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Il ruolo della comunicazione nella genesi del conflitto e nella conciliazione
Il termine comunicazione deriva dal latino (cum = con, e munire = legare, costruire e communico = mettere in comune, far partecipe) e vuol dire mettere in comune, condividere con gli altri pensieri, opinioni, esperienze, sensazioni e sentimenti.
La comunicazione non è, quindi, semplice informazione o messaggio ma relazione e scambio.
Spacchettando il processo comunicativo troviamo i seguenti elementi essenziali:
1. l'emittente: chi avvia la comunicazione;
2. il ricevente: chi riceve il messaggio;
3. il messaggio: il contenuto della comunicazione;
4. il codice: sistema di segni che si usano per trasmettere il messaggio: una lingua, un gesto, un grafico, un disegno;
5. il canale: il mezzo tecnico con cui il messaggio si trasmette (telefono, fax, posta, e-mail, ecc.), e il mezzo sensoriale coinvolto nella comunicazione (udito, vista, tatto);
6. la codifica: la trasformazione di idee, concetti e immagini mentali in un messaggio comunicabile attraverso il codice. In questa fase sono importanti i paradigmi e gli schemi mentali;
7. la decodifica: il percorso contrario svolto dal ricevente per capire, interpretare il messaggio. In questa fase sono importanti i filtri mentali, gli schemi precostituiti, gli stati d'animo, l'immagine dell'altro;
8. il feed-back: il flusso di ritorno che consente all'emittente di percepire se il messaggio è stato ricevuto e come è stato capito, interpretato;
9. il contesto o ambiente: è il luogo, fisico o sociale, dove avviene lo scambio comunicativo.
La modalità della comunicazione può essere:
• verbale: utilizza le parole, il dialetto, la lingua nazionale, il linguaggio popolare o erudito...;
• non verbale: gesti, postura del corpo, espressione del viso, ...;
• paraverbale: modo di utilizzare la voce;
• simbolica: il modo di vestire, gli oggetti di cui ci circondiamo.
Queste tre modalità di comunicazione quasi sempre interagiscono tra di loro producendo risultati diversi:
• rafforzano il messaggio, ne riducono la dispersione e consentono una migliore percezione;
• rendono strabica e poco credibile la comunicazione: si dice una cosa e se ne comunica un'altra con il viso.
- La difficoltà di comunicare
La traduzione del pensiero e dell'esperienza in messaggio è difficile, le cose veramente importanti si possono solo sperimentare.
Il divino poeta all'inizio del Paradiso canta:
"trasumanar significar per verba
non si poria; però l'essemplo basti
a cui esperienza grazia serba".
Non si può esprimere a parole l'oltrepassare della condizione umana; perciò l'esempio che ho fatto basti a coloro ai quali la grazia concederà di farne diretta esperienza.
Heisenberg nei suoi diari lamentava la mancanza di un linguaggio idoneo ad esprimere quello che i fisici quantistici intuivano e sperimentavano nell'infinitamente piccolo.
La fisica, la matematica, come del resto l'arte, avevano ormai superato quella soglia entro la quale ci si poteva esprimere per analogie ed immagini.
La realtà che ci circonda appare troppo complessa per essere espressa attraverso il nostro linguaggio. Questa complessità coinvolge anche le relazioni e i sentimenti. Nello stesso tempo un eccesso di comunicazione disperde il messaggio.
Al di là delle accennate difficoltà di trasmissione del pensiero, il messaggio nel passare da A a B in parte si disperde, si affievolisce. In particolare la ricezione del messaggio varia al variare delle tecniche comunicative e dei diversi canali di percezione, ma può essere influenzata anche dall'ambiente (rumore di fondo) e dalla capacità di ascolto. E questo è importante nella dinamica delle controversie: se di norma non tutto quello che viene comunicato arriva al ricevente, durante la lite l'ascolto è compromesso e il messaggio si disperde in misura maggiore se non totalmente. La resistenza alla comunicazione surriscalda la controversia, proprio come la resistenza si surriscalda al fluire dell'energia elettrica.
- La comunicazione come messaggio
La comunicazione è messaggio, fatto di contenuto e di relazione che stanno tra di loro in un rapporto di complementarietà .
La comunicazione non si esaurisce nella parola e nello scritto.
"Non è forse possibile" chiese Dionisodoro, "parlare tacendo?". "In nessun modo" replicò Ctesippo. "E nemmeno tacere parlando?". "Ancor meno", ribatté.
