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Un'altra vita
Fumava aspirando lunghe boccate: il tabacco bruciava velocemente consumando in fretta la carta della sigaretta. Steve, appoggiato al bancone del bar, beveva una birra assorto nei suoi pensieri. Era un uomo d'aspetto gradevole con i capelli biondi e arruffati. Stava cercando di rilassarsi dopo una giornata dura: lavorava come magazziniere in un centro commerciale nel reparto elettrodomestici. Quel lavoro non gli piaceva: da giovane aveva cercato di inserirsi nell'ambito musicale come chitarrista blues. Passava gran parte della giornata attaccato alla sua chitarra come una chiocciola al suo guscio, e pensava che quello sarebbe stato il suo futuro. Si estraniava completamente dalla realtà quando, immerso nelle note, trascorreva ore senza rendersi conto del tempo passato a tirare fuori un'idea coinvolgente. Aveva cominciato a suonare nei pub con un gruppo, e si divertiva. Da poco aveva ricevuto un'offerta interessante da parte di un produttore discografico. La gente apprezzava la sua musica, le ragazze non gli mancavano e la vita sembrava andare per il meglio. Era solo un inizio, sapeva che avrebbe dovuto lavorare sodo per ottenere qualche buon risultato; ma quella era la sua passione e voleva metterci tutto il suo impegno perché diventasse la sua vita. Steve accese un'altra sigaretta mentre il barista gli porgeva la seconda birra. Il locale si stava animando, continuava ad entrare gente e la musica di sottofondo ormai aveva raggiunto un livello sonoro molto più alto. Il locale in stile anni'50 aveva i divani in finta pelle, poster e foto dell'epoca e una serie di oggetti che riportavano la mente a quel periodo. Il classico juke-box stava in un angolo in attesa che qualcuno inserìsse una moneta e un distributore di Coca-cola, dalle forme morbide di un rosso acceso, attirava sempre l'attenzione. Mentre un vecchio brano di Muddy Waters riscaldava l'atmosfera, Steve prese la birra con la mano sinistra e inevitabilmente i suoi occhi lo riportarono indietro nel tempo. Era una mattina d'estate di molti anni prima e il suo amico Frank stava rifacendo il pavimento del portico di casa: Steve, che se la cavava con i lavori di questo tipo, si era offerto di dargli una mano e Frank era stato felice di poter contare sul suo aiuto. Oltretutto sarebbe stata anche un'occasione per scambiare quattro chiacchiere: non si vedevano da un po'. Presto si erano organizzati nella divisione dei compiti: Steve tagliava le assi e Frank le sistemava, fissandole. Steve aveva poggiato il suo cellulare su un banco da lavoro, vicino alla sega elettrica. Il lavoro procedeva piuttosto speditamente e, complici qualche birra e le solite storie un po' gonfiate per stupire, la fatica non si sentiva. Lo squillo del telefono arrivò inaspettato, proprio mentre Steve con una mano stava posando una birra e con l'altra accompagnava un'asse verso la lama. La bottiglia cadde: Steve, distratto anche dalla suoneria, non si rese conto che la mano sull'asse stava per incontrare la sega. La ritrasse mentre urlava: il suo indice era stato tranciato, il sangue usciva a fiotti e c'erano schizzi tutto attorno.
Frank cominciò a cercare il dito dell'amico mentre cercava di rassicurarlo, intanto la compagna di Frank resasi conto dell'accaduto, era uscita dalla casa con delle bende e stava fasciando la mano sanguinante di Steve. Corsero all'ospedale più vicino. Steve era pallido: "Frank, il mio dito, il mio dito... mio Dio" "Tranquillo Steve, vedrai che te lo rimetteranno a posto". Frank cercava di calmare il suo amico ma intanto dentro di sè tremava: sapeva quanto fosse importante per Steve la musica.
Sperò con tutto il cuore che l'operazione riuscisse perfettamente.
L'indice di Steve era di nuovo sulla sua mano, ma adesso stava per cominciare un lungo periodo di riabilitazione e di fisioterapia. Steve non era uno che si abbatteva facilmente, ma questo era un brutto colpo e il suo stato d'animo era evidente.
