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LEI.
Salii su quel treno scassato come se stessi inseguendo un carretto di gelati nel deserto. Travolsi una vecchietta, che bestemmiò fuori di sé, e un ometto tutto elegante che insolitamente non si scompose affatto. Camminavo nei vagoni imbottiti di gente d’ogni tipo, in una calca infernale dove non esistevano differenze di razza, ceto sociale, età o religione. Sembrava contasse solo una spudorata legge del più forte. C’era una puzza tremenda, il sudore gocciolava giù e formava a terra pozzanghere scivolose. Ogni due o tre scomparti qualche ragazzo gentile faceva sedere una signora dal cappello piumato o dall’abito di seta, quindi si appiccicava come una sardina agli altri viaggiatori in piedi, con la faccia contenta per la buona azione appena fatta. I giovani meno educati approfittavano della ressa per toccare il culo alle ragazze più attraenti, mentre i delinquenti, ci avrei giurato, facevano man bassa di portafogli.
Io camminavo sudato, facendomi largo a spallate senza distogliere gli occhi dal mio obiettivo. Ogni tanto spariva dietro qualche spilungone di due metri, poi riappariva come un miraggio qualche passo più avanti. Alla fine si fermò, approfittando del posto a sedere lasciato libero da una negra di tre quintali. La negra mi passò accanto, tentando con un ultimo sforzo di guadagnare l’uscita. Spostò tredici persone con la coscia destra, e altre diciassette con il seno sinistro. Giunta alla porta ci guardò con arroganza mista ad una sorta di malinconica pena. Lei aveva vinto, noi chissà. Mise il piede sul primo scalino, il treno gemette per lo sforzo. Secondo scalino, l’acciaio sembrò cedere. Terzo scalino, ero sicuro, il treno avrebbe mollato, si sarebbe capovolto e tutti saremmo morti schiacciati. Invece resistette, al limite delle leggi della fisica. Quando la negra fu a terra il treno si rilassò di brutto, e tirò un lungo sospiro di sollievo. Superato indenne il contatto con la cicciona, rimisi gli occhi su di LEI. Era la donna più bella che avessi mai visto. Era sensualità in movimento, era femminilità fasciata in un abito scuro. Accavallò le gambe e uccise il bambino al suo fianco, ignaro nella sua ingenuità che al mondo potessero esistere visioni così scioccanti. Mi appoggiai alla porta dello scomparto. E mentre mi innamoravo di LEI il treno partì.
Non avevo la benché minima idea di dove quel ferrovecchio rumoroso e puzzolente mi avrebbe portato. Fino a poco tempo prima ero seduto al tavolo di un bar all’aperto, a scolarmi una birra ghiacciata. La tiravo giù con avidità, come fanno i fottuti ubriaconi come me. Metà della pinta se ne andava alla prima sorsata. Poi uno due e hop, era già finita... Un’altra please. Mentre bevevo mi guardavo intorno, la gente indaffarata correva qua e là leccando il culo ad un padrone immaginario. Prima o poi anch’io avrei cercato un lavoro fisso. Era il “poi” che mi fregava. Tirai giù un’altra sorsata decisa, e distesi una gamba sotto il tavolinetto rotondo. Alzai di nuovo gli occhi e mi rilassai, la vita sapeva essere tranquilla. Fu li che la vidi. Fu lì che LEI mi passò davanti, dimenando quel culo rotondo sotto il vestito attillato. Si faceva largo tra la folla lanciando sguardi di fuoco con gli occhi perfetti, tizzoni ardenti che non lasciano scampo. Il volto era magro e allungato, i capelli neri lisci ricadevano senza sosta sulle spalle circondate da una sciarpa di seta leggera. Che sventola, baby. Le teste degli uomini si giravano verso di lei sincronicamente, le donne si ritiravano sconfitte nascondendosi dentro i portoni più scuri. Fu una carneficina. Pensai che fosse un angelo. Poi di essere morto. Quindi chiusi gli occhi e li riaprii trionfante, sicuro di aver eliminato quell’incredibile visione. Ma LEI c’era ancora, e con LEI quel suo culo fantastico. Si stava allontanando sul marciapiede, al suo passaggio il mondo continuava a soccombere. Non era sparita, affatto. Lo presi come un segno del destino, come una sfida, come un dono del cielo, chissà, e la seguii.