I sofisti giocavano con le parole per costruire le loro aporie; ma si può comunicare anche tacendo e si possono dire tante parole senza comunicare niente di importante, come nei rituali: "oh chi si vede! Hai visto che freddo?". "Sembra che non voglia tornale il sole! Ciao".
Intorno a noi tutto ci comunica qualcosa e in un certo modo. Il cielo stellato, il vento, il mare, il verde di un prato, una siepe fiorita, un pettirosso sulla neve, un mendicante con il cappello in mano, la folla su una scala mobile, un bambino che piange, un clowun che ride, tutti ci comunicano un qualcosa di cangiante e vario nelle più disparate situazioni.
Si comunica con le parole, la musica, i gesti, i colori, i suoni, il tatto, gli odori, il gusto... il silenzio. Non si può non comunicare e ciò che comunichiamo è influenzato dai canali che usiamo:
• il canale analogico, con il quale attingiamo al nostro linguaggio primitivo ed istintivo per comunicare con immagini soprattutto l'aspetto relazionale;
• il canale digitale, attraverso il quale, con numeri e parole, comunichiamo essenzialmente il contenuto del messaggio.
Il messaggio muta a secondo del modo con cui comunichiamo. Lo stesso messaggio cambia se lo comunichiamo con un sorriso o con il broncio, guardando l'interlocutore o girandoci dall'altra parte.
Particolare rilievo hanno il linguaggio non verbale (gesti, postura del corpo) e il linguaggio paraverbale, ossia il modo con cui usiamo la voce. Entrambi questi linguaggi permettono di dare risalto ad un concetto rispetto ad un altro; ad esempio attraverso l'intonazione della voce. Spesso i gesti e il linguaggio paraverbale non riescono ad essere controllati razionalmente e rispondono al nostro inconscio, rilevando i nostri sentimenti nascosti attraverso il rossore del volto, il sudore, la postura, il tono di voce, il ritmo, il volume, la velocità, il timbro, la dizione.
Poiché comunichiamo contemporaneamente con più canali, la comunicazione può essere strabica, con le parole comunichiamo una cosa e in un determinato modo, con gli occhi, la postura del corpo, il tono della voce ne comunichiamo un'altra. E la comunicazione non verbale, la comunicazione del corpo, ha di norma il sopravvento su quella verbale.
Valore assume anche l'indirizzo della comunicazione, ovvero a chi comunichiamo. La stesso messaggio cambia a secondo se è indirizzato ad un adulto o ad un bambino, a un collega o a un superiore, al figlio o al coniuge.
Il messaggio è anche influenzato dalle dimensioni spazio - tempo; la stessa parola cambia significato a secondo del luogo e del tempo; in ufficio non indossiamo l'abbigliamento che d'estate indossiamo senza problemi sulla spiaggia. Quando ero ragazzo, i carabinieri trassero innanzi al Pretore, per offesa al pudore e al buon costume, un malcapitato ragazzotto che portava i pantaloncini troppo bassi ed innanzi al bar esibiva la peluria del basso ventre. "Eccesso di zelo", tuonò l'avvocato difensore nei confronti dei carabinieri; ma il giovane venne condannato. Oggi la scena farebbe sorridere.
Riassumendo, possiamo dire con Paul Watzlawick (del gruppo di ricerca di Palo Alto) che "ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta comunicazione".
La meta comunicazione, ovvero la comunicare sulla comunicazione, permette di dare e ricevere quelle informazioni in più per rendere maggiormente comprensibile il tipo di relazione che abbiamo creato spesso in modo inconsapevole e incontrollato. È proprio dal nostro messaggio inconscio e dalla libera interpretazione di esso che deriva la risposta dell'interlocutore, a cui noi a nostra volta rispondiamo in un'altra maniera, creando spesso dei malintesi e quel circolo vizioso in cui l'uno ritiene responsabile l'altro della cattiva comunicazione.
- La comunicazione come ascolto
L'ascolto è una dimensione difficile. Richiede disponibilità, umiltà d'animo e la giusta atmosfera. Senza ascolto la comunicazione non raggiunge il suo effetto.
Siddharta, di Hermann Hesse, solo alla fine del suo peregrinare impara l'arte dell'ascolto. L'apprende da un vecchio barcaiolo silenzioso, sulle sponde del fiume nel quale voleva porre fine alla sua vita; l'apprende ascoltando durante lunghi silenzi l'acqua che gli parla del divenire della vita.
