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La sua Venezia
Vita vissuta, primavera ormai lontana ma non dimenticata. Un uomo separato da una donna con struttura psicotica di personalità. Se non sapete cosa sia immaginate una doppia personalità, quasi completamente inaffidabile nei rapporti umani, certamente inadatta a crescere una figlia, peraltro contesa da quando è nata ed affidata alla madre da leggi ottusamente e pervicacemente matriarcali.
Il padre che si arrangi. Con cinque anni di causa civile approdati a niente, se non a garantire proprio ciò che avrebbero dovuto evitare, cioè che la madre potesse usare la figlia come arma di ricatto come e quando gli accomodasse. Cioè la bimba nelle mani della madre proprio quando le sue condizioni mentali avrebbero dovuto proibirlo oltrechè sconsigliarlo. Esposta a pericoli di ogni genere e tipo, compreso quello di suicidio, peraltro già tentato senza successo almeno due volte. Impossibile, per il padre, proteggere la figlia: due volte erano intervenuti i carabinieri per costringerlo a riconsegnarla alla madre, che peraltro la reclamava soltanto se e quando tornava utile ai propri scopi.
Arrivato ad uno stadio di completa disperazione, l'uomo prese il coraggio a due mani e, scavalcando assistenti sociali ed avvocati, scrisse una lettera al tribunale dei minori. Una lettera per niente avvocatizia, ma col cuore in mano, scritta e spedita come fosse un messaggio in bottiglia con dentro l'ultimo ed estremo sfogo della propria frustrazione.
Caso volle che proprio quest'ultimo appello producesse più risultati che tutti gli atti compiuti in precedenza, avendo un giudice attento e coscienzioso incaricato un'assistente sociale, altrettanto attenta e coscienziosa, di effettuare un'indagine. L'indagine portò all'unica conclusione possibile: la bimba doveva essere affidata al padre.
Senza por tempo in mezzo, era stata fissata un'udienza in quel di Venezia, sede regionale del tribunale dei minori, mentre l'assistente sociale aveva rassicurato il padre sul quasi sicuro buon esito dell'operazione.
Cominciò così a rigermogliare in lui una speranza, legata al buon esito dell'udienza di Venezia. Quando mai non ci aveva pensato prima! Però bisognava non bucare l'udienza, altrimenti non era per niente certo che si potesse rifissarla in tempi così ragionevoli.
Certo i precedenti otto anni di battaglia, legale e no, avevano lasciato tracce pesanti nel morale dell'uomo, tanto da farlo disperare circa il destino della propria unica figlia, cui teneva più della propria vita stessa.
La speranza era rigermogliata, d'accordo, ma da qui ad essere tranquillo...
In effetti l'udienza era fissata alle 11, 30 al tribunale dei minori nel centro di Venezia, a più di cento chilometri di distanza, e durante i lavori di allargamento dell'A4: tempo medio di coda, ferma o quasi, almeno un'ora. Partenza non possibile prima delle otto, perchè la bimba andava prima portata a scuola.
Miracolosamente non beccò grandi code in autostrada e alle 9, 15 era al casello di Mestre. Cominciava a pensare che forse era la giornata buona. Non l'avesse mai fatto! Alle 10, 30 era ancora fermo all'imbocco del ponte della libertà che collegava la terraferma a piazzale Roma! Il ponte era occupato e bloccato in entrambi i sensi per una manifestazione sindacale organizzata dagli operai di Porto Marghera. Non c'era verso di passare.
Egli l'aveva compreso quasi subito e, per una mezz'ora, un'ora, aveva aspettato e sperato, mentre gli passavano davanti agli occhi tutte le altre occasioni in cui una burocrazia insensibile e ottusa gli aveva rovinato la vita. Sua e di sua figlia.
Una per tutte: quando aveva fatto l'esposto civile in cui denunciava i gravi problemi mentali della moglie, ed i conseguenti evidenti pericoli morali e fisici a cui era esposta la figlia, il tribunale civile di Verona gli aveva fissato l'udienza più di sei mesi dopo. Sei mesi! E sua figlia aveva meno di tre anni ed era in pericolo mortale!
E non era nemmeno bastato, perchè l'udienza fu poi rimandata di altri sei mesi per un cazzo di referendum che aveva reso indisponibile il tribunale per la data fissata.
Allucinante, come allucinante fu il fatto che la prima udienza durò forse due minuti, il tempo necessario a che il magistrato decidesse una perizia da effettuare sulla madre e sul suo rapporto con la figlia stessa. Perizie che non dimostrarono un bel niente, se non che la figlia risultava essere indispensabile alla madre per non farle perdere completamente il rapporto con la realtà. Come se il compito della figlia fosse quello di servire alla madre e non viceversa.
Ed erano passati altri 4 anni, fino alla famosa lettera di cui sopra.
E adesso lui era fermo, bloccato a non più di due chilometri dal punto in cui avrebbero potuto restituirgli il destino di sua figlia. Fermo per una stupidissima manifestazione, peraltro permessa e favorita da chi avrebbe dovuto garantire il suo diritto di spostarsi, a proposito di non sapeva bene che cosa. Questa era l'Italia, questo era il paese in cui gli era toccato di vivere! Stupido e imbelle. Impossibile!
Gli battevano le tempie da scoppiare. Scese dall'auto e raggiunse il centro della protesta, dove più folto era il numero di bandiere rosse e di invasati che sbraitavano slogan nei megafoni. Dovette farsi forza per non mettersi a piangere, ma una volta individuato quello che sembrava essere uno dei capi della protesta la disperazione lasciò il campo alla determinazione.
Lo prese per la spalla e gli disse semplicemente che doveva raggiungere il tribunale entro le 11, 30, altrimenti sua figlia ci avrebbe rimesso la vita. E lui con lei. Tutto lì, e restò fermo a guardarlo negli occhi.
L'altro lo guardò a sua volta per un tempo che parve lunghissimo, poi d'un tratto portò il megafono alla bocca e, con ordini secchi e precisi, organizzò una squadra che garantì il passaggio a lui e alla sua auto attraverso una folla rumorosa e tumultuante che occupava il ponte quasi per quanto era lungo.
Arrivò così in piazzale Roma, posteggiò in divieto e di corsa raggiunse trafelato il tribunale, dove l'udienza stava per cominciare in perfetto orario.
Non era finita, ci volle ancora molto, battaglie di ogni tipo, legali e non, ma ce l'aveva fatta.
E quella non fu la fine, ma l'inizio.
Quella fu la "sua" Venezia.
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Vilma il 25/02/2012 14:23
molto emozionante questo tuo racconto... un piacere leggerti, sempre
buon fine settimana
- Mi è piaciuto. Mi ha dato emozioni, tanto più dopo aver letto nell'intestazione che è autobiografico.
- lancinante. non so se possa essere un aggettivo giusto, ma sicuramente è la sensazione che ho provato leggendo questo breve racconto.
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