E adesso, o my god, ero lì, sul quel treno rumoroso che sferragliava verso una meta a me sconosciuta. Il tempo correva lento in quell’inferno di ferro e persone pressate, me ne stavo lì, calmo e disperato, a pensare. Dove può andare una donna così? La vidi che entrava in una grande villa con giardino, lasciando il cancello semiaperto. La seguii lungo il vialetto alberato, lo sguardo fisso sul movimento ondulatorio delle sue natiche. Alla fine del viale la rincorsi su per una scalinata, statue di marmo mi scortavano ai lati. In cima alla scala giungemmo a un portone. Si aprii magicamente, come per rendere omaggio alla bellezza. E non si richiuse, come un invito atteso da sempre. Entrai nella villa, mi accolsero luce soffusa e odore di ricchezza. LEI era in cima a una scala di legno scuro, per niente imbruttita dalla penombra, mi sorrisse maliziosa prima di entrare in una stanza buia. Salii le scale affannosamente e mi fiondai nella camera. Era lì, distesa sul letto con le gambe semiaperte. Sul comodino accanto un paio di bottiglie di whiskey da aprire. Dio mi perdoni, non avevo mai visto niente di così bello e tremendamente eccitante. Mi tolsi i vestiti con una rapidità sovrumana, e mi buttai a capo fitto su quel corpo nato per essere desiderato.
Un militare vestito di tutto punto, scarpe lucide, divisa impeccabile, faccia da stronzo e cappello un po’ storto, mi si piazzò davanti proprio nel momento in cui col pensiero ero arrivato a strappar via le mutande e iniziavo ad inserire l’arnese nell’apposito, splendido, vano.
-Soldatino del cazzo, levati dai coglioni-
-Mi scusi signore, credo di non aver capito-
-Hai capito bene soldatino di piombo. Sei una faccia di merda, mi stai sulle palle e in più puzzi tremendamente. Trovati un altro metro quadrato-
-Signore, la divisa che indosso mi impedisce di reagire sia a parole sia fisicamente ai suoi insulti, ma le giuro che avrei una gran voglia di colpirla-
-Vi insegnano a parlare o a far la guerra all’accademia, eh soldatino? Comunque che tu me le suoni o no devi levarti dalle palle. Sei nel posto più sbagliato del mondo-
-uh?-
-Cos’è, hai perso la lingua? O l’hai usata troppo per spompinare l’arsenale del generale?-
Tutto il vagone era ora attento al nostro volgare borbottio. Risatine sommesse e mugolii assortiti. Il soldatino si era fatto rosso in faccia, un po’ per la vergogna e un po’ per la rabbia. Si spostò di qualche passo, finendo vicino a due ragazze che lo sfottevano ridendo senza ritegno.
-Bravo ragazzo- dissi?"la vita è come una guerra, ogni tanto bisogna battere in ritirata. Ma sei un ragazzo per bene, eh, quando ti troverò a zonzo senza divisa ti offrirò da bere.-
Poi iniziai a fischiettare la ritirata dell’esercito, ballettando il motivetto senza ritegno.
Il soldatino mi guardò incazzato, e non rispose. Le ragazze risero più forte. Il soldatino mi guardò di nuovo. Io ridevo, le ragazze ridevano, il treno si sgangherava. Il soldatino se ne andò. L’esercito degli StatiUnitid’America sconfitto da una risata.
LEI era sempre là. Aveva accavallato l’altra gamba. Controllai se alla sua destra fosse morto qualcuno, nessuno!, stavolta era andata bene. Continuai a guardarLA e ripresi il mio sogno. Lo infilai dentro con forza, e iniziai a muoverlo lentamente. Poi inizai ad andare più veloce, controllavo i colpi e LEI controllava la scopata, mi dirigeva, mi indicava la strada. Andammo per mano in un deserto assolato, poi in un bosco di pini, poi in una terra ghiacciata e arida, poi la faccia da stronzo di un controllore delle ferrovie.
