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Non era la donna per lui
La signora entrò nel piccolo bar in piazza Vittorio Emanuele alle 10. 30, come sempre. Era l'ora del suo caffè. Il barista pareva attenderla, s'era persino lisciato il grembiale verde che teneva allacciato ai fianchi, sopra la camicia bianca, ancora abbastanza stirata.
Lei entrò con il suo fare leggero, seppur reggendo due borse della spesa colme di frutta e verdura. Una borsetta piccina, un po' datata, al braccio, con manico in cerchio di ottone. I capelli un poco scompigliati, raccolti alla nuca, lasciavano baluginare due pendenti in rubino alle orecchie.
" Signora carissima... buongiorno... caffettino? " esordì il barista già volgendosi veloce alla macchina per il caffè. Diede due colpi secchi per far uscire la polvere della precedente dose e ricaricò la macchina.
" Certo Gino, il caffè solito... " rispose la signora, con un sorriso di buon umore. Aveva bei denti e poco rossetto rosato, alle labbra.
Gino mise sul bancone ben lustro il piattino con cucchiaino e un minuscolo biscotto incartato con su scritto il nome del bar, " Alle mimose".
Guardò di sottecchi la cliente, non voleva guardala troppo direttamente : non è educato, lo sapeva.
Lei gli offriva il profilo, bella fronte e naso deciso con narici strette; osservava le marmellate inglesi esposte in vetrina.
" Certo che è proprio bella - pensava Gino - giovane non è... facciamo cinquant'anni, però ha un fascino... è sempre così fresca... poco trucco... "
" Gino, per cortesia, vorrei un vasetto di quella marmellata di limoni siciliani - chiese la signora, indicando la confezione con un dito guantato..- ... ma che cosa c'è ? la vedo pensieroso..., " aggiunse sorridendo, ancora con quel suo modo che provocava in Gino un certo imbarazzo interiore.
" Nulla , cara lei, ora le do la marmellata... è inglese, ottima... non proprio a buon mercato, ma davvero straordinaria...". Era contento che la cliente avesse notato i vasetti che egli aveva esposto con cura geometrica.
La signora sorbì il caffè socchiudendo gli occhi, paga di quel momento di intima soddisfazione, prese poi il pacchettino della marmellata, pagò alla cassa, commentando " un po'cara questa marmellata" e uscì, lasciando il barista con un sorriso nel nulla.
Trascorsero pochi istanti di silenzio dal drin drin del registratore di cassa.
" Bella donna, vero? " sentì Gino commentare dal fondo del locale, dove erano collocati dei tavolini rotondi con poltroncine in pelle, bar vecchio stile.
La voce era quella del commendatore Canizza , la cui mole era contenuta a stento dalla poltroncina su cui sedeva. Stava tutto piegato sopra il giornale locale, davanti ad un bicchiere di prosecco.
" Indubbiamente " rispose Gino riprendendosi e dando di lena con lo straccio sul bancone del bar.
" L'ho sempre vista sola, girare per queste parti... si sa se è maritata o che? " chiese il commendatore allungandosi un poco, per quanto possibile, sulla poltroncina.
" Fede al dito non porta - commentò Gino - ma questo, oggi, non vuol dire un bel nulla... comunque qua è sempre entrata sola... raramente di sera... ma mai accompagnata da un uomo".
" Hai visto come cammina? Si vede che è abituata a portare solo gonne - riprese con aria complice il commendatore - oggi con questa mania dei pantaloni, di belle gambe non ne vedi più... E viene qua spesso? "
" La mattina direi di sì, una volta al giorno - riprese Gino, il quale però adesso era un poco ingelosito dalla curiosità del cliente e non voleva lasciarsi andare a confidenze. Infatti si inventò di scendere in dispensa a cercare gli ingredienti per preparare dei tramezzini; in tal modo sospese l'argomento.
Il commendatore rimase solo per una decina di minuti. Avventori nel frattempo non ne entrarono. Egli si riaccomodò sulla poltroncina, restò ad osservare i lampadari anni Sessanta che pendevano dal soffitto, prese a stropicciarsi le mani robuste dai dorsi un poco pelosi, guardò l'orologio, il suo pregiatissimo orologio da polso, e decise che avrebbe conosciuto la signora dai pendenti con rubino.
