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Anima nel cuore
Miei cari avventori avvinazzati - disse il vecchio ai due giovinastri -, vi racconterò. Vi racconterò.
Era ancora la prima metà del secolo, ed io vivevo, con la sola compagnia del mio vecchio maremmano Gilles, in una barca trasandata adibita a dimora in quel del Lago di Como.
Di giorno in giorno passavo di sponda in sponda, di paese in paese, a portare la mia musica. In cambio non chiedevo null'altro che almeno uno o due dei miei ascoltatori lasciassero nel mio vecchio cappello scucito giusto due monete: il necessario per tirare avanti un giorno di più.
Nessuno mi disprezzava, non ero insultato, maltrattato, ignorato, come quelli che al giorno d'oggi voi giovinastri chiamate barboni. La gente mi amava. In ogni paese i bambini accorrevano al mio arrivo, e più di una fanciulla aveva ceduto al mio fascino. Sapete, quello dell'uomo di strada, del vagabondo: avevo storie da raccontare, un passato.
Le donne mi adoravano, già. Eppure mai, mai ne incontrai una che mi facesse veramente sciogliere.
Che fosse in grado di ispirarmi sogni, poesie, canzoni. Una musa, insomma. Non l'avevo; mi mancava, ma ancora non lo sapevo. Ero convinto che tutto ciò che avevo fosse tutto ciò di cui avevo bisogno.
Non era così.
Era in realtà da poco che io ero approdato a quei lidi e avevo iniziato il mio giro: quasi un anno. Tanto per voi, un'inezia paragonato alla totalità della mia esistenza.
Ebbene, io allora avevo deciso che quell'anno lo avrei speso così, di paese in paese, giorno dopo giorno. Trecentosessantacinque paesi in trecentosessantacinque giorni, quello era il mio obiettivo.
E poi via, verso altre mete. Fallii.
L'ultima tappa dell'anno, il trentuno di dicembre 1943, fu lei, Como.
Ed appena vi giunsi, mi innamorai.
Lei era bellissima, davvero bellissima. Clara il suo nome. Era infermiera nell'ospedale della città. Un ospedale da operetta, sia chiaro. Ma lei per quanto poteva vi si dava da fare, per i molti oberati dalle più disparate malattie e ferite.
In particolare, all'epoca, numerosi erano i feriti di guerra. Era appena scoppiata, sul fronte internazionale, la guerra tra l'Italia fascista al fianco dei tedeschi e le potenze alleate, e, sull'altro fronte, quello interno, quella senza tregua tra l'Italia fascista ed i partigiani, i ribelli della montagna.
Clara era figlia di un partigiano. Finta collaborazionista, collaborava con il CLN, riferendo informazioni sui gerarchi e su quant'altro concernesse le azioni di guerra e i movimenti delle truppe fasciste.
Io la conobbi, ovviamente, perché fui anch'io ricoverato in quell'ospedale. Fui ferito da una granata mentre cercavo legna da ardere sui monti, scambiato da una giovane recluta fascista per un partigiano.
Il suo comandante, resosi conto dell'errore, mi fece ricoverare, per ben un mese. Insomma, il mio piano di ripartire subito naufragò.
In quei giorni di permanenza nell'ospedale, mi innamorai di lei. Lei, cui erano giunte voci su chi ero e cosa facevo, prese confidenza con me, un poco alla volta, ed inizio a parlarmi più spesso.
Innamorarmi di lei fu facile, ragazzi. Non credete a chi vi racconta storie d'amore impossibili e complicate. Il vero amore è spesso più semplice di quanto non lo si dipinga: succede perché deve succedere, perché è naturale che accada. Anche voi mi capirete un giorno.
Lo proverete sulla vostra pelle, nel vostro cuorescheletrocervelloanima. Dentro di voi insomma.
Al solito, ho divagato, anche se forse non poi tanto come potrebbe sembrare, in verità. Ma torniamo a me e Clara. Ai nostri discorsi. Alle nostre parole.
Orbene, un poco alla volta, parlando, la politica venne inevitabilmente fuori. Parlammo della situazione dell'Italia, di ciò che stava accadendo, dell'amore e della morte (e di altre sciocchezze), e della guerra.
Lei mi rivelò chi era veramente, che cosa faceva. Io le espressi i miei dubbi, la mia preoccupazione che potessero scoprirla, che potesse accaderle qualcosa.
- Non sarebbe una gran perdita - mi sorrise lei scostandosi una ciocca dalla fronte - Qualora morissi qualcun'altra mi sostituirà -
Io annuii e lei se ne andò.