Per ascoltare c'è bisogno di mettersi in sintonia con l'altro. Solo così è possibile percepire, e in modo non deformato, i messaggi sottesi alle parole, i messaggi che ci giungono attraverso i canali analogici del linguaggio paraverbali.
Secondo Berne, la comunicazione ha due livelli; uno superficiale o sociale ed uno ulteriore, psicologico che è il vero motivo della comunicazione. Nell'esempio della signora allo sportello, la transazione superficiale aveva ad oggetto la richiesta del fascicolo, la transazione ulteriore aveva ad oggetto la richiesta del pagamento del dovuto.
Chi ascolta deve fare attenzione alle transazioni nascoste della comunicazione perché anche la risposta potrebbe essere decodificata con il copione (filtro) della transazione nascosta. Se dopo una cena, nel sorseggiare il digestivo Marco dice a Marta: "a casa ho una bella vasca di pesciolini tropicali" e Marta risponde: "Oh quanto mi piacciono i pesciolini!". Marco proseguirà con l'invito a fare un salto a casa sua per ammirare le sue creature. Sotto queste lineari transazioni si può evidentemente leggere l'invito di Marco a concludere la serata a casa sua con l'accettazione di Marta. I pesciolini sono solo un velo, un modo per precostituirsi una via di fuga di fronte ad eventuale rifiuto. Se però Marta non legge questo secondo significato del messaggio, può dare una risposta che può sortire un effetto che lei non vuole. Questi malintesi sono molto pericolosi.
A volte le transazioni nascoste si usano in ambito commerciale per agire sull'IO Bambino: se il venditore dice alla povera casalinga "questo prodotto è il migliore; lei non se lo può permettere" molto probabilmente otterrà il suo scopo, cioè fare l'affare. Infatti, sotto un livello apparente di due affermazioni informative di tipo Adulto, il venditore fa partire una transazione rivolta al bambino della signora che probabilmente risponderà: "te lo faccio vedere io se me lo posso permettere". E il gioco è fatto. Ovviamente la signora può tornare sulla sua decisione, capendo di essere stata raggirata. Può anche intercettare il messaggio con l'IO Genitore e rispondere "ma come ti permetti!". In entrambi i casi ne potrebbero nascere conflitti o dissapori, perdita di fiducia.
Mettersi in sintonia significa anche sincronizzare gli orologi. Il tempo non è una dimensione assoluta, ma relativa. Santo Agostino lo definiva una dimensione dello spirito. Secondo Albert Einstein il tempo cambia a seconda del sistema di riferimento, in rapporto alla velocità.
Anche in campo psicologico il tempo è relativo: per un debitore il tempo è sempre breve, l'orologio corre; per il creditore il tempo è più lungo, l'orologio gira meno velocemente. Così il tempo scorre in modo diverso per chi attende l'esito di una domanda da chi la deve definire; per chi lavora e per chi sta in ozio. Se chiedete ad un impiegato quando sarà definita una pratica, risponde "dipende, vedremo...". Difficilmente fissa una data, una scadenza. Così per un amministratore di condominio la visione del tempo e delle date di scadenza sono diverse dalla visione dei condomini.
Quando studiavo a Napoli sui marciapiedi v'erano numerosi orologi, all'epoca gli orologi erono uno strumento di pubblicità. Per andare all'università modulavamo l'andatura in base all'orologio sul quale leggevamo l'ora. "Ma perché guardi questi benedetti orologi?" mi diceva Pietro, "non vedi che sono tutti guasti?" A me piaceva giocare e rispondevo "ti sbagli, ognuno segna la sua ora". "Errore, ognuno segna l'ora per un passante diverso, c'è l'orologio per il napoletano, l'orologio per gli americani, ...". Avevamo scoperto, a nostro modo, la relatività del tempo!
Il diverso corso del tempo può essere fonte di impegni non mantenuti e di aspri conflitti.
- La comunicazione come integrazione
La comunicazione è messaggio, è ascolto ma è anche integrazione, comunione, empatia con l'altro. Il messaggio si invia, viene percepito e ritorna. Il flusso comunicativo è un percorso a due vie, un processo capace di tessere una tela di relazioni interpersonali.