Il commendatore Giampiero Canizza , di anni 65, si reputava, e non a torto, un bell'uomo. Forse un poco sovrappeso, ma è pur vero che egli si impegnava costantemente in jogging mattutino, piscina due volte alla settimana e qualche sauna. Purtroppo a tavola non sapeva resistere e se anche la moglie gli preparava - su suo ordine - pietanze dietetiche, il commendatore, dopo due bocconi, si alzava sbuffando e andava in cucina a tagliare qualche fetta di culatello alta un dito o generose porzioni di pecorino sardo. Addentava entrambi con una voracità unica. " Ah, il cibo è la vera lussuria" esclamava tutte le volte.
In ogni caso il commendatore aveva ancora tutti i suoi capelli, anche se ingrigiti; si vantava di portare le basette un po' lunghe come aveva visto usarsi a Madrid; viso simpatico, qualche ruga ( una sola verticale tra i due sopraccigli, ruga che lui chiamava " il segno del comando"), dentatura accomodata ma accettabile. Questo era l'uomo.
Sposato, era sposato, da quasi trent'anni, con la signora Ofelia, che lo aveva reso padre di tre figli. Due uguali in tutto e per tutto a lui, quindi di questi egli era molto soddisfatto. La terza, invece, era identica alla madre e ciò per lui andava meno bene.
Il fatto di essere sposato non rappresentava per il commendatore alcun significativo impedimento né etico né morale, in quanto egli era stato in anni pregressi un discreto corteggiatore e qualche avventura l'aveva coltivata, fuori zona. Soprattutto quand'egli si recava in Croazia per traffico di legname. In quella zona, il commendatore aveva mietuto varie conquisite, dalle quali si era disobbligato sempre con qualche botta di centinaia di euro. Però di una, una certa Marinka, di anni venticinque, stagista all'Ente per il commercio a Rijeka, s'era anche invaghito di brutto.
Della moglie Ofelia, a dirla come davvero sta, il commendatore s'era stancato da tempo. Gli era venuta a noia.
Agli inizi del matrimonio, quando c'era stato da faticare molto per avviare l'azienda, anche Ofelia si era dimostrata entusiasta del lavoro e sosteneva volonterosa il marito.
Addirittura lo consigliava in questioni commerciali, dimostrando di avere un certo fiuto per gli affari. Ad esempio, l'apertura di una filiale in Francia, era avvenuta per merito di Ofelia.
Successivamente, con il tempo, le gravidanze, il benessere, l'avevano resa un po' meno entusiasta verso il matrimonio e verso l'uomo.
Il commendatore ricordava quando, di sabato mattina ( quasi quindici anni prima) si alzava, faceva colazione e diceva ad alta voce: " Dai Ofelia, preparati in fretta che andiamo a pranzare a Firenze... una bella tirata con il Jaguar e si arriva in Piazza della Signoria in tre ore... mangiamo là, passeggiamo e poi si fa quello che ci passa per la testa... anche vedere gli Uffizi, se credi".
Per diversi anni Ofelia aveva risposto felice a queste improvvisate del marito e lo seguiva divertita, poi con il tempo le cose erano cambiate.
Quanto alla passione e ai rapporti coniugali , il commendatore, uomo alquanto vorace, li trovava oramai scipiti al punto che, negli ultimi anni, s'era ben guardato anche solo dallo sfiorare l'argomento. Per non vedersi la moglie nel letto con la faccia contrita, struccata e macilenta, il commendatore aveva deciso di andare a dormire nella camera degli ospiti, dapprima con il pretesto che di notte rientrava sempre tardi, dalla sede del Rotary , poi - senza alcun pretesto - non appena, dopo le ore 23. 00, egli aveva spento il televisore.
Ofelia non aveva affatto protestato a fronte della diserzione dal letto coniugale e s'era immediatamente accomodata al centro del medesimo.
