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L'importanza di un cognome
2010
Laura è attorniata da figli e nipoti per festeggiare il suo sessantesimo compleanno. Per caso quel mattino, leggendo il giornale, si è soffermata su una notizia che le ha fatto ricordare un episodio dell'infanzia.
Il fatto ha segnato la sua vita nella società dell'epoca.
1962
Pronti, si parte!
L'autista l'aveva fatta salire sul taxi.
A dodici anni viaggiava per la prima volta in auto. Non aveva dormito tutta la notte per l'emozione sia per il viaggio che per la curiosità di vedere il mare.
La sua città non distava molto dal Lido ma la mamma preferiva il soggiorno in montagna triste e piovosa.
Lo aveva immaginato il mare dalle descrizioni delle amiche, che ogni anno andavano in vacanza per due mesi al Lido di Venezia.
Per lei fare una vacanza era una novità ma soprattutto era una novità andarci da sola, senza la madre.
L'inverno era stato duro: le suore della scuola che frequentava non avevano mai avuto un atteggiamento di protezione verso di lei nemmeno quando era entrata da loro all'asilo a due anni e mezzo.
Alle elementari le punizioni per non aver imparato la poesia a memoria o non aver ripassato la lezione di storia erano piuttosto sadiche. Spesso Laura doveva trascorrere la ricreazione lontano dalle compagne isolata in un angolo della classe a studiare.
Il soggiorno nella colonia in riva al mare, gestita dalla madrina, le era sembrato un regalo per la sua vita monotona e buia.
All'arrivo una corsa alla spiaggia, via i sandali e i piedi nudi ondulanti a contatto con il terreno sconosciuto e morbido.
Quella sensazione strana le era sembrata una vera conquista e già la sua mente aveva iniziato a sognare come le succedeva spesso. Stava per raggiungere la riva, quando il richiamo della madrina la costrinse a ritornare al presente e ai suoi doveri.
Le nuove compagne l'attendevano nella camerata e volevano conoscerla.
Lei era piccola, minuta e dimostrava molto meno della sua età. Aveva i capelli a caschetto, di un colore tra il biondo e il castano chiaro e la definizione "biondo cenere" non la consolava affatto.
Del suo aspetto esteriore era fiera solo dei suoi grandi occhi verdi.
"Hai lo sguardo di tuo padre" le ripeteva più volte la mamma "come la voce intonata." Sorrideva sempre quando le confidava che lui aveva saputo conquistarla cantando.
Le bambine che dovevano dormire nella stessa camerata, si presentarono: avevano la sua stessa età ma dimostravano di essere molto più mature di lei.
Qualcuna aveva già i primi segni di donna.
Laura si osservò allo specchio. Dalla maglietta bianca appiccicata per il sudore si potevano contare le costole e di femminile c'era ben poco.
Pensò di lasciar perdere i paragoni e sorrise con un sonoro"Ciao, piacere!"
Indossò il costume a righe rosse e bianche su fondo nero che la faceva apparire ancora più snella.
Tutto le sembrava magnifico in quella vacanza anche le cose più semplici: come l'insalata che mai aveva voluto assaporare prima di allora.
Il refettorio era enorme con dei finestroni dai quali entrava una luce calda e intensa.
Come il calore del suo umore in quei giorni. Sorrideva al vociare scomposto delle amiche e la pasta al pomodoro che mai aveva voluto assaggiare a casa sua le pareva un dolce squisito e cremoso.
Era il calore dell'ambiente che la rendeva euforica.
A fine pasto si alzava con le altre a sparecchiare i tavoli. Tutti, sia maschi che femmine, collaboravano e il lavoro era, per ognuno di loro, leggero e gratificante.
Dopo il sonnellino pomeridiano trascorso invece a chiacchierare con le amiche a bassa voce, tenendo gli occhi chiusi, le aspettava il ritorno sulla spiaggia e il bagno in mare giocando a rincorrersi nell'acqua.
La sera, dopocena, niente tivù. Tutti seduti a chiacchierare sotto gli alberi, a giocare a nascondino o ad ascoltare i ragazzi più grandi cantare le canzoni in voga negli anni sessanta.
Laura si era segretamente innamorata di uno di loro: occhi scuri, carnagione olivastra, un ragazzo che cantava come un angelo.
E lei così lo vedeva, si sentiva piccola, indifesa e avrebbe voluto stare racchiusa tra le sue braccia, accarezzata da quelle mani magiche che riuscivano a provocare sulla chitarra suoni celestiali.