Non capivo il suo coraggio e la sua apparente noncuranza. Non capivo le motivazioni che la spingevano a fare ciò. Io mi ero sempre tenuto al di fuori della politica. Ero sempre stato neutrale. Non disinteressato ma neutrale. Ero informato. Mi facevo riferire ciò che accadeva nel mondo. Ero cosciente che il fascismo era quello che era. Lo schifo che era. Eppure non facevo a meno di pensare che imbracciare le armi contro i fascisti fosse fascismo anch'esso. Non capivo la sua determinazione.
Una volta guarito rimasi in città. Non potevo allontanarmi da quella ragazza. L'amavo terribilmente. Mi faceva sciogliere, ragazzi. Sciogliere come burro al sole, nel freddo polare di gennaio però.
Eppure. Eppure Clara aveva qualcosa che mi metteva in soggezione.
Io, io che di donne ne avevo avute a bizzeffe, mi sentivo inadeguato, inadatto a lei. E sapevo perché: mi sentivo un bambino, di fronte al suo coraggio.
Gliene parlai. Lei sapeva, sapeva che l'amavo. Avevamo parlato di tutto. Anche di quello, inevitabilmente.
Mi disse che non era vero, che lei era come tutte le altre. Io scuotevo la testa.
La baciai. O forse fu lei che mi baciò. Facemmo l'amore. Quella ed altre volte ancora..
I capi dell'ospedale erano a conoscenza del nostro rapporto. Lo sapevano, ma se ne fregavano (come del resto ben aveva insegnato loro lo stesso Mussolini, ironia della sorte,): io ero solo un vagabondo inoffensivo, lei un infermiera di bassa estrazione. Non li riguardava.
Ma.
Vennero un giorno a prendermi alla barca. Uccisero Gilles, il mio caro Gilles, i bastardi.
Mi portarono in una camera per gli interrogatori.
- Sirio Rovelli, lei è in arresto perché sospettato di spionaggio filo bolscevico. Ma lei questo ovviamente lo sa, vero, caro il mio pezzente? - gridava l'aguzzino puntandomi la luce di una lampada negli occhi.
¬¬- Clara ¬- bisbigliavo io pensando ad alta voce - Clara, come sta?
¬- Ah, vuole sapere come sta la sua bella! Questa è buona. Io pensavo che i comunisti fossero per l'amore libero, cos'è sei un comunista monogamo? Tranquillo compagno, la tua amichetta sta bene, è al sicuro, sotto tre metri di comodissimo terreno! ¬
Non era vero. Stava mentendo ed io lo sapevo.
Continuò ad insultarmi, a sbeffeggiarmi. A dirmi che lei era morta, che Io sarei morto.
Ma, vi dicevo, l'amore, l'amore vero, è più semplice di come lo si figura.
Io sapevo che Clara era viva, perché semplicemente lo sapevo. Non c'era un perché.
Lo sentivo.
E sentivo che mi avrebbe liberato.
Evidentemente i cani non avevano prove a suo carico, o forse le avevano ma volevano saperne di più, volevano rivelassi loro qualcosa. Credevano sapessi i dettagli del suo operato, chi erano i suoi contatti, dove portava le informazioni che otteneva, a chi. Pensavano me li avesse riferiti. Così non era, ovviamente.
Pensai di mentire e di inventarmi delle informazioni finte, mentre venivo torturato. Non mi cedettero.
Non sono mai stato un buon bugiardo.
Mi staccarono due denti.
Tre.
Un dolore atroce.
Quattro.
Un boato sordo s'udì d'improvviso. Era la mia libertà che arrivava. Erano i ribelli della montagna, che arrivavano. Era il mio amore, che ritornava.
Senza motivo, senza interesse, senza un secondo fine.
I partigiani mi liberarono.
Clara mi amò. A lungo. Molto a lungo.
Ed anche io, anch'io portai con me il suo ricordo, il ricordo di lei, in tutti i viaggi che feci, in tutti i posti dove suonai.
Ma come, mi direte voi. Non sei rimasto accanto a lei? Non hai combattuto al suo fianco. Non le sei rimasto accanto per tutta la vita?
No, figliuoli. Ripartii. Partii con i partigiani, sulle montagne. Lontano da lei.
E finita la guerra continuai nel mio peregrinare per il mondo, come sempre avevo fatto.
Ma ora, ora qualcosa era cambiato. Ora che avevo amato sapevo cos'era l'amore.
Clara.
Non la incontrai mai più. Eppure per tutta la vita. Ebbi il suo volto in mente.
La sua anima nel cuore.
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1 recensioni:
- l'amore non è tutto, ma è in grado di lasciarti un gran vuoto...

- Un bel racconto, un'anima gitana con una storia nel cuore come una foto preziosa da portarsi dietro nel viaggio...