Negli ultimi anni , dunque, il commendatore aveva cercato con una certa insistenza una qualche compagnia femminile adatta al suo carattere e alle sue ancor accese voglie. A tale scopo egli aveva anche fatto una lussuosa, quanto defatigante, crociera ai Caraibi, ma senza alcun apprezzabile risultato. Se non per un paio di notti passate con una tedesca di Ulma, sulla quarantina, la quale aveva il maledetto vizio di ubriacarsi e quindi, sul più bello, si dimostrava per nulla partecipe delle sue effusioni. Perché al commendatore le donne piacevano anche combattive, altrimenti non si divertiva affatto.
Per il resto, il commendatore si reputava un uomo sufficientemente informato, leggeva tutti in giorni due quotidiani, compreso il Sole24 ore e ciò , a suo parere, lo rendeva automaticamente anche colto. Di certo non si commuoveva davanti ad un pittore toscano del trecento e non distingueva Bach da Mozart. Ma viveva ugualmente ed era abbastanza autentico da non barare sul punto.
Se la signora la si poteva incontrare al bar " Alle mimose" , allora occorreva frequentare quel bar con una certa assiduità. Ed il commendatore cominciò a presentarsi al bancone di Gino ogni mattina, sul far delle dieci. Si salutavano, due commenti sul tempo o quattro parole con gli altri avventori, quindi il commendatore si sedeva al solito posto ed apriva il giornale.
A Gino la cosa parve un poco strana, poichè riteneva che un uomo del calibro del commendatore avesse molto da fare e non si capacitava come mai questi stesse assumendo abitudini da pensionato.
Tutto però gli fu chiaro allorchè , dopo qualche giorno di prosecchini e caffè, il commendatore gli chiese, senza alzare gli occhi dal Corriere, se mai la signora si fosse fatta vedere in quei giorni.
" Quale signora? " chiede Gino che davvero nemmeno ci pensava, mentre allineava le bottiglie dei liquori.
" La signora coi pendenti di rubino " rispose il commendatore, quasi sillabando "... la belloccia... dai che hai capito..."
A Gino il tono complice del commendatore diede molto fastidio. Perché poi " belloccia" ? Ma la signora era bella, assolutamente bella... belloccia pareva addirittura un termine sporco nella bocca di quel soggetto.
" A dire il vero, sono alcuni giorni che non passa affatto " tagliò corto Gino.
" Allora è sempre avvolta nel mistero, la bella sciùra? " sghignazzò lupescamente il commendatore.
" Potrebbe essere sposata... forse separata... "
" Bene, allora sarà stufa di star sola" alzò il tono il commendatore che solo nell'udire l'aggettivo " separata" sentiva di avere in mano il poker d'assi.
" Non si sa se sia sola... perché mai dovrebbe essere sola? "
" Gino, ma ti dovevi informare un pochettino... stai qua al centro del paese... in piazza... e non sei nemmeno capace di raccattare qualche informazione!!! " disse ridendo il commendatore e facendo rumore con le pagine dei giornali che s'era anche stufato di girare solo per darsi un contegno. Infatti tra sé pensava " ma guarda ' sto cretino, gli gira attorno una bellezza e manco si ingegna di chiederle come si chiama, dove sta, che fa... Io, al suo posto, già le avrei ammollato il primo invito a cena a venti chilometri da qua... sempre ammesso che la signora possa accettare di uscire con un barista, il che non è pacifico..."
Benchè fossero le dieci del mattino, quel giorno di luce ce n'era assai poca. Grosse nuvole si addensavano sopra il duomo, grigie con sbaffi bianchi. Un temporale prometteva di abbattersi sulle bancarelle del mercato e già i commercianti si agitavano a porre le merci al coperto. Fu tutt'a un tratto e cominciarono a cadere pesanti gocce , sembravano all'inizio sassi lanciati contro le tende delle bancarelle. Ma in pochi minuti scesero raffiche d'acqua sospinte da folate di vento.
La gente riparò di corsa sotto i portici. L'acqua piovana scorreva a ruscelli verso i tombini.
Mentre Gino allungava il collo dalla vetrina per capire cosa diavolo fosse quel fracasso di pioggia e di persone, la porta bussola di accesso al bar si aprì e apparve lei, la signora, avvolta in un impermeabile da stizzare. Solita borsetta vintage e guantini. I capelli zuppi le si erano incollati alla fronte e alcune ciocche uscivano a caso.