Le persone vanno considerate all'interno della rete di relazioni in cui si trovano. In questo ambito le variazioni di un elemento si ripercuotono su tutti gli altri con un dinamismo circolare: l'effetto della comunicazione su chi la riceve e l'effetto della reazione su chi ha iniziato il processo, sono eventi inscindibili. In questo ping pong le transazioni si caricano di nuovo effetto; si alternano in una sequenza in cui spesso è difficile discernere la causa prima dagli effetti. Anzi è proprio la punteggiatura della comunicazione, ovvero la ricostruzione degli eventi che determina spesso il conflitto. Nell'esempio della signora allo sportello, l'impiegato ritiene responsabile la signora insolente; la signora vede nell'impiegato l'Istituzione inadempiente ed incapace di soddisfare il suo bisogno.
Quando la controversia si trasforma in conflitto, spostandosi dal piano del contenuto al piano relazionale, questo circuito diventa un turbine tempestoso, una circolo vizioso che si autoalimenta di comportamenti irrazionali, se non aggressivi e violenti.
Ne consegue odio e frustrazione; il contenuto della controversia si mescola, fino a disperdersi in un contrasto di relazione; la nebbia mentale e i preconcetti creano un contesto di incomunicabilità distruttiva. Le parti si consegnano nelle mani dei loro avvocati che si ergono a paladini del loro cliente in una lotta giudiziaria sovente senza fine.
Beninteso in molti casi la controversia rimane sul piano del contenuto del contrasto e non si trasforma in conflitto, anche se sullo sfondo c'è una reciproca sfiducia alimentata dalla consapevolezza che ognuno cerca di trarre dalla controversia il migliore risultato possibile. In questi casi è relativamente più semplice trovare un punto di incontro, che riesca a soddisfare tutte le parti.
Pertanto il Mediatore, deve sapere innanzitutto, distinguere su quale piano - contenuto/relazione - si sta sviluppando la problematica, ovvero se è di fronte ad un contrasto oppure ad un conflitto.
Questa distinzione gli consentirà di attuare le strategie più adeguate per cercare di ristabilire la situazione e riportarla all'interno di confini accettabili.
La comunicazione svolge un ruolo determinante sia nella genesi del conflitto, sia nella sua evoluzione, sia nella fase di conciliazione o di fallimento della mediazione.
La comunicazione nella genesi del conflitto
Spesso la comunicazione costituisce il fattore scatenante del conflitto per una molteplicità di meccanismi anche irrazionali o involontari. Altre volte ne costituisce una concausa più o meno determinante.
Rientrano in questa tipologia i malintesi ; le comunicazioni disturbate da una causa contingente o da particolari condizioni psicofisiche e dalla sfiducia; il modo particolarmente spigoloso ed urticante di atteggiarsi.
Uno specifico peso hanno anche gli schemi di decodifica del messaggio che normalmente usiamo a livello istintivo nella percezione.
Gli schemi o paradigmi mentali ci servono come strumenti di difesa o di attacco, ovvero per assumere decisioni immediate, per camminare, per dare una rapida risposta, per scrivere, ricordare un nome.
È una modalità efficiente ed efficace di funzionare del nostro cervello che si serve di blocchi di programmi precostituiti, detti schemi o paradigmi mentali, al fine di semplificare il processo del pensiero che è caotico e confuso. I pensieri, infatti, sono il prodotto di circa un milione di processi chimici che avvengono ogni secondo nelle cellule cerebrali (neuroni).
Evitando di mettere in moto tutto il complesso processo mentale, gli schemi costituiscono un fattore di economicità di gestione nelle situazioni più diverse, consentono di raggiungere con meno sforzo i nostri obiettivi.
Gli schemi mentali sono il prodotto dell'esperienza che la mente assimila, elabora e poi richiama in altri momenti della vita. Così se mentre guidiamo ci troviamo innanzi ad un ostacolo improvviso, istintivamente freniamo o sterziamo; se qualcuno ci minaccia con qualcosa ci scansiamo, pariamo il colpo; sobbalziamo quando sentiamo un forte rumore; interpretiamo in un certo modo uno sguardo, un gesto, una parola, un regalo.
Purtroppo questi schemi e paradigmi mentali a volte ci fanno vedere lucciole per lanterne; proiettano il nostro pensiero altre ciò che appare: gli schemi mentali influenzano la percezione e il nostro giudizio. Ci creiamo castelli di carta, erigiamo muri, ci facciamo condizionare dalle apparenze.
Il mondo, l'altro, il prossimo non è semplicemente e oggettivamente "là fuori", ma viene costruito dentro di noi dai processi di percezione, a seconda di quali parti/aspetti si decida di osservare.
