Era arrivata lì di soppiatto, eccitata come poche volte in vita sua. Sarebbe finalmente penetrata nei meandri fiabeschi e colorati di quel fantastico mondo. Era certa che non ne sarebbe stata delusa, così come lo era tutte le volte che suo nonno, dopo averle comprato una mela caramellata e averle dato in mano il suo biglietto, la faceva sedere sugli spalti adombrati.
Oltrepassata la linea che la separava dal mondo perfetto, però, qualcosa accadde. Qualcosa si ruppe.
Il tiepido sole settembrino scaldava il paesaggio placido e un po' ozioso, donando a ogni cosa una sfumatura più calda, quasi dorata. Suggestiva, sì, ma quel luogo tranquillo che le sarebbe dovuto sembrare familiare le metteva quasi i brividi per la sua diversità. Era cambiato, ed era questo a turbarla. Nell'aria non aleggiava più quell'aurea magica che, invece, lo aveva sempre caratterizzato e che, nelle sere buie, lo aveva reso quell'isola fiabesca fuori dal resto del vecchio, monotono mondo. Niente più luci sfavillanti, niente più colori accesi, niente calca, niente volti allegri.
Dietro il tendone del circo non si vedeva nessuno.
Anche lui, il suo castello felice a punta aveva perso fascino. I colori non erano più allegri e vivaci. Le strisce rosse e bianche non erano altro che brandelli scoloriti, sbiaditi e impolverati. La punta, sulla quale torreggiava la scritta Olimpus Circus a caratteri cubitali, non sembrava altro che una mera e pacchiana imitazione di ciò che ricordava.
Dietro il tendone non c'era nulla. Solo svariate file di scatole di legno, dimora di quei folletti chiamati anche circensi.
L'unica cosa che si percepiva era una musica, forse francese del periodo della guerra, provenire da uno dei caravan.
Lei, giovane donna, si sentiva stupida, così come si può sentire una bambina a cui era stata violentata la più ferrea convinzione. Di fatti, le sue labbra non erano riuscite a non piegarsi all'ingiù mentre osservava quel paesaggio sconsolato.
E così, se ne stava lì, in piedi oltre la transenna di legno a osservare le quinte di un mondo incantato che non avrebbe mai voluto oltrepassare.
Mentre fissava il suo sguardo su diversi dettagli, più o meno squallidi di quel luogo, si rendeva conto di quanto il colpo infertole da quella visione si stesse facendo più doloroso. Aveva gli occhi lucidi. Il suo ricordo del circo stava mano a mano svanendo, come un sogno ricordato a metà, che lascia spazio a una forte delusione. Anche l'ultimo appiglio di magia, di fiaba stava cedendo. Anche il circo era mondo reale, anche la sua isola incantata era, in realtà, solo la maschera di una povera, squallida realtà.
La musica proveniente dal caravan sconosciuto era cambiata, ma restava francese. La riconobbe, era quella cantante dagli occhi grandi che piaceva tanto anche a sua madre.
Mentre, impalata, se ne stava lì con quella smorfia amara, un uomo panciuto, con i pantaloni mezzo slacciati e una canottiera sudicia sbucò da dietro un caravan. Si stava passando uno straccio sozzo sul volto ancora un po' bianco di cerone. Eccola, l'ombra di quello che era stato un clown che, corrucciato, la guardava.
Lei sobbalzò. Si mise una mano sulla bocca. In lacrime, corse via.