fu un sollievo.
Rimase assolutamente immobile, sentendo il cuore uscirgli dal petto e dalle orecchie, tanto martellava, all'unisono con il suo fiato spezzato.
L'odore del rovo era forte, aspro e selvatico come quello di un animale.
Lo sentiva suo malgrado, ma lo preferiva all'odore del sangue che lo imbrattava, oltre al suo, quello di sua madre e suo padre.
Le voci degli uomini si facevano più vicine. Quegli uomini avevano fatto del male ai suoi genitori.
Doveva succedere qualcosa di brutto, Vincenzo lo aveva capito fin da quella mattina, da quando avevano frettolosamente lasciato la loro casa in paese. Suo padre, contrariamente al solito, quella volta non era in uniforme, ma in abiti civili.
Era molto preoccupato e anche sua madre, ma gli sorridevano, lo accarezzavano e dicevano che dovevano andare via subito, in campagna dai nonni, perché in paese potevano succedere delle cose brutte, non si capiva più niente.
Vincenzo si rendeva conto che l'aria era diventata strana da un po' di tempo. Niente più adunate in uniforme per i ragazzi, niente musiche patriottiche e piano piano tutti gli amici del papà che erano nella milizia non si erano più fatti vedere.
La mamma si lamentava che avrebbero dovuto andarsene prima anche loro, ma il papà diceva di non preoccuparsi, la guerra stava finendo, le truppe alleate erano vicine, forse le avrebbero incontrate e si sarebbero fatti accompagnare dai nonni e poi, in ogni caso, avrebbe pensato a tutto lui.
Mentre diceva così, si metteva qualcosa in tasca.
A Vincenzo dispiaceva di non poter portare la sua piccola uniforme di Giovane Miliziano, non ci stava nella piccola valigia di cartone che la madre stava preparando frettolosamente. Chiese al padre di poter portare in tasca il gagliardetto dorato e i gradi di primo caporalissimo con lo stemma della Giovane Milizia alla quale apparteneva.
Ci teneva tanto, specie ai gradi, un premio per il tema più bello che aveva scritto sulla patria.
Il papà guardò un attimo quei simboli di stoffa nera e dorata che Vincenzo, sorridendo fiducioso, esibiva con tanto orgoglio con le mani alzate per poter arrivare quasi all'altezza del suo viso e accondiscese con un cenno austero, un lieve sorriso sotto i sottili baffi neri.
Il papà aveva sistemato la valigia su una bicicletta, legandola con dello spago al portapacchi, facendo sedere solo Vincenzo sul sellino e con la mamma a piedi dall'altra parte si erano avviati lungo la strada bianca che portava verso la campagna.
Si era a metà settembre e quel giorno faceva caldo. Era bello camminare.
Non si vedeva nessuno, in lontananza alcuni cupi suoni rimbombavano di tanto in tanto. Gli uccelli smettevano di cinguettare, il papà volgeva lo sguardo preoccupato in quella direzione "Sono vicini, sono vicini" diceva, ma poi aggiungeva "Ma ancora troppo lontani per noi".
Gli uccelli riprendevano il loro canto.
Quegli uomini erano sbucati fuori come dal nulla, silenziosamente.
Erano sporchi, barbuti vestivano abiti civili e capi sparsi di abbigliamento militare di ogni foggia. Erano armati.
Vincenzo vide la mano di suo padre stringere nervosamente il manubrio della bicicletta.
"Guarda, guarda, guarda. Buongiorno, federale Tonioli. In gita?", disse uno di quegli uomini, con un grosso fazzoletto giallo intorno al collo, sembrava il capo.
Vincenzo era tranquillo. La giacca di quell'uomo aveva dei gradi d'oro alle maniche, piuttosto logori e macchiati, aveva anche delle decorazioni sul petto, doveva essere un combattente.
Non capiva perché il padre lo guardasse con timore.
"La vostra famiglia, federale? " disse l'uomo indicando con la canna del mitra la mamma e lui.
"Si", rispose il padre.
"Venite con noi. La strada non è sicura. Si possono fare brutti incontri"
Rise a queste parole, scoprendo una fila regolare di denti giallastri e sporchi, imitato dagli altri, che risero tutti, mettendosi intorno a loro.
Per un po' camminarono in silenzio. Il papà continuava a spingere la bicicletta. Degli uomini alle loro spalle tolsero la valigia dal portapacchi, la buttarono a terra, la aprirono lanciandosi uno all'altro i pochi vestiti che la mamma aveva messo da parte.