Lo stesso oggetto, la stessa parola, lo stesso gesto può assumere dimensioni e connotazioni di ampiezza diversa.
Questa modalità di relazionarci rende chiaro il concetto di posizionalità o relatività dei significati della comunicazione: ogni messaggio assume valore nel suo contesto di riferimento, solo in relazione ad altri significati.
Da giovane lavoravo in un Istituto di ciechi. Un giorno i ragazzi andarono a lamentarsi dal Direttore perché un istitutore li spiava e violava la loro privacy. Il mio collega negava e sembrava altrettanto credibile. Ne nacque una disputa aspra, senza via di uscita.
Pensai di avvicinare un ragazzo per capire il contenuto delle loro lagnanze. Mi spiegò che il collega entrava nella camerata e nell'aula senza far rumore e loro non lo vedevano, venivano osservati senza accorgersene.
Era tutto chiaro: Mario aveva preso servizio da poco e si comportava con i ciechi come fossero vedenti. Lo chiamai e gli suggerii di far rumore con le scarpe, di canticchiare, di urtare vicino alla porta, di trovare una scusa qualsiasi per dire qualcosa, di fare anche un semplice colpo di tosse.
Mario fece tesoro dei suggerimenti e tutto si risolse per il meglio.
Quindi, in termini di impatto, ogni comunicazione e relazione è condizionata dagli schemi appresi, cioè dai filtri con i quali guardiamo il mondo, dal contesto di riferimento. Questo spiega, tra l'altro, perché in particolari situazioni interpretiamo qualsiasi cosa in modo negativo. E ciò si verifica soprattutto dopo la nascita della controversia che per questo meccanismo si trasforma in conflitto sempre più acceso. Si pensi ai conflitti tra coniugi nel corso della separazione giudiziale; alle liti tra condomini, tra confinanti; alle dispute nella divisione dei beni; ai conflitti relazionali sui luoghi di lavoro.
Un ulteriore risvolto negativo degli schemi mentali è l'auto limitazione, è come chiudersi in una gabbia, in un recinto. Vediamo solo l'aspetto negativo delle cose senza via di uscita.
Il risultato di questo fenomeno, è quello di non tenere conto di tutte le opzioni che la relazione con l'altro ci offre. Riusciamo a vedere soltanto ciò che ci limita, trascurando tutte le alternative e le varianti, che viceversa potremmo prendere in considerazione. Della comunicazione vediamo solo gli aspetti, gli accenti negativi. "Si, ma... hai visto con quale faccia lo ha detto!?"
Su queste dinamiche deve far leva il mediatore nel corso della mediazione per invertire il circolo vizioso della comunicazione e guidare le parti a trovare strade alternative al conflitto.
Nella percezione e decodifica dei messaggi siamo anche influenzati dalla sfiducia, dal nostro vissuto che ci corazza di scetticismo: ci predisponiamo male al rapporto, siamo prevenuti; attribuiamo al messaggio significati e scopi estranei al nostro interlocutore; reagiamo male o in modo improprio.
Questo meccanismo a volte è anche alla base di gesti inconsulti, di eccessi di legittima difesa, di conflitti generazionali, di gelosie infondate, di paure irragionevoli e tanto altro. In molti casi ci accapigliamo, anche su piccole questioni, per incapacità di ascoltare i bisogni dell'altro e di esprimere i nostri reali interessi.
Un amico dell'avvocato con il quale lavoravo, appena riceveva l'ordine del giorno per l'assemblea condominiale veniva chiedendo impaurito: "Pasquà, vedi se mi può nuocere qualcosa". "Mario, stati tranquillo" gli diceva l'avvocato, "si tratta di un semplice ordine del giorno". Ma Mario non si tranquillizzava, aveva paura che qualche possibile decisione potesse andare contro i suoi interessi. Pretendeva che io partecipassi alle assemblee. E mi ricompensava al di là di ogni mia aspettativa.
La sfiducia alimenta sospetti e paure, rende più difficile l'accordo anche per controversie che attengono ad una semplice valutazione del danno, come tra Compagnie di assicurazione e danneggiato.
A volte alla base del conflitto può esserci anche una comunicazione a due livelli: una palese ed una nascosta. Si arriva a chiedere una cosa pur volendone un'atra.
Quando la sfiducia e la comunicazione nascosta si potenziano ne nascono dispute, anche violente, che possono evolvere, degenerare in conflitti.