" Mamma mia... Gino!.. che acqua " disse sorridendo, pareva quasi contenta dell'eccezionale evento piovoso. " entro e mi asciugo un attimo, se non le dispiace...! .. Scusi non ho nemmeno salutato..." e scuoteva anche l'ombrello cercando di non bagnare l'ingresso.
" Ma signora entri per carità... le faccio subito un caffè... guardi, se vuole, a destra, c'è la toilette, ci sono pure due asciugamani puliti, cambiati or ora..." rispose Gino già operativo alla macchina del caffè.
La signora si guardò attorno. Sul fondo quattro uomini in età giocavano a carte. Oltre ai caffè avevano attorno vari bicchierini vuoti. Aleggiava un odore di grappa alla prugna.
Alla destra del gruppetto, vicino alla vetrina, sedeva un signore robusto che alla sua entrata aveva sollevato gli occhi dal giornale e che ora la stava guardando con aria interrogativa, come fosse curioso di lei e della sua persona.
" Ha ragione Gino - disse la signora - intanto che lei mi prepara un caffè, stavolta lungo e bollente, vado al bagno e mi asciugo un attimo... almeno la testa, chè rischio di prendermi una polmonite."
Detto questo, con una breve corsetta, la signora si diresse verso la toilette e vi sparì.
Gino nel frattempo armeggiava dietro al bancone, i giocatori di carte continuavano imperterriti, concentrati nelle "mani" e a segnare punti su si un taccuino; altre persone entrarono scuotendo ombrelli e maledicendo il maltempo. Il commendatore si alzò dalla poltroncina strategica, sullo schienale della quale lasciò ben piegato l'ottimo soprabito Armani e si avvicinò . " Un caffè anche per me, Gino" ordinò con un velo di allegria nella voce. Stava per appoggiare i gomiti al banco, ma si ricompose subito. Mettere i gomiti sul banco poteva sembrare un gesto volgare, da habitué di bar, e il commendatore ritenne fosse meglio apparire un poco più distinto a quella signora che lo interessava tanto. " Magari - pensò - è una signora davvero, con la esse maiuscola e mi frego l'occasione per un gesto da gradasso " . Cosicchè egli si raddrizzò, consapevole che la sua altezza avrebbe dato il giusto tono ed equilibrio alla scena.
Con un cenno a Gino, gli fece intendere di servire i due caffè in contemporanea, non appena " lei" fosse riapparsa.
E lei arrivò. S'era messa in ordine i capelli, asciugata un poco il viso che appariva senza trucco, tranne per una ripassata di rossetto rosa. Impermabile al braccio, la signora indossava un maglioncino scollato a v color prugna su di una gonna di lana. Al collo un filo di perle coltivate, di quelle intramontabili.
Le tazzine con i due caffè bollenti vennero subito allineate sul bancone e Gino, con ampio gesto del braccio, depose nel mezzo la zuccheriera in vero argento, con lungo cucchiaino affondato nello zucchero.
" Che giornata vero? " esordì il commendatore, avvicinadosi alla tazzina. " Non la guardo in viso - si disse -potrebbe sembrare sfacciato ".
" La stagione butta così, infatti... piove da tre giorni..." Rispose la signora, zuccherando il caffè.
Il commendatore si accorse che lei aveva già allungato un euro per pagare la consumazione. Giusto. Non era tempo di pensare ad offrirle il caffè, non la conosceva nemmeno.
Stranamente quella donna lo metteva un poco a disagio. Pur essendo davvero bella e fine, sembrava non rendersene conto. Era molto diversa dalle donne che frequentava lui, mogli o amanti di suoi amici ricchi, tutte molto truccate, eleganti, scollate, felici delle loro labbra rifatte, consapevoli di emanare fascino. Ma era davvero fascino, poi?
La signora bevve il suo caffè, scambiò con lui una fugacissima occhiata, forse non lo guardò nemmeno in volto, ma trattenne lo sguardo sui colori della sua cravatta.
Un attimo dopo, ella già salutava, riprendeva l'ombrello e se ne usciva sotto i portici. Spariva.
Il commendatore se ne rimase al bancone... davvero non gli era mai accaduto di non saper pronunciare nemmeno una parola di approccio cortese, seppur non galante. Incapace persino di dirle " arrivederci".