-Biglietto-
-No, grazie-
-Mi prende in giro?-
-Non mi permetterei mai, capo. Pensavo volessi vendermi un biglietto della lotteria delle ferrovie-
-Favorisca il biglietto di viaggio, prego-
-Non ce l’ho amico-
-Allora mi dia un documento, devo farle il biglietto adesso e farle pagare una multa-
Tirai fuori il documento senza discutere. Non avevo il becco di un quattrino, il verbale sarebbe arrivato a casa e avrebbe fatto la fine di tutti gli altri, importantissimo sostituto della carta igienica quando il rotolo finisce nel bel mezzo di una seduta monumentale. Avrebbe avuto la sua missione da compiere, e che missione. Prima o poi sarei finito in gabbia, ma stavolta il “poi” mi faceva sperare.
Il treno proseguiva il suo viaggio, accompagnato da uno sferragliare continuo e da strani cigolii metallici che sembravano provenire dal profondo della sua anima.
Io non riuscivo a staccare gli occhi da quella visione incredibile. Ero in erezione da circa venti minuti, e il serpentone gonfio era ben evidente sotto la patta un po’ scucita dei pantaloni. Non me ne preoccupai minimamente, e continuai a fissare quell’angelo in calze di nylon e vestito di seta.
Ci ritrovammo abbracciati sul letto, i lenzuoli di seta grigia ci coprivano alla rinfusa. La guardai mentre si puliva con una salvietta di carta, annusai il suo odore e sperai di non dimenticarlo mai. Dopo dieci minuti ero pronto a ripartire. LE montai sopra con delicatezza, tanto mi sarei sfogato mentre la scopavo, allargai le gambe e mentre impazzivo e stavo per ripartire il treno arrivò.
La stazione che vidi dal finestrino era squallida. Quando LEI scese diventò il posto più bello dell’universo.
La seguii lungo i binari affollati, urtaii il soldatino che quasi perse la pazienza, la seguii lungo il marciapiede fuori dalla stazione e la vidi salire su un taxi. Andava alla villa, senza dubbio. Mi imbucai nel taxi successivo e come nei peggiori film americani ordinai di seguire “quel taxi”. Dopo qualche chilometro ci fermammo davanti ad uno stabilimento balneare. La villa sarebbe rimasta un mio sogno. LEI scese, pagò il tassista dal finestrino e si incamminò verso la spiaggia. La imitai senza perdere tempo, LE fui dietro in un attimo, in tempo per vederla entrare in una cabina. Stette dentro cinque minuti, a me sembrarono una vita. Intanto mi guardai intorno. Avevo sempre odiato le spiaggie, con tutti quei corpi messi in mostra senza pietà. Vidi culi immensi, tette calanti, pelle morta e gambe vizze. Era uno spettacolo osceno. I belli o almeno i normali che ogni tanto passavano sul bagnasciuga non bastavano a migliorare lo spettacolo. Bambini maleducati pisciavano tranquillamente sui vecchi stesi a prendere il sole, donne tutte cellulite sparlavano male delle vicine di ombrellone con le tette rifatte. Sembrava di essere al circo. Finalmente la porta della cabina si aprì. LEI uscì con addosso un costume giallo che lasciava scoperta una buona porzione di quel corpo fantastico. Stavo per morire, l’arnese non mi dava scampo, stava per distruggere la cerniera e uscire fuori arrembante. Allungai la mano per fermarla proprio mentre una bambina dai capelli scuri LE saltava in braccio. LEI la baciò teneramente, quindi corse con la bimba in collo verso un uomo in costume nero qualche metro più in là. Si baciarono scambiandosi avidamente lingua&saliva.
Rimasi fermo. Un bambino mi pisciò su una scarpa. Un vecchio mi sbavò su un braccio. Un bambino mi pisciò sull’altra scarpa. Quello era l’inferno, senza dubbio. Mi infilai in una cabina aperta e senza chiudere la porta mi feci una sega che durò un battito di ciglia. Mi pulii alla meglio con un telo da mare e me ne andai senza fiatare.
La vita alcune volte sa bene come farti incazzare.
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