Si sentiva depresso, non nutriva molta fiducia circa la possibilità di un completo recupero. Aveva passato l'ultimo periodo in un continuo andirivieni tra casa ed ospedale per controlli vari e per togliere i punti e anche quel giorno non faceva differenza: la prima seduta di fisioterapia stava per iniziare. Steve entrò nella stanza e si sedette. Poco dopo arrivò Jenny: lui alzò gli occhi e ad un tratto il suo viso assunse un'espressione che sembrava cancellata dalla memoria: si ritrovò a sorridere senza neanche rendersene conto. Jenny era bella, alta, slanciata e sapeva mettere a proprio agio i pazienti. Per Steve, vederla e innamorarsene fu quasi un tutt'uno! Le sedute furono tante e ogni volta Steve cercava di conoscere un po' di più Jenny che mostrava un certo interesse. Il dito faceva progressi, aveva riacquistato mobilità e se lui non fosse stato un musicista avrebbe anche potuto sentirsi soddisfatto. Presto Steve e Jenny cominciarono ad uscire insieme e prima di quanto essi stessi potessero immaginare erano marito e moglie. Già durante la cerimonia la pancia di Jenny era piuttosto evidente.
Un'altra vita... per lui che adesso era un impiegato di un grande magazzino.
Un'altra vita... con Jenny che amava moltissimo, arrivata inaspettatamente.
Legata a lui, in un certo senso rappresentava l'anello di congiunzione tra felicità e rassegnazione. Non l'avrebbe conosciuta se non avesse avuto l'incidente e, se la lama non avesse tranciato di netto il suo indice, forse non avrebbe provato mai il fortissimo sentimento che sentiva per lei.
Un'altra vita... tra poco si sarebbe affacciata al mondo ed era opera sua.
Anche se ancora non riusciva a cogliere appieno il senso di quelle parole, già si cominciava a rendere conto che quello che fino ad allora aveva considerato importante, fondamentale nella SUA vita, adesso non avrebbe avuto più lo stesso valore.
Appese la chitarra in soggiorno tra una foto di John Lee Hooker e una grande stampa di Eric Clapton in concerto: in un primo momento aveva pensato di disfarsene, regalandola a qualcuno che avrebbe potuto suonarla, ma poi capì che non era il modo giusto per superare la cosa. Decise di tenerla in evidenza: prima o poi, forse sarebbe stata lei a dargli la risposta giusta.
Steve non frequentava più i locali da molto ormai. La sera, dopo il lavoro tornava a casa e dedicava un po' di tempo a suo figlio e a sua moglie. Ogni sera iniziava un'altra vita fatta di giochi e carezze, nuove armonie costruite insieme. A volte Steve metteva un po' di musica: riesumava qualche vecchio blues. Jenny lo raggiungeva sul divano abbracciandolo. Parlavano dei loro progetti e di Robert che cresceva bene. Ma in quel fine settimana era solo, perché Jenny era andata a trovare la sorella che stava per partorire e aveva portato il figlio con sè. Steve aveva pensato che tornare subito a casa lo avrebbe fatto sentire troppo solo ed era entrato nel bar. Si era seduto su uno sgabello al banco e aveva acceso una sigaretta. Provava a rilassarsi mentre percepiva le sue sensazioni. Le sensazioni di un uomo a confronto con se stesso. Il tempo passava e le note di "Manish boy" saturavano le orecchie, la birra gli riempiva la pancia: Steve guardò la sua mano che stringeva la bottiglia e osservò il suo dito indice. I pensieri correvano veloci ma la sua mente era serena. Non gli importava più: qualche tempo prima Steve aveva sganciato la chitarra dal muro e dopo averla spolverata l'aveva accordata. Con gli occhi lucidi l'aveva consegnata tra le mani del figlio che aveva cominciato a mostrare interesse per lo strumento. Qualche giorno dopo il piccolo Robert suonava già i primi accordi...
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