Alzò gli occhi ed incontrò quelli del barista: uno sguardo un poco freddo, come a chiedergli " embè?". E certo... embè... che dovevo fare? Pensava tra sé il commenda.
Passò una settimana circa, la signora non si fece vedere. Il bar sempre quello, Gino a fregare il bancone, i giocatori di carte sempre in azione, il commendatore cominciava a stancarsi del suo appostamento. Peraltro egli aveva anche un bel po' di lavoro da seguire, le due segretarie lo martellavano al cellulare per via di alcuni contratti in scadenza. " Basta.. basta " diceva tra sé "mi sono fissato come un cretino con questa storia... manco fosse Lucia Mondella...".
E accadde un venerdì mattina, incredibilmente. Una splendida giornata di sole. Il commendatore aveva già deciso che avrebbe mollato la preda. Per la miseria! Erano dieci giorni che non andava al circolo, e cinque che saltava le ore dello jogging. Fumava accanitamente dal nervoso, infrangendo così l'ultimo divieto che s'era imposto.
Ma la signora arrivò, proprio quel venerdì mattina, indossando un foulard come Grace Kelly. Ma quando mai una donna nel 2010 portava un fazzoletto di seta in capo? Ella entrò e Gino si mise quasi sull'attenti... Caso volle che il commendatore fosse anch'egli presso il bancone cercando di affogare il dilemma in un prosecco anticipato.
La signora salutò, passò lo sguardo dal Gino al commendatore e tornò su Gino, chiese il caffè.
Dio volle che fosse proprio il barista ad avviare il discorso; il commendatore lo ringraziò in cuor suo perché la sua mente era assolutamente bianca.
Al momento di pagare il suo caffè, la signora frugò rapidamente nella borsetta, prima con fare sicuro, poi esitante... guardò Gino e con un sorriso, a dir poco squisito, esordì: " Gino... mi scusi.. ho dimenticato il portafoglio a casa... mi faccia credito di un caffè... che sbadata...". Il commendatore andò in fusione, vedendo un leggero rossore salire alle guance della donna.
" Eh sì... bella, è proprio bella..." pensò Canizza , e già ricacciava indietro tutte le intenzioni di rinunciare all'impresa.
" Ma signora, cosa vuole sia... Gino le fa credito di sicuro... Gino e qua solo per far credito alle belle signore ! " disse un po' badanzoso, ma anche pentendosi subito. Nell'entusiasmo aveva ecceduto. Avvertì una sorta di inadeguatezza alla situazione.
Ma la signora, con una disinvoltura inaspettata, rispose " eh sì... bella signora tanto tempo fa..." .
Tuttavia la cosa finì sul nascere, poiché la signora, sistematosi il foulard di seta che le stava scivolando dal capo, fece una specie di inchino con la testa, salutò e scomparve nella bussola della porta d'ingresso.
I due uomini restarono a guardarsi e Gino, con un sorriso a mezze labbra, commentò: "... poca fortuna anche questa volta!...". Al Commendatore rimase il dubbio che la frase fosse una stoccata a lui diretta, però non si poteva sapere davvero, visto che anche Gino non era del tutto estraneo ad interessarsi alla signora.
La situazione prese una svolta inaspettata allorchè, qualche giorno dopo, il commendatore si recò all'edicola per l'acquisto dei giornali, e, nel mentre camminava di buon passo, cappotto aperto come piaceva a lui, a falde battenti, incrociò la signora, proprio in viale.
Con suo grande stupore l'uomo avvertì un tuffo al cuore e uno sbalzo di pressione non indifferente, per la sua età. Un colpo di caldo e di gelo improvvisi. Erano anni che la vista inaspettata di una donna non gli faceva un effetto emotivo così manifesto. Al commendatore sembrava di essere tornato ventenne. Avvertì persino la bocca farsi secca.
La signora veniva avanti vestita in un cappottino di colore un poco stravagante, sempre la stessa borsetta. Le gambe ben fatte camminavano una avanti all'altra, come nelle modelle, ma senza che la persona accennasse ad alcun dondolio.
