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La moglie del contadino
Un uomo sposato con una donna bella e molto più giovane di lui, non riuscendo più a campare emigrò in un altro paese. Essendo molto innamorato di sua moglie, benché ella aspettasse un bambino, decise di chiederle di affrontare il viaggio con lui.
La notte che partirono, due vipere si avvicinarono al loro carro già carico per il viaggio. La donna le catturò e le mise in un vaso con piccoli fori perché vivessero. Disse al marito di catturare due topi, che l'uomo non fece fatica a trovare.
La donna mise i due piccoli topi di campagna nello stesso vaso condannandoli a morte certa.
Il contadino era un gran lavoratore e nel nuovo paese trovò presto da lavorare e guadagnare abbastanza per dar da mangiare a sua moglie e molto presto anche al bambino che lei gli diede.
Lavorava per un signore vedovo e senza figli che lo ricompensava giustamente per il suo lavoro nei campi e nel ricco orto della sua sfarzosa villa.
La giovane coppia ed il loro figliolo vivevano in una grotta lungo il corso di un torrente alla periferia della città.
La donna che si occupava del bambino e non lavorava fuori di casa, scavò nel tufo della grotta, sino a ricavarne nuove stanze ed un camino per raccogliere il fuoco e permettere di cucinare le verdure che suo marito riceveva dal suo padrone.
La donna catturava di tanto in tanto piccoli topolini che faceva scivolare nel vaso delle vipere che si erano riprodotte ed erano diventate una numerosa famiglia di dodici vipere.
La donna dopo un po' di tempo lasciò il vaso scoperto e le vipere impararono ad uscirne quando avevano fame. La donna faceva trovar loro piccole uova d'uccello topi e lucertole.
Le vipere impararono a muoversi per casa ed a prendere il cibo dalle mani della contadina e a ritornare sazi ne vaso dove restavano a dormire fino a sentire nuovamente la fame.
L'uomo lavorava sodo e non parlava mai al suo padrone della giovane moglie, e questa non andava mai al villaggio e conduceva una vita molto riservata dedicandosi al marito, al figlio e alla sua grotta che diventava sempre più graziosa. Era stata così cambiata da non sembrare più una grotta.
Un orto ben curato e prosperi alberi da frutto ornavano il cortile. E in una terrazza del dirupo che costituiva la gola sul cui fiondo scorreva il torrente c'era il suo capolavoro. Un cortile dove aveva sistemato una capra, due pecore, alcune galline e conigli. In particolare era fiera della sua porcilaia dove quattro grossi maiali facevano bella mostra di sé.
Il signore che era un uomo molto vigoroso, amava andare a caccia quando era libero dagli affari. Era molto sospettoso e non si fidava di nessuno tranne che del contadino. Così prima di partire gli ordinò di fare da custode del suo palazzo e di tenere sotto controllo la servitù.
Il contadino pensò che avrebbe dovuto lasciar soli sua moglie ed il bambino e tentò di protestare, ma il padrone fu irremovibile e gli ordinò d'ubbidire altrimenti lo avrebbe cacciato. L'uomo accettò.
Sua moglie si dispiacque ma non disse nulla e raccomandò a suo marito d'ubbidire.
Il padrone sistemò ogni cosa dando al contadino il compito di custodire la casa e di far funzionare tutte le attività come un padrone sino al suo ritorno e raccomandò a tutti di ubbidire al suo contadino come se fosse stato un suo figlio.
Il padrone partì per la caccia con i suoi cani ed un suo amico, restando nei boschi per dieci giorni.
Non era un buon anno per la caccia e rientrarono con quattro giorni di anticipo tra le proteste dell'amico che avrebbe rivisto la sua gelosa e petulante moglie prima di quanto avesse sperato.
Rientrando l'amico del padrone lo incuriosì parlandogli della bellissima moglie del suo contadino.
Per questa ragione invece di tornare al proprio palazzo fecero una deviazione e raggiunsero la casa del contadino.
Il signore fu colpito dal fascino della donna che si muoveva tra l'orto ed il cortile con tanta grazia e femminilità da accendere torbide fantasie.
Dissimulandole i due figuri si rivolsero alla donna con gentilezza ed ancora più eccitati dalla ritrosia della donna divennero ben presto volgari ed espliciti.
Svergognarono la casa e la donna per tre giorni, costringendola a soddisfare i loro disgustosi desideri, ma anche dormendo nel suo letto e sedendo alla sua tavola.
La donna nascose ai suoi stessi occhi l'orrore ed il disgusto.
Ma durante la notte non dormiva. Approfittando del sonno profondo dei due uomini intrisi del vino che lei abbondantemente gli versava, incideva nelle selle di cuoio nicchie, nelle quali lasciò dormire le sue vipere.
Al quarto giorno gli uomini comunicarono alla donna la partenza.
La donna si offrì di sellare e strigliare i cavalli. Quando lei ebbe finito non le risparmiarono l'ultima violenza.
Montarono con i loro laidi e pesanti corpi sui cavalli tra l'agitazione dei cani ce sentivano l'odore delle vipere. Le serpi schiacciate contro il ventre del cavallo cominciarono a morderlo. I cavalli cominciarono a scalciare e ad issarsi sulle zampe posteriori terrorizzati dai cani a dai morsi delle vipere.
I due uomini disarcionati, anche a causa delle selle mal fermate, precipitarono sulle rocce aguzze del precipizio, facendo crepitare ossa fratturate e carne sanguinante. Sui due corpi immobili si avventarono i cani, che i due uomini avevano spesso maltrattato, dilaniando la carne con morsi rabbiosi.
La donna quel che rimase dei corpi lo trascinò dentro la porcilaia. I porci fecero il resto.
Il contadino attese il suo padrone. Inutilmente. Dopo un mese lui e la moglie dell'altro sciagurato avvertirono le guardie. Nessuno li aveva visti e niente fu trovato.
Il contadino timoroso dell'ira del padrone non si allontanò mai dal palazzo. A sua moglie mandava a dire che il padrone sarebbe tornato e lui l'avrebbe riabbracciata.
Dopo tre mesi la moglie del contadino andò dal Giudice a reclamare il ritorno del marito.
Il giudice esaminò tutta la situazione e decise che, non potendo il contadino venir meno all'impegno preso, la donna si sarebbe ricongiunta, insieme al figliolo, con il marito nel palazzo del padrone, in attesa del suo ritorno.
Il contadino e sua moglie erano così giusti con i servi e con tutti coloro che facevano affari col padrone che, dopo qualche tempo nessuno fece più caso al ritorno del padrone.
Il contadino visse a lungo in quella casa, come un padrone, ed oggi ci vivono i suoi figli e le famiglie dei figli della servitù in grande armonia.
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- Non è una favola, ancor meno destinata ai bambini. Tuttalpiù è una metafora sul potere, sulla condizione di donna. La protagonosta introietta ed amplifica prima di reagire, l'odio e la superbia dell'uomopnn.
- Quello che hai scritto è un bel racconto, ma non lo vedo come una favola, le scene sono troppo brutte per un bambino. Penso che la morale sia quella che si riferisce alla prepotenza e al male che viene cancellato permettendo a chi è stato buono di avere il meglio.
- Capito... però tolgo la risposta da dove me l'hai inviata, non sembrandomi in linea con gli auguri natalizia... solo per stile, null'altro...
- Trovo il pezzo ben scritto, ed anche con un buon ritmo, il che fa leggere volentieri l'intero racconto, tuttavia mi ha lasciato una certa inquietudine (forse nel modo della donna di allevare le vipere? c'è un che di sorcière in questa contadina..). Come favola poi, mi sfugge la morale...
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