Una signora che aveva evidentemente una cattiva immagine degli uffici pubblici, esasperata dalla sua situazione familiare, si recò nel mio ufficio. La lunga attesa dovette ulteriormente esasperare la signora. Raggiunto lo sportello chiese all'impiegato di vedere la sua pratica. L'impiegato, che non si aspettava tale richiesta, cominciò a sentirsi minacciato e in maniera poco convinta diede una risposta negativa. Fu come buttare benzina sul fuoco che divampò incontrollabile nell'animo della signora. Cominciò a gridare ed imprecare, in modo del tutto irrazionale. Le grida risuonarono fino al mio ufficio. Mi affrettai a chiamare al telefono l'impiegato che subito si mise in difesa, dichiarandosi impotente di fronte alla richiesta della signora perché la pratica non riusciva a trovarla. "Accompagna la signora da me!" gli ordinai.
Arrivarono spalleggiati dalla guardia di vigilanza. Mi alzai e con un gesto della mano sinistra mandai via l'impiegato e la guardia. Porsi la destra alla signora, che infuriata si precipitò nella stanza, ritrosa, rossa in volto, ancora sbraitando parole offensive ed inconsulte. "Sedetevi, signora". "Non mi siedo, voglio la pratica, voi avete di che mangiare e ve la prendete con comodo...". "Signora, non voglio prendervi in giro, voglio davi una buona notizia, sedetevi...". Presi un foglio e scrissi 3. 200. 000; riscuotibili il 15 dicembre. "Signora questa è la cifra in pagamento, riceverete l'assegno tra 12 giorni". La signora prese il foglio, si sedette. Tirai un sospiro di sollievo. Ero riuscito a sintonizzarmi sulle sue frequenze. Tesi la mano verso il foglio dicendo: "signora, cortesemente ridatemelo, voglio scrivervi anche il mio nome e il mio numero di telefono, così per qualsiasi cosa mi chiamate, sapete anche mia madre era una agricola".
Il suo volto si distese, ora c'era qualcosa che ci accumunava, ed iniziammo un lungo discorso sulle mie origini, i nostri figli, la vita. La signora si girava il foglio tra le mani, poi lo conservò nella borsa come un qualcosa di prezioso. "Le chiedo scusa", mi disse. "No signora, lei ha aspettato tanto, la capisco, solo che l'impiegato poverino non ha colpa, è rimasto male, è una brava persona... ora che andate via vi chiedo di salutarlo". Andò via felice, ringraziandomi ripetutamente.
Dopo poco venne l'impiegato. "Dove avete trovato il fascicolo? Io non sono riuscito a trovarlo!". Mi alzai, gli misi una mano sulla spalla: "la signora voleva i soldi non la pratica; i fascicoli sono sulle scrivanie dei tuoi colleghi che secondo i piani dovrebbero terminare l'acquisizione in settimana. Domani lo cerci con calma e liquidi la pratica. Io ho assicurato la signora che riceverà l'assegno entro il 15 dicembre. Ti raccomando, dobbiamo mantenere l'impegno!".
Il 14 dicembre squillò il telefono, la signora mi assicurava che aveva ricevuto l'assegno e mi ringraziava. Era orgogliosa di poter telefonare al direttore! Era venuta certamente per i soldi, ma aveva bisogno anche di sentirsi considerata, riconosciuta come persona.
L'episodio dimostra che la comunicazione spesso avviene su due piani, quello più vero ed importante per chi comunica è il piano nascosto; dimostra anche che la sfiducia reciproca influenza la comunicazione fino ad innescare un conflitto, anche senza un reale motivo. In questi casi, si dice che il conflitto attiene alla relazione tra i soggetti e non al contenuto della comunicazione.
- La comunicazione nell'evoluzione del conflitto
Il conflitto sta in un rapporto di complementarietà con la fiducia che abbiamo nell'altro e si influenzano reciprocamente. Con il diminuire della fiducia aumenta il conflitto e viceversa.
Con l'insorgere del conflitto e della sfiducia nell'altro, la comunicazione tra le parti si blocca o distorce. Non si riesce più a comunicare in modo costruttivo, le transazioni si incrociano. Spesso si comunica tramite altre persone, non sempre disinteressate, che colorano i messaggi con considerazioni personali. Altre volte la comunicazione si sposta su qualcos'altro e il rapporto si arricchisce di nuova linfa emotiva.