Già allora da preadolescente manifestava il bisogno di tenerezza che nessuno aveva espresso nei suoi confronti. Nemmeno la madre, pur adorandola, riusciva a dimostrarle il suo amore con gesti affettuosi che riteneva superflui. Presa da mille problemi provocati dalla responsabilità di una famiglia dopo la vedovanza e dal carattere vivace dei figli maschi, molto più grandi di Laura, non aveva tempo per le smancerie.
La vita nella colonia aveva permesso alla bambina di avere uno spazio tutto suo colmo di allegria, di serenità. A casa era viziata da tutti e riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva non quello di cui aveva davvero bisogno.
Furono giorni intensi, di amicizia profonda, di condivisione di impegni: i compiti delle vacanze, la lettura, il cinema e il disegno che lei prima odiava e che era diventato creativo e piacevole.
Ma il sogno era verso la fine: i quindici giorni stavano scadendo.
Fu proprio in prossimità del ritorno a casa, che avvenne un fatto che segnò il suo presente e influì ancora di più sul suo futuro. Un giorno, durante l'appello quotidiano, la sua più cara amica le chiese: " E quale è il cognome ditua madre?"
Fu spontaneo per lei rispondere: "Il mio!"
"Strano!"- le rispose curiosa " Allora il tuo papà e la tua mamma hanno lo stesso cognome?"
"No" e fu sincera "Non porto quello di mio padre. Io non lo conosco."
Fu lo sguardo sbalordito dell'amica che costrinse Laura ad inventare una favola, che avrebbe soddisfatto lei e la sua fantasia.
" Mio padre"si affrettò ad aggiungere"possedeva una pistola e pochi giorni prima del matrimonio con mia madre si accingeva a pulirla. Non aveva tolto la sicura: è partito un colpo. Lui è rimasto ferito in modo grave ed è morto in pochi giorni senza potersi sposare e riconoscermi come figlia"
" Ora capisco! Triste questa storia. Io mi sento molto fortunata perché non solo porto il cognome di mio padre ma anche perché lui c'è sempre per me: mi abbraccia tutte le sere e quando sono malata mi sta vicino e mi racconta le favole."
" Ma io ho i miei fratelli" aggiunse con foga Laura" loro sono il mio papà, sono grandi e mi vogliono bene, mi abbracciano sempre e non mi rimproverano mai!"
2010
L'articolo che Laura aveva letto quella mattina era la richiesta di una madre al giudice tutelare, di poter assegnare al figlio il suo cognome da nubilediversamente da quanto stabilisce la legge italiana.
"L'idea non è inconsueta." aggiungeva il giornalista, " Molte donne manifestano il desiderio di trasmettere ai figli le loro generalità."
" La vita è proprio strana." dice Laura, rivolgendosi al figlio che non comprende "Come cambiano i tempi e le situazioni. Oggi con le famiglie allargate non si fa più caso a nomi e cognomi. Tutto si confonde in un miscuglio di esistenze e di accessori inutili, che un tempo segnavano come cicatrici la vita delle persone nella società. Io mi sono battuta per anni nella ricerca del cognome e del passato di mio padre. Mi mancavano molti tasselli per ricostruire il puzzle della mia identità.
Cercavo l'elemento essenziale per stare in equilibrio con la mia vita. Ora non ha più importanza come ti chiami. Un tempo, il cognome era l'abito che ti individuava, che ti distingueva come i buoni dai cattivi, i diversi dai normali e io mi sentivo così "anormale" quando dichiaravo le mie generalità:
"Figlia di... e di???" insisteva la segretaria all'Università quando mi iscrissi.
E forse fu proprio in quel frangente che mentendo a me stessa dissi con orgoglio:
" Figlia di... e basta!"
La ricerca delle mie origini è stata lunga e quando la legge poteva darmi ragione dei miei diritti per ottenere il cognome che mi spettava, ho rinunciato.
Non era giusto spogliarmi dell'abito cucito a mano con sacrificio. Forse un tempo non era alla moda ma mi era stato donato da chi mi aveva dato la vita e mi aveva amato trattenendomi con sé e sacrificando il proprio futuro. La società ha messo al bando l'unico mio genitore, negandole, come donna che aveva peccato, i diritti acquisiti nel lavoro e punendola con l'umiliazione per un delitto che non aveva commesso."
" Grazie mamma di avermi riconosciuto. Mi hai fatto il dono più prezioso." pensa Laura, mentre il viso le si riempie di lacrime.
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- Il racconto è abbastanza scorrevole, la vicenda interessante anche per le riflessioni incidentali che contiene. L'uso della lingua italiana è appropriato. Tuttavia, in alcuni periodi, andrebbe maggiormente curata la punteggiatura, soprattutto l'uso delle virgole, poichè in taluni passaggi esse sono del tutto assenti, a scapito del testo che risulta senza la necessaria cadenza...