Vincenzo si assicurò che il gagliardetto e i gradi fossero ben nascosti nelle sue tasche. Il papà non diceva niente, la mamma con una mano stringeva una manica del papà e con l'altra stringeva la mano di Vincenzo, che la sentiva grondare di sudore e tremare.
Lasciarono la strada principale e dopo alcuni viottoli si avvicinarono a un casolare con del fumo che usciva dal camino. Uscirono altri uomini, armati anche quelli. Sorridevano. Guardavano verso sua madre.
"Ma quale onore! Sarà una bella festa, signora! Quale onore!" e ridevano anche quelli, ridevano tutti. Vincenzo non capiva perché ridevano, ma non gli piacevano quelle risate: non erano risate belle.
Arrivati davanti alla porta, il papà si fermò di colpo.
"Non vorrete farci l'affronto di non gradire l'invito... " disse uno di quegli uomini, storcendo la bocca in un broncio esagerato, come se fosse offeso, accennando un inchino, spingendo rudemente la mamma verso l'ingresso.
Il papà disse "Perdonami Imma. Perdonami Vincenzino. Vi ho sempre voluto bene. Ci rivedremo in paradiso..." mise velocemente la mano in tasca e subito dopo si sentì un colpo tremendo. Del fumo, qualcosa di caldo investì violentemente la faccia di Vincenzo che, spaventato anche dal suono inaspettato e vicinissimo, cadde assieme alla bicicletta sopra la mamma.
Seguì un putiferio di urla, rumori, ammassarsi di uomini.
Vide suo padre scaraventato a terra, trascinato, un braccio alzato con una pistola in mano, cercava di puntarla verso di lui.
Partì un altro colpo, un rumore spaventoso che colpì la bicicletta, investì di striscio Vincenzo.
Poi gli uomini furono addosso a suo padre. Urla, botte, calci, manici di fucili che picchiavano il papà sulla faccia. Sangue, tanto sangue.
Lo strascinarono verso il muro della casa, poi tutti gli uomini si riunirono sopra di lui. Si levava polvere, suo padre urlava, gli uomini urlavano e ridevano, tiravano calci e ridevano. Qualcuno prese delle grosse pietre, si sentirono dei tonfi... ancora urla, sempre più deboli.
Vincenzo vedeva tutto, ma non guardava. Non voleva guardare.
Vide appena sua madre che giaceva a terra con una ruota di bicicletta sopra, gli occhi spalancati al cielo, le braccia aperte e una macchia rossa sul petto che si allargava sempre di più. Vincenzo non voleva guardare. Fuggì. Dietro la casa, la collina digradava dolcemente verso la pianura e si lanciò a capofitto in quella direzione.
Aveva corso tanto, era sfinito ora, in mezzo a quei rovi, non voleva più muoversi, voleva solo riposare. Era buio lì dentro, non lo avrebbero visto, anche se erano vicini.
Era tanto stanco, aveva tanta paura, si sentiva completamente solo.
Chiuse gli occhi. Non sentì più nulla.
Quando si risvegliò, doveva essere passato molto tempo.
Quasi non riusciva a muoversi, aveva dolori in tutto il corpo.
C'era ancora il sole, ma se si affacciava appena fra i rovi, sentiva che gli bruciava la faccia, piena di graffi.
Sentì voci di uomini in lontananza. Si fece piccolo piccolo, più di quello che era, rintanandosi e rimanendo immobile in mezzo ai rovi che lo stavano martoriando e proteggendo allo stesso tempo. Non dovevano trovarlo. Quegli uomini erano troppo cattivi. Avrebbero fatto del male anche a lui.
Si chiedeva se avrebbe potuto rivedere sua mamma e suo papà, tornare nella loro piccola casa, vivere come prima.
Passò un tempo infinito. Il sole era andato via ed era ritornato diverse volte, ma per Vincenzo non aveva importanza. Non voleva più uscire da quel cespuglio. A forza di rigirarsi al suo interno si era creato un cantuccio appiattito, come un caldo nido di uccellini, le spine non lo pungevano più come prima.
A un certo punto gli era venuta fame, aveva mangiato le more che lo circondavano, aveva bevuto l'acqua della rugiada che impregnava le foglie, poche gocce, rivoletti d'acqua ghiacciata che non bastavano alla sua bocca secca e riarsa. Gli era venuta la febbre.
Non sentiva più nessuno fuori, ma non si fidava ad uscire. Lì dentro si sentiva al sicuro e protetto, meglio stare così che rischiare: quegli uomini erano troppo cattivi.
Poi, sicuramente, i suoi genitori lo stavano cercando, pensava.