Se il conflitto non viene prontamente risolto, chiarendone le cause, si amplia, evolve in relazioni sempre più perturbate che alterano il contenuto dei messaggi. Come una matassa le transazioni si aggrovigliano e diventa difficile distinguere le cause dagli effetti, ricostruire la genesi del conflitto.
Si inizia la recita del proprio copione e attraverso il copione si interpretano gli eventi che si susseguono e le transazioni della comunicazione. Le parti, calandosi nel ruolo assegnato dal copione, iniziamo a giocare tra di loro e con il proprio avvocato. Giocano al gioco "vittima e carnefice", al gioco "è tutta colpa tua", ed altri ancora, specialmente se le controversie insorgono nell'ambito di rapporti duraturi: nella famiglia, nel condominio, sul lavoro. E i giochi hanno qualcosa di pericoloso perché contengono sempre transazioni ulteriori che si attivano su due livelli, uno sociale o apparente e uno psicologico ulteriore, che rappresenta il vero scopo della comunicazione. Queste transazioni sono difficili da interpretare ed interrompere senza effetti negativi (Berne, "A che gioco giochiamo").
Da queste dinamiche ne consegue che la lite sfocia in rancore ed odio. In questo stadio diventa sempre più è difficile che la mediazione vada a buon fine.
- Il ruolo della comunicazione nella mediazione
Di fronte al conflitto si possono percorrere essenzialmente due strade: il disarmo unilaterale o il ricorso alla mediazione di un terzo imparziale.
Il disarmo unilaterale: di fronte ad una persona ''armata'' si può reagire tentando di fargli ''posare le armi'' gettandole per primo, oppure facendo leva su un atteggiamento assertivo. Ma se fare il primo passo a volte consente di riappacificarsi, la strategia della fuga non sempre paga, anzi può evolvere nel gioco della vittima e del carnefice.
L'intervento di una terza persona: quando il conflitto si accende è necessario l'intervento di un soggetto terzo, il mediatore.
Il mediatore deve porsi in una posizione di equidistanza tra le parti ed assoluta imparzialità; non solo essere ma anche apparire credibile ed autorevole.
Il primo compito del mediatore è quello di interrompere il circuito vizioso di una comunicazione che si carica sempre più di disprezzo e di odio, bloccare ed invertire la spirale del conflitto. Per riportarci all'esempio precedente, deve riuscire a "far sedere" le parti per farle liberare del fiele che le corrode, fare esprimere i loro bisogni, manifestare i loro reali interessi.
Da queste esternazioni il mediatore deve capire su quale piano si sta sviluppando la controversia, ovvero se si è di fronte ad un contrasto sul contenuto o di un conflitto di relazione. Capire a quale gioco stanno giocando le parti. Questo permetterà al mediatore di attuare le strategie più adeguate per cercare di ristabilire la situazione e riportarla all'interno di confini meno conflittuali.
Messi a punto i motivi veri della lite e le priorità di ciascuna delle parti, il mediatore cercherà di riattivare la comunicazione interrotta, che è fatta non solo di messaggio ma anche di ascolto e di comunione, comprensione. Aiuterà le parti a guardare oltre le apparenze, perché spesso le cose importanti sono nascoste, non sono immediatamente visibili agli occhi, o percepite nel giusto significato.
In una atmosfera rasserenata, dissipata la nebbia mentale, la comunicazione diventa meno impulsiva e viscerale, si eleva su un piano razionale ed ogni parte si rivolge all'IO adulto dell'altra e ne ascolta e capisce i bisogni e i reali interessi.
Se questo sentiero "aspro e forte" viene percorso con l'abile ed accorta guida del mediatore, la relazione strappata potrà essere ricucita e la mediazione avrà ottime probabilità di successo.
Per trovare uno efficace soluzione alla controversia, il mediatore dovrà essere dotato di creatività e prospettare alle parti soluzioni anche al di fuori del ristretto ambito del problema nel quale si arrovellano.
Spesso, come esemplificato nel sottostante disegno, per la conciliazione della controversia si deve uscire dall'ambito del problema, rappresentato dal cerchio, e dedicarsi all'area gialla esterna.
Se, ad esempio poniamo di collegare i punti A, B, C, D con tre segmenti, lo possiamo fare solo uscendo dal cerchio. Il triangolo E, F, G diventa l'area dove si può trovare l'accordo soddisfacente per tutte le parti.
Nel Protagora, Platone ci fornisce un esempio esemplare di come uscire da un problema che sembra irrisolvibile.
