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La sconfitta

Trecento scalini. Non avrebbe mai pensato di farcela. Eppure adesso si trovava lì, sulla torre campanaria più alta che egli conoscesse, quella della sua città. Da quell'altezza gli giunse il brusio attutito della festa che, centodieci metri più in basso, si stava svolgendo nella grande piazza. Era il giorno clou del carnevale, centinaia di bambini si divertivano con coriandoli e schiume, le stelle filanti sembravano avvolgere tutti, grandi e piccini. Ed egli stava per sconvolgere tutto. Col suo gesto avrebbe provocato raccapriccio, terrore, panico e sgomento. Ne era consapevole ma anche esaltato. La torre era il suo palcoscenico, la gente, ignara, gli spettatori non paganti. Oltrepassò la balaustra e lasciò dondolare le gambe nel vuoto. La leggera ma pungente brezza di febbraio gli provocò brividi lungo la schiena. Non avrebbe atteso molto, non che avesse ripensamenti, ormai era deciso ma... ma... quei bimbi. Quelle minuscole figurine che sciamavano da una parte all'altra della piazza... scosse la testa in maniera vigorosa. Non doveva pensare ai suoi figli in quel momento, loro sarebbero stati bene ugualmente. La loro madre aveva un nuovo compagno, una brava persona per quel che ne sapeva. Erano in buone mani quindi, ed erano ancora piccoli quando il papà uscì di casa con la morte nel cuore. Ma vivevano in un'altra città, li poteva vedere raramente e, ogni volta, li sentiva sempre più distanti. No... non avrebbero sofferto più di tanto. Quel pensiero gli strinse il cuore e lo fece scendere sul cornicione. Ora sarebbe bastato lasciarsi andare. Chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Si era sempre chiesto come sarebbe stato. Aveva passato giorni per decidere quale fosse il modo migliore. Avrebbe voluto gettarsi nel grande fiume ma, qualcuno, qualche angelo custode l'avrebbe visto e salvato. Impiccarsi? Non era sicuro nemmeno di saper fare un nodo. Il veleno l'aveva scartato da subito, una dose sbagliata e si sarebbe trovato in ospedale alle prese con una lavanda gastrica. Odiava le armi e poi non sapeva dove avrebbe potuto procurarsene una. Restavano il treno e lo sfracellarsi al suolo, aveva scelto quest'ultima. Le mani sudate strinsero convulsamente la ringhiera fredda. Tra qualche istante avrebbe avuto il suo applauso, una standing ovation da far rabbrividire ma egli non avrebbe potuto goderne. Egli sarebbe stato solo un ammasso informe sul selciato della piazza, un obbrobrio da cui tutti sarebbero fuggiti. Un lampo prima e un botto subito dopo lo fecero sussultare. Erano iniziati i fuochi d'artificio. Esplodevano a pochi metri e, con una mano, si riparò gli occhi. Grosse lacrime gli rigarono le guance. Lentamente si issò al di la della balaustra. Ancora una volta aveva perso...

 

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5 commenti:

  • Massimo Bianco il 29/01/2012 19:08
    Beh, un testo niente male. E chi lo nota adesso a gettarsi di sotto? Quando va di sfiga non si riesce a fare bene neppure il proprio suicidio!
  • Ernesto il 27/01/2012 20:43
    Va bene Giacomo, vedrò di farti contento
  • Anonimo il 27/01/2012 07:25
    Ernesto... caso mai fosse vagamente autobiografico sappi che anch'io ho avuto momenti no... eppure guarda dove sono arrivato: pubblico su PoesieRacconti!!!... ahahah... ciaociao, l'ho riletto e devo dire che se non viene da un certo mestiere il dono della narrazione ce l'hai. Buttati in qualcosa di autobiografico... fammi contento... vabbè, con calma. ciaociao
    P. S. a proposito dei momenti no leggi il mio Innamorarsi ogni giorno... http://www. poesieracconti. it/racconti/opera-8199
  • Anonimo il 25/01/2012 20:40
    Aveva perso, e, in parte, ci ha guadagnato pure.
    Bravo, Ernesto, ma il preferito rimane sempre "Il Blog"
  • Anonimo il 25/01/2012 09:56
    Piaciuto... un modo di scrivere che cattura e coinvolge... bravo. ciaociao

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