Egli si accorse che lei lo aveva riconosciuto, poiché la donna gli stava sorridendo. In modo molto contenuto, ma al commendatore parve proprio che il sorriso fosse per lui. Ne era certo.
Oramai erano proprio vicini, quasi spalla a spalla.
" Buongiorno signora" disse il commendatore, rispettosamente.
" Buongiono a lei " si sentì rispondere.
" È già passata dal nostro Gino, questa mattina? " continuò il commendatore, pensando anche in contemporanea " o la va o la spacca, se non le parlo ora, quando?".
" Eh no, caro signore, oggi proprio non mi è possibile... anzi sono un poco in ritardo... devo correre al Duomo... c'è una funzione importante, tra qualche minuto... un matrimonio..."
" Ci mancherebbe che fosse anche di chiesa - pensò tra sé il commendatore.
" Devo essere presente - spiegò la donna, sempre sorridendo - sa... celebra la messa mio fratello... io sono la sorella dell'arciprete... mi scusi, ma devo proprio correre" e con un mezzo saltello ella riprese il suo passo allungato, in direzione della chiesa.
Il commendatore avvertì uno strano ronzio alle orecchie e intuì che forse il cervello si stava snebbiando. Decise di andare in banca a parlare con il direttore della filiale in merito alla situazione del " castelletto" e di passare, poi, dall'amico avvocato per sapere le sorti di una sua causa di risarcimento in Germania. Però volle chiudersi il cappotto, non si sentiva più tanto gagliardo e nemmeno felice, come era accaduto appena qualche minuto prima.
La mattina seguente , il commendatore , un poco infastidito dalle pessime notizie legali ricevute dalla Germania, entrò nel bar Alle Mimose, dando un tal colpo alla porta a bussola che questa girò su se stessa due volte.
Il barista lo guardò male..." Salve Gino... solito caffè" - ordinò . Nessun sorriso, faccia davvero scura.
Mentre Gino armeggiava alla macchina del caffè, entrarono due signore. Avvicinatesi al bancone, esse continuarono nel medesimo discorso già intavolato tra di loro.
" Bel matrimonio quello di ieri, al duomo - commentò la meno giovane - c'era davvero tutta la famiglia dell'arciprete. Non lo sapevo, ma si tatta di una famiglia originaria di qua, solo che poi s'è dispersa per varie regioni di Italia... saranno stati almeno duecentocinquanta persone, tra parenti degli sposi ed invitati.. il duomo era zeppo"
" Ci scusi... due cappuccini per favore - ordinò la seconda, rivolgendosi a Gino - l'arciprete vive nella casa di famiglia... sai quella villetta in via Manzoni?... quella vicino alla scuola elementare?... era rimasta chiusa per tanto tempo, il giardino era tutto inselvatichito... ma adesso ci abita lui con la sorella... Angela, mi sembra si chiami."
" Dicono che lei lo abbia sempre seguito, ed accudito, sin dall'inizio del sacerdozio... lo aiuta molto anche nelle incombenze pratiche... e poi fa anche la catechista."
Intanto Gino servì le de tazze di cappuccino.
" Il fratello, don Agostino, è stato diversi anni in Sicilia, come parroco, ma se n'è dovuto andare perché aveva urtato qualche potente di là, sai come sono là... insomma ha pure subìto un avvertimento... la sorella era spaventata a morte... così hanno deciso di tornare al Nord".
" Ma pensa te..." ribattè l'altra, meravigliata.
Poi cambiarono discorso e, per restare più in disparte, presero i cappuccini ed andarono a sedere nel fondo della saletta.
" Ne sapevi nulla dell'arciprete? - chiese il commendatore a Gino.
" A dire il vero, no... io non bazzico chiese " rispose il barista.
" Nemmeno io bazzico chiese - commentò il commendatore - ... certo che essere costretti a venire via da un posto... perchè ti minacciano... e minacciare un prete, poi!..." Rimase in silenzio a pensarci.
Il commendatore sorbì il suo caffè, risistemò i vari pensieri che si erano affastellati in capo, sbattè con rumore un euro al bancone e decise di andarsene.
" Vado Gino, ho da fare... giornata piena oggi, un sacco di rotture di scatole..." E salutò.
L'uomo si avviò con il suo solito passo alla Ferrari fiammante che aveva parcheggiato poco distante dal bar.