Protagora asseriva di essere capace di utilizzare qualsiasi tipo di discorso: di saper dare sia risposte brevi, sia risposte articolate e lunghe. Di fatto faceva discorsi interminabili con i quali aggirava le incalzanti domande di Socrate.
Ne nacque una disputa: Socrate chiedeva risposte brevi perché assumeva di non ricordare i punti del ragionamento. Protagora, da parte sua, riteneva strumentale la motivazione di Socrate.
Qualcuno propose di essere reciprocamente tolleranti e di utilizzare ciascuno il proprio metodo. La proposta sembrava neutrale ma non equanime, favorendo di fatto Protagora, e fu scartata.
Qualche altro propose una soluzione mediana: domande e risposte né troppo brevi, né troppo lunghe, sotto la supervisione di un arbitro. La proposta si appalesò inattuabile perché non c'era alcuno che potesse fare da arbitro a due personaggi così illustri.
Come uscire dalla situazione? Socrate ebbe una idea semplice, ma brillante: invertire i ruoli. Protagora avrebbe fatto le domande e lui dato le risposte.
E così fecero e il dialogo si snodò piacevolmente.
Questa è la forza del pensiero creativo, che trova alternative anche dove non sembrano essercene, che rompe lo schematismo binario vinto-vincitore, bianco-nero, rompe le sbarre che imprigionano le parti nel problema, esce dalla caverna per guardare la stessa realtà in modo diverso, ad esempio affrontando i problemi 'lateralmente', anziché 'frontalmente', come di consueto.
Quel che importa è che i soggetti in conflitto siano spinti da un pensiero positivo, animati dalla volontà di risolvere la controversia.
Nel caso prospettato, Socrate era interessato all'efficacia del dialogo con Protagora e non ad avere il sopravvento. L'idea di invertire le parti soddisfaceva questo obiettivo essenziale, non soddisfaceva un desiderio di rivalsa o di potere su Protagora, ma sviluppava il sano pensiero positivo di portare avanti il dialogo in modo costruttivo.
L'emersione del pensiero positivo, che giace nell'animo di ogni persona, è un altro compito del Mediatore. Il pensiero positivo, alimentato da un sereno confronto, attraverso la creatività può far raggiungere effetti salutari e liberatori.
Non si tratta di passare una mano di vernice sui problemi, ma di convincere le parti ad abbandonare vecchi schemi mentali che ci fanno vedere la realtà solo in un modo invece di aprirci a nuove possibili prospettive.
Anche nei casi in cui non è possibile addivenire ad un accordo conciliativo, la chiarificazione con se stessi e con l'altro sarà alla base di un iter giudiziario meno problematico.
Da quanto detto emerge chiaro il ruolo della comunicazione nella mediazione e la necessità per il mediatore di capire le tecniche di comunicazione e di saper leggere i sentimenti nascosti attraverso l'analisi delle transazioni comunicative.
Il mediatore deve aiutare le parti a riprendere la relazione allo scopo di ristrutturala su piani diversi e più positivi. Ognuno rivede la propria posizione andando incontro a quella dell'altro, magari uscendo dallo stretto alveo del problema. La soluzione spesso è da cercare oltre i confini. Per riuscirci ci vuole creatività, capacità relazionale e tanta resistenza alla fatica.
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- anche in fisica quantica.. certi fenomeni.. si presentano... come l'osservatore se li aspetta...
anche il bosone di Higgs...è interessantissimo... penso che si prepari una vera rivoluzione...
qui c'è pochissima neve Ettore.. ma non son più a Milano ma sul lago di Garda...
buona serata... e grazie... della comunicazione...(comune azione)verso... la Conoscenza di noi stessi e degli Altri...
- Vincenzo buona giornata, forse innevata come da me...
Questa mia riflessione ha fatto venire l'orticaria e ha tenuto tutti lontani... difetto di comunicazione, non ho il dono della sintesi.
Quel che dici è vero, lo condivido, vediamo con i nostri paradigmi, forse vediamo quello che è già dentro di noi. Quando abbiamo una idea di qualcuno tutto quello che fa e dice viene visto alla luce/ombra di questa idea.
- Molto interessante Ettore... letto appena sveglio... bisogna farlo... anche se lunghissimo... si legge molto piacevolmente...
Il mondo, l'altro, il prossimo non è semplicemente e oggettivamente "là fuori", ma viene costruito dentro di noi dai processi di percezione, a seconda di quali parti/aspetti si decida di osservare...

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