Lo avrebbero trovato, raccolto, portato a casa e curato. Tutto sarebbe tornato come prima. Doveva anche ritornare a scuola, fra poco sarebbe ricominciata. Sicuramente. Le scuole non chiudono mai. Su questo non aveva dubbi, era sempre stato così, doveva essere così anche adesso. Solo che mamma e papà tardavano a venire, ma i grandi hanno sempre tante cose da fare, si sa. Quegli uomini erano cattivi.
Dov'era il suo papà?
Altro tempo era passato.
Rumore di motori in lontananza. Voci di uomini. Suoni strani. Si avvicinavano. Vincenzo si rattrappì nel cantuccio più interno del suo cespuglio, la bocca dello stomaco si contorse. Aspettò senza respirare.
Le voci si avvicinavano sempre di più. Erano voci forti, giovani, ma non capiva nemmeno una parola. Non gli sembravano quegli uomini cattivi, però, le voci avevano un suono molto diverso. Erano altri.
Bisognava vedere, rischiare un po'. Sentiva di non farcela più a stare in quel buco. Muovendosi piano piano, perché era tutto un dolore e non si muoveva da molto tempo, creò un piccolissimo varco spostando le foglie con le dita, ferendosi ulteriormente.
Gruppi di uomini scendevano la collina. Erano soldati. Non aveva mai visto quelle uniformi colore caffelatte. Un gruppo di questi soldati erano fermi poco lontano.
Vincenzo immaginò che forse quei soldati conoscevano il papà, lo avrebbero aiutato, tutti i soldati aiutano i bambini figli dei soldati, pensava.
Lo avrebbero portato dalla mamma e dal papà, che magari erano tornati in paese. Doveva farsi vedere, eventualmente riconoscere.
Forse i suoi guai stavano per finire. Era una buona idea. Sapeva quanto era importante farsi riconoscere fra i soldati, glielo avevano insegnato nella Giovane Milizia.
Prese quasi con felicità il gagliardetto e i gradi di primo caporalissimo dalle profondità delle sue tasche.
Si trascinò faticosamente fuori dal cespuglio, graffiandosi ulteriormente la faccia e le ginocchia. Si alzò lentamente in piedi, si sentiva molto debole e malato, e tenendo i gradi di stoffa in una mano e il gagliardetto nell'altra, alzò le mani e camminò in un punto scoperto, dove poteva essere visto.
I soldati si accorsero della sua presenza, si girarono verso di lui, si fermarono, guardarono.
Alcuni cominciarono ad avvicinarsi lentamente e Vincenzo accelerava il passo andando loro incontro, zoppicando, sofferente, tenendo sempre le mani in alto, con bene in evidenza i suoi simboli, perché dovevano vedere che era un ragazzo in gamba, uno che si era guadagnato addirittura i gradi di caporalissimo. Sapeva che lo avrebbero ammirato e invidiato per questo, infatti tutti lo guardavano e Vincenzo si sentiva molto importante. Quando furono vicini, alcuni di quei soldati si misero a parlare, Vincenzo non li capiva, un paio si accesero una sigaretta. Uno di loro, piuttosto anziano, si avvicinò.
Vincenzo pensò che quello doveva essere il comandante: sollevò ancora più in alto con tutte le forze rimastegli il gagliardetto e i gradi, riuscendo a malapena ad arrivare al petto del soldato. Era molto più alto di suo padre.
"Caporalissimo Tonioli Vincenzo! A rapporto!" urlò con voce rauca presentandosi: era giusto presentarsi a un altro soldato come lui.
Il soldato gli prese con dolcezza le braccia e gliele fece abbassare.
Si chinò per avere il viso alla sua altezza. Aveva dei grandi occhiali da sole neri, l'elmetto con il sottogola slacciato e masticava lentamente qualcosa, che mandava un bellissimo odore di fragole e fiori dolci.
Si tolse gli occhiali, toccò delicatamente il viso di Vincenzo, gli sussurrò qualcosa, quasi soffiando, gli sorrise, un sorriso bianchissimo sotto i baffi sottili, come quelli di suo papà. Vincenzo sentì l'odore della sua uniforme, uguale a quella del papà, l'odore che portava dalla caserma a mezzogiorno, quando la mamma cuoceva il pranzo: gli porse il gagliardetto e i gradi, lo abbracciò e prima di svenirgli sul petto, sentendo le mani forti del soldato che lo sorreggevano, capì che non sarebbe stato abbandonato.
Quei soldati erano bravi. Lo avrebbero aiutato e portato dalla mamma e dal papà. Sicuramente. Era felice.
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