Nell'aprire la portiera egli pensò: " Angela.. si chiama Angela... sorella dell'arciprete... gli sta dietro e lo accudisce... fa anche la catechista... chissà che vita sarà mai quella dietro a un fratello prete... ... eh sì... peccato... non è certo il tipo di donna per me... o meglio, io non sarei affatto il tipo di uomo per lei..."
Con un gesto rapido entrò nell'abitacolo della vettura e lo fece con tale slancio che prese pure una forte botta sul cranio..." All'inferno ste macchine così basse !! " mugugnò massaggiandosi la parte indolenzita.
Il commendatore girò la chiavetta, mise in moto, e sgommando partì.
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l'autore mariateresa morry ha riportato queste note sull'opera
In questo racconto io non ho cercato di sviluppare una trama, ma di analizzare il procedere psicologico di un'attesa, delineando un personaggio.
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
1 recensioni:
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Vilma il 22/02/2012 14:20
Il racconto mi sembra ben scritto e molto scorrevole, belle anche le descrizioni delle immagini... degli attimi..
Ma mi soffermo un attimo sui personaggi maschili che a mio parere sono uno l'opposto dell'altro, magari è proprio questo che volevi evidenziare...
Il barista lo vedo come una persona che non guarda le apparenze, che non giudica... ma che cerca di leggere oltre lo sguardo... una persona molto sensibile e discreta che di certo non giudica
L'altro, come tu stessa dici è l'uomo che ha sempre ragione, il primo pronto a giudicare, quello che vorrebbe tutto e subito, di certo non si ferma a pensare cosa c'è al di là ... nel cuore o nell'anima... lo farebbe solo per interesse personale. Solo lui conta... di un egoismo lampante.
Questo è quello che io ho sentito leggendo questo bel racconto
- Perbacco! alla fine il cummenda è rimasto a becco asciutto... ben gli sta, all'uomo "Denim" che crede che tutto gli sia dovuto... Bel racconto, ottimamente descritti i personaggi e ben rappresentati gli ambienti. Nonostante la lunghezza il testo si fa leggere per la sua fluidità e scorrevolezza. Concordo con quanti dicono che non può certo finire qui... nel caso mi farà piacere leggerlo.
- Con la perizia e l'esperienza di un commediografo, la Morry apre il sipario sulla scena del bar "Alle mimose". La tratteggia per quanto basta e vi pone l'indispensabile barman Gino, ammiratore della non più giovanissima cliente e la mole del commentatore Canizza, come meglio non si può, descritto nell'aspetto estetico, comportamentale e familiare. Il dilungarsi nei dettagli familiari e nei gusti del commentatore è la stessa cosa che entrargli in casa e nei pensieri. Ofelia, Jaguar, Firenze, le attività imprenditoriali, sfilano con la semplicità di chi già le conosce da tempo.
L'esperienza della penna che leggiamo fa si che l'animata conversazione conoscitiva tra l'anziano cliente e il barista sembri far parte di un vero prologo, poi condito con un antefatto che ripresenta il soggetto.
Discussione e temporale ci riconducono alla vera protagonista: la signora di cui non si sa quasi nulla, ma che tanto interessa, movimenta e inasprisce l'azione. Da notare l'inciso: "lo metteva un po' a disagio". L'autore sembra voler sminuire l'intraprendenza di questo navigato signore, che non vuole ricordare i suoi 65 anni.
L'assenza della signora, (per l'uno giovane e bella, per l'altro meno) è voluta quasi per attivare una pausa di riflessione. Fa sorridere il proposito messo in testa al Canizza: di ricacciare "indietro tutte le intenzioni e di rinunziare all'impresa". Le espressioni che seguono sono forbite, scorrevoli e divertenti.
Poi la scena si riempie di azioni quasi virtuali, ma seducenti per la debolezza umana che analizzano. Intenzionalmente volute dall'autore, queste ritornano concrete dopo un po' di tempo, quando ricompare la bella signora dal foulard come Grace Kell. In questa occasione, il casuale incontro si fa terreno con tutta la sua debolezza: colui che avrebbe voluto quasi mollare la preda ritorna quasi bambino, ha un tuffo al cuore, prova concrete emozioni.
