Pago il mio biglietto, entro. I bagni sono in fondo al giardino, ci vado, passando davanti ad un carro armato riverniciato di fresco. Se ne sta lì, fermo, a riposare, con i cingoli immersi nella ghiaia di questo giardino umido.
Inizio la visita guardando le immagini dei soldati con i loro fucili, con le loro smorfie di dolore. Mi fermo davanti ad una foto, appesa alla parete.
Un uomo in divisa mostra, tenendola con una mano alzata, quel che rimane di una persona. Vedo la testa, un braccio ed un pezzo del torace. Penzolano. Le gambe ed il resto sono a terra, per conto loro.
Proseguo la visita. Esposti, sotto una teca, ci sono dei proiettili di mitragliatrice. Mi avvicino per vederli meglio. L'ogiva è grande quanto il mio pollice. Più avanti ci sono delle mine. Sembrano delle borse per l'acqua calda, di quelle che si usavano una volta per scaldare il letto quando si andava a dormire. L'esposizione ne mostra il contenuto. Centinaia di piccoli pezzi di metallo che, quando la mina esplode, partono verso ogni direzione, ad altezza uomo. Nel cortile del museo c'è un elicottero. Dalla sua finestra si affaccia una mitragliatrice. Ha lo sguardo abbassato. Dorme. Mi siedo su una panchina e fumo una sigaretta. Intorno a me, turisti accaldati. Fumo, accanto al mio zainetto pulito, con i miei sandali nuovi e le mie salviettine rinfrescanti. Mi alzo e termino la visita. Lascio tutto dietro il cancello e cammino lungo un viale ombroso in cerca di una bibita fresca.