A volte si perde la speranza, quel segno di vita che dovrebbe accendere gli occhi. È come rimanere sotto un inferno di macerie e l'aria è flebile talmente flebile che preghi di morire, piuttosto che vivere a quel modo; e così io persi lei... in una notte tersa e bastarda.
Era bellissima, un respiro di cielo fatto carne... un suono di arpe che vibrava nei miei giorni. Non so perché e per chi, lentamente, le sue certezze si sgretolarono e divennero angusti deliri di sopravvivenza. So che piano a piano la vidi staccarsi da me... arenarsi tra le rive della morte che mangiava ogni giorno un po' del suo futuro.
Era Novembre quando ebbero inizio i primi disturbi, quei sadici annullamenti dell'essere. Ricordo che stavamo camminando per il Duomo quando sentì un peso al petto che le annientò il respiro; neppure il tempo di afferrarla che cadde ai miei piedi svenuta. La corsa in ospedale, l'attesa interminabile e poi nulla: "È solo stress" dissero i medici ma quello stress era l'anticamera della fine.
Un anno dopo il semplice stress era divenuto delirio, disperazione, invocazione di morte! Ed oggi sono qui a piangere le sue spoglie!
Nessuna cura ha alleviato quel male; nessun luminare della psiche ha esorcizzato il suo dolore...
"E adesso io cosa farò senza te... come potrò camminare senza avere la tua mano accanto che mi stringe e mi conforta. Sarò un tintinnio di pioggia che piangerà per sempre o un gelido freddo che non vedrà calore... chissà dove sei e se finalmente hai imparato a vivere... se dopo il tuo suicidio qualcuno ha carezzato le tue ombre... ti penso sempre e vorrei vederti sbocciare al mattino sulla terrazza del mio destino..."