La fantasia del narratore si fa eccellente quando ha l'idea di ripresentarla come sorella dell'arciprete e di immaginare una capatina in banca e dall'avvocato, per alleggerire lo stato d'animo creatosi. Secondo il suo solito, la Morry riempie gradatamente la scena: compaiono le due signore, il matrimonio, le imprevedibili notizie anche sulla vita del prete: si chiama don Agostino, e sarebbe niente, ma abita con la sorella Angela. La confusione mentale è in aumento anche per il barista, che pure lui non bazzica chiese! Il momento, particolarissimo per i due, diviene sempre più simpatico per chi legge. Il racconto finisce inaspettatamente, senza la conclusione che tutti speravano, dopo un sì lungo peregrinare.
Forse il virtuosismo del narratore sta proprio qui, aver tenuto il lettore in attesa di un risultato che non c'è stato. In qualità di critico devo vedere il componimento senza particolari pregiudizi; il racconto scaturisce dall'idea dell'autore e va rispettato. L'essere riuscito a mantenere tutti in attesa fino all'ultima parola è già di per se un risultato ottimale; l'averlo fatto con stile, con l'integerrimo rispetto della sintassi, della grammatica, e reso simpatico e gradevole rappresenta un valore aggiunto, vanto e merito di pochi.
Anonimo il 22/02/2012 17:16
Racconto incantevole, i luoghi descritti sembrano quadri dipinti con maestria, curati in ogni loro dettaglio. Ottima tecnica, complimenti.
- Un racconto scritto benissimo!!!
Accipicchia, mi hai fatto far tardi, ma non potevo staccarmi prima di arrivare alla fine! I personaggi sono ben delineati, la storia scivola nella lettura e quasi non ti accorgi della lunghezza, mi son ritrovata alla fine dispiaciuta che fosse terminata la piacevole lettura, piaciutissima!
- Scritto molto bene, ma non può terminare così. Aspetto il seguito di questa ottima introduzione e mi raccomando, non infierire troppo sul povero cumenda. Tira via un po' di cipria anche dalla sorella dell'arciprete. Inventa, dai! Aspetto il seguito!
Anonimo il 20/02/2012 17:14
Il racconto scorre bene e rende bene l'idea del prototipo d'uomo sempre troppo sicuro di sé. Sicurezza che scaturisce esclusivamente dalla ricchezza materiale (e quindi misera). Racconto ben scritto. Ciao
- Lo scritto è di assoluta fantasia. Nasce da mia idea. Tuttavia il tipo di uomo è il prototipo maschile che io detesto e che dalle mie parti abbastanza diffuso (il ricco Veneto che gira in Ferrarino e ha l'impresetta). L'uomo che ha sempre ragione, il primeggiatore nato, il so-tutto-io. Il resto ripeto, fantasia e frutto di osservazione. La donna? ... mi manca il fratello arciprete ahhhh! Grazie!!
- mariateresa è bellissimo! anch'io solitamente mi spavento di fronte ai racconti lunghi ma in questo caso tutto è filato via velocemente. Una domanda ma non pretendo una risposta in quanto potrebbe essere del tutto estremamente personale: fantasia o realta? Anyway è eccezionale. ciao
- Che bene che scrivi Anna!! potresti fondare un gruppo di commentatori ( n on commendatori..)!! Grazie molte di cuore!!
Anonimo il 19/02/2012 22:13
Generalmente non vado oltre le tre pagine nel leggere un racconto ma per questo è stato come planare. Non uno soltanto ma tre sono i personaggi delineati. Si vedono perfettamente i movimenti della semplicità di Gino, la protervia del maschio sagace e sicuro della conquista, la donna "con la gonna", dalla femminilità delicata e radiosa ma inafferrabile per il commenda. Non so se il canovaccio sia scaturito dalla realtà e poi suffragato dalla fantasia, certo è che mi ha incuriosito da subito e portata alla fine con estrema piacevolezza.
- Fiuuu letto tutto di un fiato, molto bello!!! la signora mi è simpatica il gino pure il commenda mi ha fatto ridere, chissà che bel bernoccolo si è procurato. Complimenti alla scrittrice.
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